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  • Domenica 24 gennaio 2016

Lo stato del calcio in Asia

Come stanno procedendo i tentativi di sviluppo dello sport più popolare al mondo nel continente più popolato al mondo, tra grandi investimenti e scarsa tradizione

(AP Photo/Christophe Ena)
(AP Photo/Christophe Ena)

Nonostante sia il continente più popolato del mondo, con alcune delle economie più grandi e in crescita, l’Asia è anche il continente in cui il calcio è generalmente meno sviluppato, sia se parliamo di nazionali e squadre di club sia se parliamo della semplice crescita di calciatori di buon livello. Per Asia intendiamo qui la sua accezione politica, ma nel calcio le federazioni continentali non la rispettano fedelmente: Israele e Kazakistan, per esempio, fanno parte dell’UEFA anche se non sono nel continente europeo. Anche l’intera Russia, da Mosca a Vladivostok, fa parte dell’UEFA; e la federazione asiatica, invece, comprende anche l’Australia.

Lo scarso sviluppo del calcio asiatico si deve principalmente alla mancanza di una vera tradizione calcistica e alla popolarità di altri sport poco conosciuti in Europa: le nazioni più aperte e con più frequenti e duraturi rapporti con l’Occidente, infatti, sono anche quelle che hanno un sistema calcistico più solido e sviluppato. Nazioni come Giappone e Corea del Sud nel calcio fanno praticamente da sempre da traino per l’intero continente, grazie a una presenza regolare delle proprie nazionali ai campionati del mondo, all’esportazione di numerosi calciatori in Europa e al dominio nelle coppe continentali per club. Tuttavia, negli ultimi anni il ruolo di Giappone e Corea del Sud é stato parzialmente ridimensionato dalla crescita di alcuni campionati che hanno iniziato a creare un sistema in grado di sfruttare le loro enormi potenzialità. In generale però la popolarità del calcio è ancora molto disomogenea: la crescita dei campionati non è sempre collegata al livello dei giocatori locali e in alcune situazioni la competitività dei club dipende esclusivamente dagli investimenti di poche persone.

Il campionato indiano
Un campionato di squadre professionistiche indiane esiste in varie forme dal 1996. Nel 2014, oltre alla già esistente I-League, che è considerata il vero campionato indiano, è iniziata anche la prima stagione della Indian Super League, di cui negli ultimi due anni si è parlato molto perché è un torneo abbastanza particolare. Le squadre che partecipano sono soltanto otto e, sul modello della Major League Soccer americana, non sono previste promozioni o retrocessioni: le prime quattro squadre si affrontano nei playoff per giocare poi la finale del torneo. Nelle prime due stagioni ci hanno giocato grandi campioni del passato come Alessandro Del Piero, Robert Pires, Lucio e Marco Materazzi (ora allenatore), e molti altri giocatori noti a chi ha seguito il calcio italiano e internazionale negli ultimi anni.

Le otto squadre che partecipano alla Super League sono state fondate apposta per questa competizione e sono Atletico de Kolkata, Chennaiyin, Mumbai City, NorthEast Utd, Pune City, Delhi Dynamos, Kerala Blasters e FC Goa. Quasi tutte hanno una partnership con una squadra europea e tra allenatori e giocatori ci sono molte vecchie conoscenze del calcio italiano e mondiale: principalmente giocatori di una certa età che sono andati in India a terminare la loro carriera. Sia i giocatori indiani che quelli internazionali vengono selezionati attraverso un draft: un sistema per cui ogni squadra ha diritto a scegliere un giocatore, secondo un ordine sorteggiato in precedenza, come quelli dell’NBA. L’Indian Super League però è considerata più come un evento annuale e ha pochissime ripercussioni sullo stato del calcio indiano. Già da questa stagione, peraltro, sembra aver perso importanza e il numero di giocatori noti è sensibilmente diminuito.

Nonostante l’India sia il secondo paese più popolato al mondo e abbia un’economia in costante crescita, nel calcio internazionale resta praticamente inesistente. La nazionale è al 163esimo posto nel ranking FIFA, fra Malta e Grenada, e le squadre di calcio indiane non partecipano all’Asian Champions League, la più importante competizione per club asiatici, ma alla AFC Cup, una competizione minore in cui i club indiani sono ogni anno fra i più deboli. Gli sport più popolari sono altri, come il cricket e l’hockey su prato, anche se gli inglesi importarono il calcio nel paese verso la fine dell’Ottocento, prima che in tanti paesi europei. Oltre al limite rappresentato dalle tradizioni, lo scarso sviluppo del calcio in India è dovuto anche alla carenza di strutture adeguate.

La situazione nel Medio Oriente
Da quasi due decenni i paesi più ricchi del Medio Oriente stanno investendo moltissimo nel calcio, e in varie maniere. Oltre alla presenza nelle proprietà di alcuni dei club più importanti d’Europa, paesi come Qatar, Arabia Saudita, Bahrein e Emirati Arabi Uniti stanno dando un’importanza sempre maggiore al calcio locale.

I Mondiali del 2022 si terranno – fra molte polemiche – proprio in Qatar, che è il paese che più ha investito nel calcio negli ultimi anni. Il progetto più importante del calcio qatariota è l’Aspire, un’enorme scuola calcio con base a Doha fondata da un imprenditore privato nel 2004. Ospita circa trecento ragazzi che provengono da scuole calcio locali gestite dalla stessa Aspire (in tutto fanno parte di queste accademie circa seimila bambini). I ragazzi sono selezionati principalmente in Africa tramite numerosi passaggi di selezione: secondo un articolo di Undici, Aspire ha visionato per la propria accademia quattro milioni di bambini solamente fra il 2007 e il 2009. I migliori – che vengono obbligati ad avere un unico agente – vengono poi mandati a giocare nell’Eupen, una squadra di Serie B belga che i proprietari di Aspire hanno comprato per circa 4 milioni di euro.

Alcuni giocatori cresciuti nella Aspire già oggi giocano in forti squadre di calcio europee: è il caso di Diawandou Diagne, difensore senegalese di proprietà del Barcellona “B”, e di Franck Cedric Tchoutou, attaccante camerunense della Roma ora in prestito alla squadra romena del Voluntari.

Quello saudita invece è storicamente il campionato più importante della regione e detiene il record di Asian Champions League vinte da una nazione mediorientale: quattro dal 1992 a oggi. Quello che è mancato finora alle squadre dei paesi più ricchi del Medio Oriente è stata la programmazione e la creazione di sistemi equilibrati in grado di mantenere una certa stabilità anche senza la presenza di una proprietà molto ricca. Tutte le squadre principali sono di proprietà degli sceicchi, noti per la loro imprevidibilità nelle scelte societarie: molti giocatori e allenatori europei che hanno avuto esperienze in Medio Oriente hanno spesso fatto riferimento al protagonismo dei proprietari delle squadre, con il quale spesso si sono scontrati.

Le squadre mediorientali più forti degli ultimi anni sono l’Al Sadd, nel 2013 vincitrice dell’Asian Champions League e di proprietà della famiglia qatariota Al Thani, l’Al-Ahli, squadra degli Emirati Arabi Uniti, e l’Al-Hilal, squadra di Riyad, capitale dell’Arabia Saudita. In altri paesi il calcio ha perso molta della sua importanza soprattutto a causa delle difficili condizioni in cui vivono le popolazioni. Fino agli anni Novanta, per esempio, in Iran avevano sede alcune delle squadre più forti del continente, che per tre volte riuscirono a vincere l’Asian Champions League: la prima volta nel 1970, l’ultima nel 1993. La tradizione calcistica di questi paesi però si può ancora notare: l’Iran si è qualificato ai Mondiali del 2014 mentre l’Iraq ha vinto la Coppa d’Asia nel 2007 ed è arrivato quarto nel 2015.

In Iraq, nonostante la presenza dell’ISIS nel nord del paese, il campionato continua regolarmente da alcuni anni ma con molti problemi derivati dalle condizioni di sicurezza. Nessuna squadra rilevante ha sede nelle città controllate dall’ISIS e la prima divisione è formata da club con sede nel Kurdistan, a Baghdad e nel sud-est. Un problema costante viene dal Kurdistan, dove hanno sede diverse squadre di prima divisione, i cui abitanti minacciano da anni anche un’indipendenza calcistica. Il campionato siriano è messo molto peggio e a causa della guerra civile e dell’avanzata dell’ISIS è stato praticamente disintegrato. In Afghanistan, il primo vero campionato nazionale è stato fondato nel 2012.

Kazakistan e Uzbekistan
Il Kazakistan fa parte dell’UEFA dal 2002 e da allora ha partecipato a tutte le qualificazioni continentali agli Europei e ai Mondiali. L’estensione geografica del paese va dal Mar Caspio alla Cina; la vecchia capitale Almaty, la cui squadra è una delle due più importanti del paese, dista solo poche centinaia di chilometri dal confine cinese. L’Uzbekistan è situato a sud-ovest del Kazakistan ma fa parte dell’AFC: entrambe nel corso degli ultimi anni hanno migliorato molto l’organizzazione del proprio sistema calcistico. Il Kazakistan lo ha fatto principalmente grazie agli investimenti del governo autoritario di Nursultan Nazarbaev, che nel 2008 ha creato la squadra delle capitale, l’FC Astana. Il club è sponsorizzato dal Samruk-Kazyna, il fondo sovrano kazako che ha un portafoglio stimato in circa 78 miliardi di dollari e quest’anno è riuscito a partecipare per la prima volta alla fase a gironi della Champions League. Dagli anni Novanta a oggi il governo kazako ha creato molte strutture sportive in tutto il paese e alcuni importanti imprenditori hanno preso il controllo delle due storiche società di calcio kazake investendoci grosse somme di denaro: lo Shakhter Karagandy e il Kairat Almaty. La prima ha disputato l’anno scorso la fase a gironi di Europa League, mentre in questa stagione il Kairat è arrivato fino ai playoff.

 

L’Uzbekistan invece è partito dal basso e ha concentrato i propri investimenti nei settori giovanili. Gli investimenti hanno iniziato a dare i primi risultati nelle qualificazioni ai Mondiali del 2014, quando l’Uzbekistan riuscì ad arrivare ai playoff delle qualificazioni asiatiche, persi poi ai calci di rigore contro la Giordania.

I vecchi campionati
Dai primi anni Novanta, le squadre giapponesi e coreane sono state le protagoniste dell’Asian Champions League e le più forti del continente. Entrambi i campionati, ritenuti ancora oggi i più importanti e competitivi dell’Asia, vennero creati nei primi anni Novanta dopo anni di competizioni amatoriali e generalmente poco seguite: nei due paesi esisteva comunque già da tempo una minima tradizione calcistica. A differenza del campionato cinese o di quelli mediorientali, quelli giapponese e coreani non sono stati investiti all’improvviso da un’enorme quantità di denaro ma hanno creato col tempo un sistema solido e organizzato, dalle giovanili alle prime squadre. La nazionale coreana ha partecipato a nove fase finali della Coppa del Mondo, la maggior parte delle quali è avvenuta dagli anni Novanta ad oggi. Il Giappone invece ha partecipato a cinque fase finali. Anche i giocatori asiatici più forti provengono dai due paesi.

 

Principalmente a causa della crescita del campionato cinese, negli ultimi anni i due campionati si sono indeboliti parecchio, soprattutto quello coreano, da cui i club cinesi hanno acquistato il maggior numero di giocatori. Una squadra giapponese non arriva in finale di un Asian Champions League dal 2008 mentre le coreane mancano dal 2013.

Il calcio cinese
Nonostante sia uno sport importato dall’Occidente, il calcio ha milioni di fan in Cina ed è un mercato molto ambito dai club europei. Ma i risultati della Cina a livello internazionale sono sempre stati piuttosto miseri, e lo sono ancora oggi che molte cose sono cambiate: la nazionale è attualmente al 82° posto del ranking FIFA, tra la Libia e il Venezuela. La Cina si è qualificata solo nel 2002 alle fasi finali di una Coppa del mondo, ma solo perché Giappone e Corea del Sud avevano ottenuto di diritto la qualificazione in quanto nazioni ospitanti.

Il campionato nazionale cinese divenne una lega professionistica solo nel 1994. La Super League esiste dal 2004, quando il campionato venne riorganizzato. Da allora alcuni dei più ricchi imprenditori al mondo hanno investito diverse centinaia di milioni nelle 16 squadre che compongono la Super League: i tantissimi tifosi generavano speranze di grandi ricavi. Nonostante i molti soldi investiti nelle squadre e nelle strutture e l’aumento dell’importanza della competizione, però, la vecchia prima divisione è gestita da funzionari scelti dal partito comunista e la corruzione è ancora diffusa. Solo nell’ultimo decennio gli episodi di corruzione nel calcio hanno coinvolto giocatori, presidenti delle società e funzionari della federazione. Periodicamente le autorità lanciano campagne per stroncare la corruzione e le irregolarità nello sport. Negli ultimi cinque anni ci sono state decine di arresti, dagli allenatori ai giocatori e agli arbitri: a gennaio del 2010 vennero arrestati e interrogati due vicepresidenti della federazione calcistica cinese, il massimo organo di controllo dello sport. L’ex presidente della federazione, Nan Yong, confessò una volta che era possibile comprare presenze nella nazionale cinese per 100 mila yuan (poco più di 13 mila euro al cambio attuale).

L’ingresso delle grandi aziende nelle proprietà dei club nazionali, l’interesse del governo nello sviluppo dello sport e il conseguente aumento d’importanza hanno normalizzato la situazione, almeno in apparenza. Ora i club cinesi, per esempio, hanno iniziato a comprare regolarmente giocatori dall’estero. Solo quest’anno sono stati acquistati circa un centinaio di giocatori stranieri, in maggioranza brasiliani, e alcuni volti noti che avrebbero potuto continuare a giocare ad alti livelli in Europa come Demba Ba, Paulinho, Robinho e Renato Augusto. La squadra di Guangzhou, l’EvergrandeTaobao, è stata allenata negli ultimi anni da Marcello Lippi, Fabio Cannavaro e Felipe Scolari, ha vinto due Champions League asiatiche e ha ingaggiato, tra gli altri, calciatori affermati come Alessandro Diamanti, Alberto Gilardino, Dario Conca e Elkeson.

 

La Super League cinese sta prendendo il posto dei campionati giapponesi e coreani, fino a pochi anni fa considerati i migliori d’oriente. Se i loro campionati hanno perso importanza, complessivamente il calcio in questi due paesi rimane di livello ben superiore a quello cinese. La differenza sta nell’uniformità dello sviluppo: Giappone e Corea hanno ottimi campionati, nazionali di buon livello che partecipano regolarmente ai Mondiali e hanno esportato in Europa diversi ottimi giocatori, la più grande grande carenza del calcio cinese. Il presidente cinese Xi Jinping a inizio 2015 ha predisposto un piano della durata di un decennio per potenziare le strutture calcistiche, aumentare la popolarità dello sport tra i ragazzi e far diventare la Cina il punto di riferimento del calcio asiatico.