I Radiohead hanno trovato uno strano modo per gestire i soldi

Creano una nuova società per ogni disco che fanno: è più una maniera di proteggere i guadagni passati che di pagare meno tasse

(Mark Metcalfe/Getty Images)
(Mark Metcalfe/Getty Images)

Negli ultimi tempi diversi giornali internazionali si sono occupati della strana struttura finanziaria messa in piedi dai Radiohead, una delle più famose rock band al mondo, per gestire i loro guadagni. Gli artisti noti a livello internazionale sono soliti presiedere una o più società su cui indirizzano i soldi che guadagnano tramite i concerti, le vendite dei dischi e il merchandising. I Radiohead invece fanno una cosa un po’ diversa: da circa dieci anni creano una nuova società per ogni nuovo disco e tour collegato, gestendola in modo separato. I fan hanno imparato a capire che la creazione di una nuova società significa che l’uscita di un nuovo disco è imminente: e infatti a gennaio si è tornati a parlare di un loro presunto prossimo disco in occasione della creazione di Dawn Chorus LLP (“il canto dell’uccellino LLP”), una nuova società legata ai Radiohead (in passato il gruppo ha usato altri nomi creativi per società minori come Random Rubbish Ltd, “scemate a caso Ltd”). Ma che senso ha, dal punto di vista finanziario? È un modo per pagare meno tasse?

Durante i primi anni di carriera da musicisti professionisti, i membri della band gestirono i ricavi derivanti da dischi e tour con una sola società, la Radiohead Ltd. Nel 1996, dopo i primi successi, iniziarono a diversificare il loro business, fondando società che si occupavano solo della vendita del merchandising. Nel 2003 si concluse il contratto di sei dischi che li legava alla EMI, una delle più importanti case discografiche al mondo. I Radiohead iniziarono ad applicare il loro “giochino”: nei mesi prima di pubblicare In RainbowsKing of Limbs, i loro primi due dischi senza la EMI, fondarono due società chiamate rispettivamente Xurbia_Xendless Ltd e Ticker Tape Ltd che finanziarono i due dischi “a debito”. Le due società erano praticamente vuote, con un capitale sociale di 100 sterline ciascuna: ed entrambe si indebitarono per produrre il “loro” disco, salvo poi ottenere successivamente tutti i ricavi collegati dalle vendite e dal tour promozionale.

Non ci sono spostamenti di soldi fra la società di un disco e un’altra: la sorte di ogni disco è separata. Di conseguenza se un disco va molto male, le società creditrici non possono rivalersi su altre società dei Radiohead, cosa che metterebbe in pericolo i guadagni ottenuti in passato. Se un disco invece va molto bene, i cinque componenti della band – che sono soci in parti uguali di ciascuna società – si distribuiscono i guadagni una volta ripianato l’investimento iniziale per fare il disco.

Filippa Connor, che lavora come dirigente per una società di consulenza di Londra ed è l’unica persona che si occupa delle finanze dei Radiohead che il Guardian è riuscita a contattare, ha ammesso che l’eventualità che i Radiohead perdano soldi dalla realizzazione di un disco è poco probabile, ma ha definito la loro scelta «giudiziosa»: «avere una serie di società divise li protegge: se qualcosa va tremendamente storto con uno dei loro lavori, a crollare non è l’intero edificio». Inoltre, sembra che non si tratti di un giochino per pagare meno tasse. Uno specialista di tassazioni contattato dal Financial Times ha fatto notare che la Dawn Chorus LLP, la società che probabilmente finanzierà a debito il nuovo disco, è un tipo di società in cui i proprietari pagano individualmente le tasse sui propri guadagni, anziché lasciare che le paghi la società: cosa che denota «l’attività di qualcuno che non è interessato a pagare meno tasse» (tre anni fa il cantante della band Thom Yorke ha diretto un documentario molto critico sull’evasione fiscale).

Il Guardian ha scritto che la pratica di creare molte società con cui gestire i propri guadagni è comune anche ad altri artisti, ma che i Radiohead la hanno estremizzata: Adele ad esempio ha cinque società, mentre Paul McCartney ne ha 8. Ian Mack, che insegna economia al British and Irish Music Institute, ha detto che nonostante questo «guardo alla struttura di gestione dei loro soldi e non ci trovo niente che mi faccia esclamare “oh mio Dio!”. Mi sembra anzi il modo giusto per gestire e proteggere i loro guadagni».