Rimanere senza una legge sulle unioni civili è incostituzionale

Lo sostiene Stefano Ceccanti, costituzionalista ed ex senatore del PD in un articolo sull'Unità

La manifestazione a Roma del 23 gennaio a favore delle unioni civili (ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images)
La manifestazione a Roma del 23 gennaio a favore delle unioni civili (ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images)

Il costituzionalista ed ex senatore del PD Stefano Ceccanti ha spiegato su l’Unità perché, secondo lui, la Costituzione italiana non solo non è contraria alle unioni civili, ma richiedere anche che un simile provvedimento venga approvato (sulla questione di costituzionalità delle unioni civili si può approfondire qui). Nel suo articolo, Ceccanti risponde alle critiche fatte nelle ultime settimane al ddl Cirinnà, quello che introduce le unioni civili e che è attualmente in discussione al Senato: il ddl è stato criticato soprattutto da diverse associazioni cattoliche e da molti parlamentari dell’opposizione contrari alla legge. Oggi, a Roma, è in corso il “Family Day” una manifestazione contro il DDL Cirinnà.

La settimana prossima il Senato inizia col voto delle pregiudiziali, non sulle soluzioni di merito. I due piani sono però collegati perché c’è la tentazione di accusare di incostituzionalità tutto ciò che non condividiamo. In verità su questo come su altri temi la Costituzione non può né vuole imbrigliare il legislatore ad un’unica soluzione, né ancorarlo ad un’univoca definizione di cosa sia “naturale”, su cui i Costituenti la pensavano in modo molto diverso. In ogni caso il principio personalista comporta per il legislatore l’assumere che “lo sviluppo della persona è un compito da realizzare e non solo un dato da rispettare” (Barbera).

Prima di affrontare le pregiudiziali va segnalato che ad essere incostituzionale è anzitutto non il testo, ma l’assenza di una legge sulle unioni di persone omosessuali. La Corte con le due sentenze chiave (138 del 2010 e 170 del 2014) ritiene che l’articolo 2 della Costituzione sia violato finché il Parlamento non provveda: da qui il carattere pretestuoso dell’argomento dell’esclusione delle persone eterosessuali che hanno già a disposizione il matrimonio. Nello stesso senso la Corte di Strasburgo che vigila sul rispetto della Convenzione europea (a cui ci vincola l’art. 117.1 della Costituzione) ha condannato l’Italia per l’assenza di una legge con la sentenza Oliari del 21 luglio 2015.

Chiariti questi margini e questo vincolo, al di là della questione della copertura risolta con stime ricavate dall’analoga esperienza tedesca, le pregiudiziali propongono due tipi di argomenti.

Il primo è forse il meno comprensibile per l’opinione pubblica, ma va comunque esaminato perché, qualora fondato, travolgerebbe tutto. Si tratta della procedura: l’articolo 72 della Costituzione fissa delle regole per l’esame dei testi in modo che siano seriamente esaminati, prima in Commissione e poi in Aula, regole specificate nei Regolamenti. Fuori dal tecnicismo si potrebbe spiegare così: ma il Parlamento conosce davvero le cose su cui sta deliberando? L’istruttoria è stata seria? E’ un fatto che i testi sulle unioni abbiano occupato la Commissione Giustizia per oltre 70 sedute dal giugno 2013. Quello che si discute in Aula è un aggiornamento del testo adottato il 26 marzo 2015, varato proprio per tenere conto del dibattito che si è svolto su di esso per 20 sedute. Sostenere che l’esame in Aula sarebbe prematuro perché a causa dell’ostruzionismo in Commissione non è stato completato significherebbe accettare un potere di veto assoluto di chi non condivide un testo. Un veto che né l’articolo 72 della Costituzione né i Regolamenti potrebbero ammettere perché sarebbe travolta la funzionalità delle istituzioni.

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