Il primo disastro del Cermis, quarant’anni fa

Il 9 marzo 1976 una cabina della funivia di Cavalese, in Trentino, si staccò dalla fune: morirono 42 persone nel più grave incidente di sempre a una funivia

(ANSA Foto)
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Il 9 marzo 1976, poco dopo le cinque di pomeriggio, una cabina della funivia che raggiunge l’Alpe Cermis, in Trentino, si staccò dal cavo d’acciaio che la sorreggeva schiantandosi a terra e percorrendo circa 100 metri sul dorso della montagna prima di fermarsi. Morirono 42 delle 43 persone che erano a bordo, in quello che è stato il peggior incidente accaduto a una funivia della storia. A volte l’incidente del 1976, conosciuto anche come “disastro della funivia di Cavalese”, dal nome del comune dove si trovava l’impianto, viene confuso con quello del 1998 che accadde alla stessa funivia 20 anni dopo, quando un aereo militare americano tranciò le funi della funivia durante un volo a bassa quota, facendo cadere una cabina con a bordo 20 persone, che morirono tutte.

L’Alpe del Cermis è una montagna di 2250 metri, sui cui versanti c’è una frequentata stazione sciistica. A collegare il comune di Cavalese e le piste da sci c’era una funivia costruita nel 1964 dalla ditta Hölzl. La funivia si divideva in due tronconi, e l’incidente avvenne nel primo (partendo dal basso), lungo circa due chilometri e mezzo e che portava i passeggeri da un’altitudine di 1000 metri (quella di Cavalese) a 1280 metri. Il primo tratto era suddiviso in due campate da un pilone di cemento, posto circa 1500 metri dopo la stazione di partenza: le cabine della funivia potevano ospitare fino a 40 passeggeri (più il manovratore), e raggiungevano una velocità massima di dieci metri al secondo. Nel punto più alto, le cabine che percorrevano la prima tratta si trovavano a circa 180 metri dal suolo: Cavalese trova infatti su una piccola altura, e la funivia attraversava il fondovalle della Val di Fiemme.

prima_pagina_stampaSulla cabina che cadde il 9 marzo 1976 erano salite due persone in più della capacità massima, ma tra queste c’erano quindici bambini: il peso complessivo dei passeggeri non era dunque superiore al limite di carico previsto. Le due funi alle quali era attaccata la cabina si accavallarono mentre questa stava scendendo verso Cavalese: una fune tranciò l’altra, e la cabina cadde da un’altezza di diverse decine di metri, schiantandosi al suolo. Dopo l’impatto, la cabina proseguì la sua discesa lungo il versante della montagna, percorrendo un centinaio di metri prima di fermarsi in un prato. Nella caduta, il carrello che collegava la cabina alla fune, che pesava circa tre tonnellate, cadde sulla cabina, schiacciandola. Morirono 42 persone, compresi i 15 bambini: tra i passeggeri c’erano 21 tedeschi di Amburgo, 11 italiani, 7 austriaci e un francese.

Alessandra Piovesana, una ragazza milanese che all’epoca aveva 14 anni, fu l’unica sopravvissuta, e si salvò perché fu protetta nell’impatto dai corpi degli altri passeggeri: rimase comunque gravemente ferita e passò un periodo in ospedale. Le indagini scoprirono che al momento dell’incidente il sistema automatico di sicurezza era stato disinserito per velocizzare il trasporto dei passeggeri: quando le due funi si erano accavallate, la cabina era stata fatta procedere manualmente, provocando la rottura delle funi. Carlo Schweizer, manovratore della funivia, fu condannato nel 1981 in Cassazione come unico responsabile dell’incidente: in carcere trascorse in tutto nove mesi. In un secondo processo venne condannato a tre anni di carcere anche il capo servizio Aldo Gianmoena. Per entrambi l’accusa fu di omicidio colposo.