C’è una soluzione alla moria delle banane?

Più di una, in realtà: ma dato che riguardano modificazioni genetiche hanno implicazioni etiche piuttosto rilevanti

di Dominic Basulto – Washington Post

(Patrick Pleul/picture-alliance/dpa/AP Images)
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La prossima volta che andate al supermercato, soffermatevi a lungo al banco delle banane. Questo perché le banane per come le conosciamo potranno scomparire nel giro di qualche anno. Questa catastrofe però potrebbe spingere i biologi a inventarsi un nuovo tipo di banana, prodotta sinteticamente per rimpiazzare la specie che rischia di scomparire. Questa nuova banana avrebbe lo stesso gusto e sembianze di una banana, e avrebbe più o meno lo stesso DNA: con l’unica differenza che verrebbe assemblata da un gruppo di scienziati. Questa banana geneticamente modificata avrebbe del materiale genetico progettato o modificato per comportarsi in maniera differente da come fa adesso.

Ma torniamo indietro un secondo. Perché mai qualcuno dovrebbe mettersi a inventare dal nulla una nuova specie di banana? Tutto è nato da una ricerca della Wageningen University, un istituto di ricerca olandese, che sostiene che la diffusione di un fungo noto come “malattia di Panama” eliminerà tutta la specie Cavendish, cioè il 99 per cento delle banane in tutto il mondo (già in passato un’altra malattia ha rischiato di eliminare completamente un’altra specie di banana, la Gros Michel). Al momento le Cavendish non hanno difese contro la malattia di Panama e il fungo si sta dimostrando resistente ai pesticidi: il problema dunque è molto grave.

Per ora la malattia di Panama è diffusa soprattutto in Asia e in alcune parti di Africa, Medio Oriente e Australia, ma il vero guaio accadrà quando arriverà in Sud America. È lì che è coltivato l’80 per cento delle Cavendish, ed è in quel momento che rischierà di estinguersi. In altre parole, l’obiettivo è far diventare le banane resistenti al fungo.

Ed è qui che entrano in gioco la biologia di sintesi: potrebbe trovare un modo per modificare il DNA della Cavendish per renderla resistente alla malattia di Panama. Il fungo attacca la banana distruggendo il meccanismo di trasporto dell’acqua della pianta, facendola morire di disidratazione. La modifica dovrebbe quindi cercare di far sì che la banana si idrati comunque una volta venuta a contatto col fungo, oppure che elimini completamente i suoi effetti.

Ovviamente l’idea di produrre geneticamente una banana per ora esiste solo sulla carta. Al momento sul mercato non esistono “banane sintetizzate”. Eppure, il numero di cibi geneticamente modificati sta aumentando: ci credereste che in laboratorio si può produrre della carne? O che ci sono uova ricavate da piante e non da galline? O ancora che esiste latte prodotto a partire da lieviti sintetici? Alcuni biologi parlano addirittura di “un’economia post-animale”, in cui non avremo bisogno di uccidere animali per procurarci certi prodotti latticini o proteici. L’azienda che produce il latte dal lievito sintetico si chiama “Muufri”: cioè la traslitterazione di “moo-free”, in inglese “senza mucca”.

Grazie a tecniche di modificazione genetica come la CRISPR, oggi è possibile creare mele che non diventano marroni pochi minuti dopo che vengono tagliate o patate senza ammaccature. Di recente l’agenzia americana che si occupa di regolamentare i prodotti alimentari e farmaceutici ha approvato la creazione di una specie di salmoni geneticamente modificata che cresce più in fretta: è il primo cibo creato geneticamente ad essere commerciato negli Stati Uniti.

Cosa che ci porta al problema che dovrà affrontare la biologia di sintesi nel caso fossero costretti a creare un nuovo tipo di banana: dovranno riuscire a superare la diffidenza che già ora le persone hanno nei confronti prodotti geneticamente modificati (ai quali cioè viene “solamente” inserito un pezzo di DNA da un’altra specie, e non creato dal nulla). Una “banana geneticamente creata” suona ancora più sospetta di “banana geneticamente modificata”. Ma ci sono altre opzioni: attualmente sta ricevendo sempre più consensi l’utilizzo di soluzioni contenenti particolari batteri da applicare a colture come il mais e la soia, così come su frutta e verdura, per difenderli da malattie, erbacce e agenti infestanti. A novembre le aziende alimentari Syngenta e DSM hanno annunciato un piano per trattare le culture in questo modo, mentre la nota azienda Monsanto è fra le società che hanno fondato il consorzio BioAg Alliance per creare soluzioni a base di batteri per proteggere le piante da malattie, funghi ed erbacce.

In questo scenario un pesticida modificato geneticamente, ricavato dai batteri, sarebbe applicato alle banane sudamericane e la cosa le renderebbe immuni alla malattia di Panama. I biologi avrebbero un ruolo, ma solamente indiretto. Ma guardiamo la cosa più in profondità: grazie alla biologia sintetica stanno avvenendo scoperte davvero innovative nel mercato del cibo. Stiamo iniziando a concepire il cibo come un prodotto tecnologico, che viene creato secondo bisogni specifici e usando una serie di strumenti – microbi, batteri e lieviti – o tecniche di modificazione genetica come la CRISPR. Queste scoperte stanno rendendo sempre più elastico il confine fra piante, animali e batteri, e potenzialmente provocheranno domande etiche molto impegnative sulla concezione e la produzione del cibo. La grande moria delle banane, se davvero accadrà, potrebbe dare una spinta a sviluppare tecniche di biologia sintetica che per ora sono solo agli albori.

© Washington Post 2015