La storia di Rock Hudson

Una storia allegra e triste di formidabili commedie, di coming out, e di tempi drammatici: oggi avrebbe 90 anni se non fosse morto di AIDS

di Luca Sofri

In quella fase da ragazzi in cui ci si appassiona alle commedie di qualche generazione prima, io mi innamorai tra gli altri di Lo sport preferito dall’uomo e di Torna a settembre. Il primo potrebbe essere uno dei miei film preferiti di sempre, scelta trattata con condiscendenza dai miei conoscenti alla stregua del mio amore per i Pet Shop Boys – entrambi chiari sintomi di omosessualità latente – e il lago Wakapoogee sta nel mio immaginario geografico cinematografico nello stesso atlante di Punxsatawney, la cittadina di Ricomincio da capo. C’è Rock Hudson che è un grande esperto di pesca che non ha mai pescato in vita sua, e il film è tutto intorno alla protezione dell’impostura, tema quanto mai contemporaneo, e alla rivelazione liberatrice di una verità, tema quanto mai presente nella vita di Rock Hudson. Torna a settembre, ora che ci penso, ha anche un tema di occultamento della verità: lì Rock Hudson ha una villa sulla riviera ligure e il suo maggiordomo la trasforma in albergo quando lui non c’è, a sua insaputa. C’è Gina Lollobrigida, pure.

Rock Hudson avrebbe 90 anni, oggi. Ma è morto di AIDS quando ne aveva quasi sessanta, nel 1985, in mezzo alla crisi mondiale dell’AIDS. Fu una storia pazzesca e decisiva nella consapevolezza del mondo sulle dimensioni e gravità della malattia. Io la scoprii anni dopo, leggendo un bel romanzo di uno scrittore americano che era stato l’uomo che aveva tradito Rock Hudson sulla sua omosessualità. Ne scrissi una storia, tanti anni fa.

La parola “outing” doveva ancora essere infilata nei vocabolari. L’AIDS era di là da venire ed ebbe un volto solo nel 1985, quando morì Rock Hudson. Rendere pubblica la propria omosessualità era una scelta ancora molto rara, personale e rischiosa.
Armistead Maupin aveva conosciuto Rock Hudson allora, a 32 anni, quando stava cominciando a farsi una fama come scrittore grazie a Tales of the city: gli episodi raccontavano le storie di un gruppo di amici omosessuali e no nella San Francisco degli anni Settanta. Cresciuto in una famiglia conservatrice del North Carolina, Maupin si era laureato, era stato in Vietnam, ed era finito in California lavorando per l’Associated Press. San Francisco era il posto giusto per vivere da omosessuale con sincerità e libertà, e la decisione di non nasconderlo fu piuttosto precoce. Tales of the city, dapprima pubblicato a puntate sul San Francisco Chronicle, venne poi raccolto in volumi e divenne un successo internazionale, e ignorato in Italia. Ma una sera del 1976, ancora alla vigilia della pubblicazione del primo episodio, Maupin aveva avuto l’emozione di sentirlo declamare da Rock Hudson, attore mitizzato dalla comunità omosessuale benché la sua scelta non fosse mai stata resa pubblica. Rock Hudson non era quel tipo, non era il tipo della comunità omosessuale. Ruoli virili, copertine dei periodici, un matrimonio paravento e una carriera ormai virata verso la tv. Maupin lo conobbe attraverso un ex fidanzato, una sera a teatro. I due si videro di nuovo a casa di Hudson, che una sera gli fece la sorpresa di leggere ai presenti il racconto che sarebbe uscito la mattina dopo. Tra di loro nacque una storia, come può essere una storia di uno scrittore pubblicamente gay con un divo di Hollywood che non è mai stato lontanamente sfiorato dal pensiero di tradire il suo essere omosessuale. “Era un po’ imbarazzante lasciare casa sua in fretta e furia perché stava arrivando Liz Taylor per il bridge”, racconta Maupin. Il quale, da parte sua, stava consolidando sempre di più la sua coscienza e dignità di gay, forte anche del successo dei suoi racconti.
Così, come le cose succedono, dopo un po’ gli incontri si diradarono. Ma un giorno, il mondo seppe che Rock Hudson era malato: una delle prime star dello show-business che annunciava di avere l’AIDS. La rivelazione della sua omosessualità venne tenuta da parte con imbarazzo e ammiccamenti dai media e dal suo ambiente. I suoi amici non volevano che la notizia “offendesse” la sua persona. E molti gay temevano che questo potesse legare la malattia alla condizione omosessuale.

Ma non Maupin, che andava convincendosi che l’unico modo per trattare l’omosessualità senza condiscendenza o viltà fosse essere schietti e sinceri. Una sera venne chiamato da un giornalista per raccontare le sue sensazioni sulla triste condizione di Hudson. E decise di dire che tragedia fosse che “la vita di quest’uomo meraviglioso si riveli attraverso una malattia mortale”. Nei giorni che seguirono la verità fu sdoganata, la responsabilità della rivelazione fu scaricata su Maupin e la sua frase citata e ripetuta. All’improvviso per il mondo discreto o ipocrita, Rock Hudson era diventato gay. Per il rapporto dei media con le cose omosessuali fu un momento storico. Le cose cambiarono. People pubblicò il primo servizio equilibrato sui gay, e poi gli altri giornali. Molti non perdonarono Maupin e lo accusarono di aver strumentalizzato una sofferenza per motivi militanti. Ma fu lo stesso Rock Hudson, prima di morire nel 1985, a suggerire alla sua biografa di interpellare Maupin per primo.