Il disastro della Moby Prince, 25 anni fa

Fu il più grave nella storia della navigazione italiana in tempo di pace: morirono 140 persone e se ne salvò solo una

(ANSA ARCHIVIO)
(ANSA ARCHIVIO)

Il 10 aprile del 1991, esattamente 25 anni fa, il traghetto Moby Prince si incendiò dopo essersi scontrato con la petroliera AGIP Abruzzo poche miglia al largo del porto di Livorno. Fu il più grande disastro marino avvenuto in Italia in tempo di pace: morirono 140 persone e si salvò soltanto una delle persone che si trovavano a bordo.

La Moby Prince era un traghetto della compagnia Navarma che quella notte avrebbe dovuto percorrere la rotta Livorno-Olbia. La nave lasciò il porto di Livorno alle 22.03 diretta a Olbia, con a bordo 65 membri dell’equipaggio e 76 passeggeri. La AGIP Abruzzo, una petroliera da 127mila tonnellate lunga il doppio e alta tre volte la piccola Moby Prince, era ancorata a un paio di miglia marine dalla costa, lungo la rotta del traghetto. In quei minuti si alzò la nebbia e la petroliera scomparve alla vista. Alle 22.25 una voce sul canale della capitaneria di porto domandò: «Chi è quella nave?». Pochi secondi dopo la Moby Prince colpì la AGIP Abruzzo mentre procedeva a una velocità di poco inferiore a quaranta chilometri all’ora, 18-20 nodi.

La prua della Moby Prince tagliò le paratie della petroliera “come fossero burro”, ha scritto un esperto sentito dai magistrati. Nei primi cinque secondi dopo l’urto, decine di tonnellate di petrolio si riversarono sul traghetto e presero fuoco a causa delle scintille prodotte dallo sfregamento delle lamiere delle due navi. La plancia di comando della nave, dove probabilmente si trovava il comandante, venne immediatamente distrutta dall’incendio.

Alle 22.25 e 27 secondi, la radio della capitaneria di porto registrò una richiesta d’aiuto dalla Moby Prince. L’operatore radio era sopravvissuto perché in quel momento non si trovava in plancia. Con un dispositivo portatile comunicò: «Mayday, mayday, mayday! Moby Prince, Moby Prince, Moby Prince, mayday, mayday, mayday, Moby Prince! Siamo in collisione, siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Mayday, mayday, mayday, Moby Prince, siamo in collisione ci serve aiuto!». Dall’operatore radio non arrivò alcuna altra comunicazione per tutta la notte.

Nel frattempo anche la petroliera chiese aiuto e la sua comunicazione venne sentita forte e chiaro, mentre quella del traghetto arrivò bassa e disturbata. Dalla AGIP Abruzzo non avevano chiaro cosa fosse accaduto: tra le cento e le trecento tonnellate di petrolio finirono sulla Moby Prince, ma altre migliaia si riversarono in mare e presero fuoco, sollevando colonne di fumo nero che, insieme al buio, impedivano di vedere anche solo pochi metri di distanza. Nella confusione di quei minuti, gli operatori della petroliera ripeterono per due volte alla capitaneria che ad averli colpiti era stata una piccola imbarcazione, una “bettolina”.

Dalla capitaneria cominciarono a partire i soccorsi diretti alla petroliera, ma per il momento tutti si dimenticarono della Moby Prince. Il traghetto nel frattempo si era separato dalla petroliera e, oramai senza più nessuno al comando, continuò per la sua rotta, senza possibilità di fare comunicazioni radio, in fiamme e avvolto dal fumo. Secondo gli accertamenti dei magistrati, gran parte delle persone a bordo era già morta o sarebbe morta nei minuti successivi. Gran parte delle persone fu uccisa dal fumo e dai gas dell’incendio.

Nessuno in plancia aveva avuto il tempo di spegnere il sistema di ventilazione che distribuì i gas tossici in ogni angolo della nave. Gran parte dei corpi furono trovati nelle due principali sale della nave, dove forse erano stati radunati dall’equipaggio. Molti altre persone furono trovate morte nei corridoi della zona passeggeri, dove probabilmente erano rimaste soffocate una volta uscite dalle cabine. La prima imbarcazione di soccorso arrivò alla Moby Prince soltanto un’ora dopo l’inizio dell’incendio. L’equipaggio riuscì a salvare l’unico superstite di tutta la nave, il mozzo Alessio Bertrand, che era riuscito a lanciarsi fuori bordo prima di rimanere soffocato dal fumo.

Nel processo che seguì il disastro furono imputati alcuni ufficiali dell’AGIP Abruzzo e i responsabili della capitaneria di porto di Livorno. I primi erano accusati di aver ancorato la petroliera nel posto sbagliato, cioè nel “cono” di uscita dal porto di Livorno, e di non aver attivato i segnali per avvertire della presenza della nave dopo che si era alzata la nebbia. Gli ufficiali della capitaneria erano accusati di aver condotto i soccorsi con lentezza e inefficienza. Al termine del processo, nel 1999, tutti gli imputati furono assolti o prescritti. Ancora oggi i familiari delle vittime chiedono la riapertura del processo e l’inizio di una commissione d’inchiesta parlamentare.