• Mondo
  • Giovedì 7 aprile 2016

La nuova legge contro la prostituzione in Francia

Prevede multe e "incontri di sensibilizzazione" per i clienti, e abroga il reato di "adescamento passivo" a cui erano soggette le prostitute

Alcune lavoratrici del sesso protestano in Francia contro la nuova legge, 6 aprile 2016 (THOMAS SAMSON/AFP/Getty Images)
Alcune lavoratrici del sesso protestano in Francia contro la nuova legge, 6 aprile 2016 (THOMAS SAMSON/AFP/Getty Images)

Mercoledì 6 aprile la Francia è diventata il quarto paese europeo a punire i clienti delle prostitute dopo Svezia, Norvegia e Islanda. Dopo due anni e mezzo di dibattito parlamentare, l’Assemblea ha infatti approvato definitivamente il disegno di legge proposto dai socialisti, nonostante l’opposizione del Senato. Prevede la penalizzazione dei clienti con una multa e l’abrogazione del reato di adescamento passivo, istituito nel 2003 dall’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy. Prevede poi, per le prostitute che desiderano abbandonare la loro attività, un sostegno sociale, aiuti finanziari e un permesso di soggiorno temporaneo per le straniere.

Come funzionava prima
In Francia le persone che si prostituiscono per strada sarebbero tra le 30 mila e le 40 mila, secondo gli ultimi dati ufficiali. Di queste l’85 per cento sono donne e solo il 20 per cento sarebbe francese, mentre l’80 per cento proviene da Nigeria, Romania e Cina. Il numero di prostitute che lavorano esclusivamente attraverso internet è invece sconosciuto. Circa l’80 per cento è molto spesso vittima di sfruttamento.

In Francia prostituirsi non è vietato. Secondo le statistiche, un uomo francese su otto ha avuto rapporti sessuali a pagamento, ma i clienti fin qui non erano puniti. A essere punito, dal marzo del 2003, era il cosiddetto “adescamento passivo”, cioè le prostitute che «con qualsiasi mezzo, anche con un atteggiamento passivo» avessero attirato i clienti. Rischiavano due mesi di detenzione e fino a 3.750 euro di multa. Il reato era stato istituito nel marzo del 2003 da Nicolas Sarkozy, quando era ministro degli Interni.

Che cosa dice la legge
La nuova legge ribalta la logica: le prostitute non sono più punibili mentre il cliente può essere punito con multe di 1.500 euro che possono raddoppiare in caso di recidiva (inizialmente per i recidivi il testo prevedeva una pena fino a sei mesi di carcere e una multa di 7.500 euro; ora il massimo della multa è stato fissato a 3.750 euro). I clienti dovranno inoltre partecipare a una serie di incontri di sensibilizzazione sul modello di quelli dedicati alla sicurezza stradale e alle droghe, con l’obiettivo di “renderli più consapevoli delle conseguenze delle loro azioni”. Diversi analisti scrivono che la penalizzazione dei clienti, il punto più contestato della legge, sarà di difficile applicazione: la polizia dovrà cogliere i clienti in flagranza di reato, ma la legge non prevede personale supplementare. Diversi sindacati di polizia sono quindi preoccupati per un carico di lavoro aggiuntivo di lavoro in un contesto già complicato per la mancanza di personale.

Il testo prevede poi l’istituzione di un fondo di 4,8 milioni di euro all’anno per proteggere le vittime della prostituzione e una serie di misure per prevenire la diffusione su internet di annunci con offerte sessuali. Una parte importante della riforma è dedicata al sostegno delle prostitute che vogliono smettere la loro attività. Stabilisce di concedere loro un permesso di soggiorno temporaneo della durata di sei mesi e un contributo finanziario.

Infine, il disegno di legge sopprime il reato di adescamento passivo (contestato da tutte le associazioni del settore) istituito nel marzo del 2003 da Nicolas Sarkozy. Il principio su cui si basa quest’ultimo punto è che, dato che le prostitute sono soprattutto vittime, non possono essere considerate colpevoli dalla legge: per questo motivo, attirare un cliente proponendo una prestazione sessuale a pagamento non può più essere un reato. L’abrogazione era una delle promesse fatte in campagna elettorale da François Hollande.

La discussione
Il testo è stato approvato con 64 voti favorevoli, 12 contrari e 11 astensioni, ma ha provocato divisioni interne a quasi tutti i partiti. I socialisti e il Front de gauche lo hanno nel complesso sostenuto, la maggior parte dei deputati di Les Républicains (nuovo nome del partito di Sarkozy) non hanno votato, mentre i liberali dell’UDI (l’Unione dei Democratici e degli Indipendenti) avevano concesso la libertà di voto. La sinistra radicale e gli ambientalisti erano invece contrari.

Il giorno della discussione in Assemblea c’è stata a Parigi una manifestazione delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso. Secondo loro la criminalizzazione dei clienti «aumenterà la repressione della polizia» e renderà le «condizioni di lavoro ancora più precarie». Morgane Merteuil, portavoce dello STRASS (il sindacato francese del lavoro sessuale), ha denunciato che la legge «creerà un contesto che promuoverà la nostra insicurezza e la violenza contro di noi». Anche diverse associazioni e ONG che si occupano di prostituzione e diritti delle donne come Médecins du Monde, Act Up-Paris e Planning familial temono che la penalizzazione dei clienti porterà a una maggiore clandestinità e a sempre maggiori pericoli per le donne che si prostituiscono.

Altri argomenti contro la legge sono la sua inefficacia, vista la quota crescente della prostituzione via internet più difficile da colpire, e la questione delle risorse che, in un momento di grave crisi economica come quella che sta attraversando anche la Francia, non sarebbero sufficienti ad applicarla. Una petizione contro la legge è stata firmata anche da alcune celebrità francesi tra cui Catherine Deneuve e Charles Aznavour, mentre un gruppo di intellettuali e artisti vicini alla destra ha lanciato l’appello dei 343 salauds (“sporcaccioni”), piuttosto volgare: i firmatari si sono autodenunciati come “clienti”, facendo il verso a un famoso appello di femministe degli anni Settanta a favore dell’aborto, dichiarando di essere, in materia di prostituzione, «credenti, praticanti o agnostici» e proclamando lo slogan (che ha fatto molta notizia in Francia e non solo) “Non toccare la mia puttana”.

I sostenitori della legge dicono invece che contribuirà a combattere lo sfruttamento e il traffico di esseri umani. L’obiettivo dei relatori della legge era «rovesciare lo sguardo, responsabilizzare il cliente e fare della prostituta non più una delinquente ma una vittima che va aiutata». Alla base della proposta c’è il rifiuto della mercificazione del corpo femminile: i suoi sostenitori hanno spiegato che si pone in continuità con la direttiva europea del 2011 – che impone agli stati membri di «prendere le misure necessarie per scoraggiare e ridurre la domanda, fonte di tutte le forme di sfruttamento» – e con le legislazioni altri paesi. Vi è infine la convinzione che la prostituzione per libera scelta sia un fenomeno «marginale» e che la gran parte delle prostitute siano donne costrette a prostituirsi.

Le associazioni abolizioniste, discendenti da quelle che già avevano sostenuto la chiusura delle case chiuse nel 1946, e alcune organizzazioni femministe come Osez le féminisme, sostengono la proposta e hanno parlato di “vittoria femminista”: si sono uniti in un gruppo, “Abolition 2012”, difendendo l’eliminazione «di tutte le misure repressive contro le vittime della prostituzione» e ribadendo «il divieto di poter acquistare una prestazione sessuale».

La filosofa Elisabeth Badinter e altre organizzazioni femministe hanno sollevato invece perplessità su un intervento che legifera sull’attività sessuale dei singoli, che farebbe tornare indietro su una delle conquiste più importanti del femminismo: la gestione libera del proprio corpo. Senza negare i rapporti di forza e violenza che regolano la maggior parte dei rapporti tra clienti e donne che si prostituiscono, non si può negare, dicono, che una parte della prostituzione è fatta da donne adulte – e anche da uomini – che scelgono liberamente di farlo. Penalizzare il cliente significherebbe inoltre stabilire che esistono una sessualità “buona” e una sessualità “cattiva”.

Come funziona in Europa
La prostituzione nella maggior parte dei paesi europei è “tollerata”: né proibita né autorizzata come un’attività economica distinta. Le legislazioni non sono uniformi tra i vari paesi e riflettono le difficoltà a conciliare le questioni che hanno a che fare con la criminalità, il fisco e la “morale”.

I modelli per trattare la prostituzione, dal punto di vista legale, sono tre: quello proibizionista, che consiste nel vietare la prostituzione e nel punire la prostituta; quello abolizionista, che vuole scoraggiare la prostituzione non vietandola o regolamentandola, ma punendo tutta una serie di condotte collaterali (come favoreggiamento, induzione, sfruttamento, etc.); quello regolamentarista, che ha come linea guida la legalizzazione e la regolamentazione della prostituzione, e che può avvenire in modi differenti. Ci sono poi due sottoinsiemi: il primo, che si può definire neo-regolamentarista, che vuole rimuovere le leggi per depenalizzare l’attività sessuale a pagamento fra adulti consenzienti; e poi il secondo, che viene invece definito “modello svedese”.

Il “modello svedese” è stato adottato in Svezia nel 1999 e si basa sulla criminalizzazione del cliente: le violazioni sono punibili con delle multe o con il carcere fino a sei mesi. La Svezia è stata poi seguita in questa legge da Norvegia nel 2009, Islanda nel 2015 e ora dalla Francia. Questo modello si basa sul principio che la prostituzione è una violenza dell’uomo contro la donna, in qualsiasi caso. Margareta Winberg, al tempo dell’approvazione ministro per la Parità tra i Sessi, intervenendo a un congresso su “Donne, Lavoro e Salute” a Stoccolma, nel giugno 2002, parlò così della legge:

«La prostituzione non è mai un lavoro o il risultato di una libera scelta delle donne. E tutto il mercato delle prostitute straniere è schiavizzato.

Le cause sono la società patriarcale, la povertà che deriva dall’ineguale distribuzione delle risorse tra donne e uomini, lo stupro, l’incesto e altre forme di violenza maschile contro le donne e, infine, la “femminizzazione” della povertà.

Come ogni altro mercato, quello del sesso dipende dai compratori. Senza uomini che credono di potersi prendere il diritto di comprare il corpo di altre persone e di usarlo per il proprio piacere non ci sarebbe prostituzione. Lo sfruttamento sessuale delle donne finirebbe».

Queste posizioni sono tra l’altro ampiamente condivise da una parte del pensiero femminista. Poi c’è il cosiddetto Trans-exclusionary radical feminism, e cioè un’area del femminismo radicale che è soprattutto statunitense e fa parte della seconda ondata del movimento: le principali esponenti di questo sottogruppo non solo criticano fortemente le identità transgender (il genere sessuale coincide per loro con il sesso biologico) ma si oppongono anche alle prostitute (prostituirsi non è una professione che si possa esercitare liberamente, ma è frutto di un’oppressione) e sono politicamente vicine alle posizioni della destra. Si oppongono, infine, alle femministe di terza ondata che invece lavorano sulle identità sessuali dislocate, contro il determinismo biologico, sul concetto di genere e di libera scelta delle donne. Secondo un rapporto pubblicato lo scorso anno in Svezia, dall’introduzione della legge la prostituzione nel paese è diminuita della metà.