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  • Domenica 8 maggio 2016

Gli ex bambini soldato usati come informatori dall’intelligence somala

Un'inchiesta del Washington Post racconta una storia incredibile e inquietante, anche per uno stato semi-fallito come la Somalia

(AP Photo/ Farah Abdi Warsameh/File)
(AP Photo/ Farah Abdi Warsameh/File)

Un’inchiesta del Washington Post ha svelato che per anni i servizi di intelligence somali (NISE) hanno usato ex bambini soldato come informatori. Una volta fatti uscire dalle milizie di al Shabaab, il gruppo estremista somalo affiliato ad al Qaida, i bambini erano obbligati dal governo a individuare i membri di al Shabaab, senza che fossero prese le necessarie misure per garantire la loro sicurezza. Per esempio i bambini andavano insieme agli agenti del NISE nei quartieri delle città con un’alta concentrazione di miliziani: ma mentre gli agenti avevano spesso il volto coperto, raramente i bambini veniva protetti in maniera simile. Secondo l’inchiesta del Washington Post, diversi ex bambini soldato sono stati uccisi e almeno uno si è suicidato mentre si trovava sotto la custodia delle autorità. Il NISE è un’organizzazione che ha ricevuto fondi e assistenza da parte della CIA.

Uno dei bambini-informatori oggi ha 15 anni e ha raccontato al Washington Post un pezzo della sua esperienza: «Mi portavano in giro a volte a piedi, altre volte in auto. Era spaventoso, perché sapevo che tutti potevano vedermi mentre lavoravo con loro». In alcuni casi la custodia da parte del NISE durava anni e i ragazzi che non collaboravano venivano spesso minacciati o picchiati. Gli agenti più anziani avevano anche dato ai bambini un soprannome: “far-muuq”, “quelli che puntano il dito”. Per ogni miliziano indicato, i bambini ottenevano due dollari: come ha raccontato uno di loro al Washington Post, a volte riferivano informazioni reali, altre volte erano costretti a inventarsele per non essere picchiati. Diversi bambini hanno anche testimoniato in tribunale contro i sospetti miliziani di al Shaabab.

Il direttore del NISE, il generale Abdirahman Turyare, sostiene che nessun bambino è mai stato costretto a partecipare a una missione contro la sua volontà e che alcuni di loro si sono offerti volontari. Negli ultimi tempi il NISE ha liberato quasi un centinaio di ex bambini soldato, ma in diversi rimangono ancora sotto la custodia dell’intelligence somala: tra questi ci sono i bambini che Turyare definisce di “alto livello”, cioè quelli considerati più pericolosi o che possiedono informazioni particolarmente preziose per la cattura dei miliziani. Un altro agente del NISE – rimasto anonimo – ha detto al Washington Post che la CIA era a conoscenza di quello che avveniva con i bambini informatori: «Non c’è niente di quel che facciamo che la CIA non sappia».

Gli ex bambini soldato somali non sono solo quelli che hanno combattuto per al Shabaab, anche se il NISE usa principalmente loro come informatori. La guerra civile in Somalia dura oramai da venticinque anni e tutte le fazioni che hanno partecipato hanno fatto uso di bambini soldato. Oggi gli scontri principali avvengono tra il governo di Mogadiscio e le milizie di al Shabaab, che hanno compiuto attacchi terroristici anche nel vicino Kenya. Secondo l’UNICEF, nel 2015 l’esercito somalo ha impiegato almeno 300 bambini soldato. L’amministrazione Obama, facendo un’eccezione per la Somalia, non ha fatto scattare la sospensione degli aiuti militari che dovrebbe essere automatica in questi casi. Nel 2016 la Somalia riceverà circa 300 milioni di dollari in aiuti militari da parte degli Stati Uniti per continuare la sua campagna contro i miliziani affiliati ad al Qaida. Secondo diverse ONG è una politica che manda un messaggio sbagliato alle autorità di sicurezza somale.

La Somalia è uno dei paesi che hanno firmato la Convenzione per la protezione dei diritti dei bambini, un trattato internazionale che tra le altre cose vieta di impiegare i bambini in operazioni militari. I trattati internazionali prevedono che i bambini soldato ricevano un aiuto psicologico per potersi reintegrare nella società. Nel 2012 il governo somalo promise che avrebbe varato proprio uno di questi programmi, ma i bambini furono assegnati al NISE come informatori. Dopo tre anni, le agenzie umanitarie furono allertate del fatto che le missioni militari sembravano sempre più spesso accompagnate da bambini. Riuscire ad avvicinarli, però, era molto difficile. Alla fine, nel 2015, il governo spostò uno dei principali gruppi di ex bambini soldato dall’edificio del NISE a un centro gestito da una ONG, dove sono avvenute le interviste del Washington Post.

In tutto 33 ex bambini soldato sono stati trasferiti, mentre altri 31 sono stati rilasciati: per loro il rischio è che al Shaabab decida di colpirli per rappresaglia. Secondo l’ONG che si occupa del loro reintegro, è già accaduto almeno in un caso che uno degli ex bambini soldato venisse ucciso al ritorno nel suo villaggio. Madowe, il nome di fantasia usato per identificare uno dei ragazzi che sta per essere rilasciato, ha 17 anni e ha detto al Washington Post: «Non c’è posto per me in Somalia fino a che qui ci sarà al Shabaab». Secondo un funzionario dell’intelligence somala che ha preferito restare anonimo, altre centinaia di ex bambini soldato continuano a restare ancora oggi sotto la custodia del NISE.