La mostra d’arte a Teheran di cui parlano tutti

È dedicata a una donna, per la prima volta dal 1979 ha un curatore straniero e sono esposte opere che non si vedevano in pubblico dall'inizio della rivoluzione islamica

Lo scorso 21 novembre, al Museo d’Arte Contemporanea di Teheran (TMoCa), in Iran, è cominciata una mostra che è stata raccontata da diversi giornali internazionali per almeno tre motivi: è dedicata a una donna, per la prima volta dalla rivoluzione che trasformò la monarchia del paese in una repubblica islamica è stato chiamato un curatore straniero e sono esposte opere d’arte contemporanea che non si vedevano dal 1979.

La mostra si intitola «Towards the ineffable» ed è una retrospettiva dedicata all’artista iraniana Farideh Lasha, cosa piuttosto rara in un mondo (e in un paese) dominato invece da artisti di sesso maschile. Lashai nelle sue opere ha combinato la tradizione dell’arte classica persiana con una visione più contemporanea ispirata all’arte moderna. Lashai, che è morta di cancro nel 2013 a 68 anni, tra le altre cose è stata anche scrittrice e traduttrice di Brecht e Natalia Ginzburg. Alle sue opere sono affiancate quelle di altri artisti iraniani e quelle di importanti artisti occidentali che hanno avuto un’influenza su di lei. La mostra è curata dall’architetta e curatrice iraniana Faryar Javaherian e da Germano Celant, storico dell’arte, direttore artistico della Fondazione Prada di Milano e curatore della Fondazione Vedova a Venezia: è la prima volta dalla rivoluzione islamica del 1979 il Museo di Arte Contemporanea ospita un curatore straniero. Intervistato su Vanity Fair Celant ha detto che il suo obiettivo è stato quello di «costringere il pubblico a guardare il contesto. Stiamo cercando di dire che l’identità dell’arte iraniana è legata a un’altra identità nel mondo. Ecco il dialogo che deve essere messo in gioco ed ecco il mio ruolo di curatore non iraniano».

Uno dei motivi per cui si è parlato molto della mostra è che darà la possibilità di vedere opere che erano “scomparse” dal 1979. Molto prima che Abu Dhabi e il Qatar cercassero di diventare protagonisti della scena artistica attraverso la collaborazione con prestigiosi musei, architetti molto famosi e grandi somme di denaro per le acquisizioni, l’Iran per volontà di Farah Diba, terza moglie dell’ultimo Scià, aveva creato la più importante collezione d’arte contemporanea in Asia e una delle più importanti al mondo. Si tratta di circa 1.500 opere prodotte tra il 1880 al 1970. La collezione (il cui valore stimato è tra i 2,5 e i 3 miliardi di dollari) comprende opere di Munch, Degas, Van Gogh, Pissarro, Renoir, Gauguin, Toulouse-Lautrec, Kandinsky, Braque, Picasso, Miró, Magritte, Chagall, Soulages, Francis Bacon, Richard Hamilton, Henry Moore, Warhol, Lichtenstein, Rosenquist, Vasarely, Jackson Pollock, Rothko, Jasper Johns.

Nel 1979, lo Shah e la sua famiglia vennero espulsi e costretti all’esilio dalla rivoluzione islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini: il 30 marzo un referendum sancì la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran con il 98 per cento dei voti e accanto al potere politico tradizionale rappresentato dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento, a cui furono riservati compiti puramente esecutivi, fu creata un’organizzazione di ispirazione religiosa affidata a una Guida Suprema (faqih) e a un Consiglio dei Saggi (velayat-e faqih): vennero banditi bevande alcoliche, gioco d’azzardo e prostituzione, iniziarono le persecuzioni contro gli omosessuali e contro chiunque assumesse comportamenti non conformi alla sharia. Fu in quel periodo che il personale del museo nascose la collezione nei sotterranei rendendola inaccessibile al pubblico. Alcune opere erano considerate “anti-islamiche”, altre definite “pornografiche”, come quelle di Degas o di Francis Bacon. Altre ancora rappresentavano semplicemente i simboli della cultura occidentale odiati dal nuovo potere teocratico che aveva censurato anche diversi libri e tipi di musica.

Nel 1994, un importante dipinto di Willem de Kooning “Woman III” del 1952, venne scambiato con un’edizione del “Libro dei Re”, manoscritto della prima metà del XIV secolo che racconta la storia degli antichi re di Persia, e che apparteneva a un uomo d’affari americano. Il dipinto venne valutato 20 milioni di dollari e lo scambio venne organizzato nell’aeroporto internazionale di Vienna, in Austria. “Woman III” è stato poi venduto nel 2006 a New York per 137 milioni di dollari. Questo “cattivo affare” portò il Consiglio dei Saggi a vietare la vendita o lo scambio di opere del Museo d’Arte Contemporanea, con qualche rara eccezione tra il 1997 e il 2005 soprattutto durante il mandato dell’ex presidente riformista Mohammad Khatami che attenuò temporaneamente le restrizioni sull’arte e autorizzò qualche esposizione locale di alcune opere della collezione. Lo scorso ottobre il TMoCa ha autorizzato il prestito di 60 opere della collezione attualmente in esposizione ad alcuni musei stranieri in Germania, Stati Uniti e anche in Italia.