• Moda
  • Mercoledì 4 novembre 2015

La moda fatta con gli animali

Sono da sempre impiegati nelle pubblicità di vestiti e accessori, soprattutto quelli di lusso: dal pony di Cara Delevingne ai cuccioli di leone di Julianne Moore

La campagna pubblicitaria di Mulberry del 2014, con la modella Cara Delevingne e un pony
La campagna pubblicitaria di Mulberry del 2014, con la modella Cara Delevingne e un pony

Gli animali sono da sempre presenti nelle riviste di moda, dove compaiono su pubblicità e servizi fotografici: i cani sono tantissimi, seguiti da animali più esotici come tigri, pappagalli, scimmie, leopardi e cammelli. Il sito Fashionista ha raccolto alcuni tra i casi recenti più famosi – Cara Delevingne con un gufo sul guanto per Mulberry, Julianne Moore con due cuccioli di leone per Bulgari, le pantere dei gioielli Cartier – e chiesto il motivo di un tale successo a giornalisti ed esperti. Un altro aspetto di cui si parla sempre sono le implicazioni etiche dell’utilizzo degli animali nelle campagne pubblicitarie, contestato da animalisti e attivisti come un vero sfruttamento.

Secondo Joshua Katcher, autore del libro Fashion and Animals e professore di moda alla Parsons School of Design di New York, gli uomini sono e saranno sempre affascinati da «sesso, morte, cose occulte – e animali. Quando gli animali vengono messi su riviste e pubblicità di moda, si attiva un’area primordiale del cervello di ciascuno di noi». Katcher aggiunge che gli animali vengono utilizzati nel mondo della moda almeno dall’inizio dell’Ottocento.

Debra Merskin, che ha lavorato nel settore pubblicitario e insegna giornalismo e comunicazione all’università dell’Oregon, spiega che l’impiego degli animali nella pubblicità è ovunque, non solo in quella legata alla moda, perché gli animali, con i loro significati simbolici, sono profondamente radicati nel nostro immaginario. Basti pensare alle pubblicità di automobili che utilizzano i cavalli per evocare in modo immediato la potenza del motore: nel settore della moda sono impiegati per promuovere beni di lusso, borse, sciarpe e scarpe. A volte, fa notare Merskin, sono anche affiancati ad articoli in pelliccia: anche se oggi non si vedono più stole di volpe con la testa o le zampe dell’animale penzolanti, «ci comportiamo ancora come se i tessuti siano separati dagli animali da cui provengono».

Il marchio Coach ha lanciato un’intera campagna pubblicitaria (#coachpups) con protagonisti i cani di alcuni personaggi famosi. Questo è quello di Lady Gaga.
https://instagram.com/p/5xNEO_GRzS/

Negli ultimi tempi i capi di vera pelle e pelliccia sono sempre più sostituiti da quelli realizzati in materiali sintetici, e molti animalisti chiedono che l’impiego di animali nell’abbigliamento venga abolito del tutto. Una delle contestazioni più frequenti riguarda i metodi e i luoghi in cui vengono addestrati gli animali. Stephen Ross, direttore del Lester Fisher Center, che studia le scimmie antropomorfe al Lincoln zoo di Chicago, ha spiegato che le pubblicità influenzano la percezione dell’opinione pubblica sul rischio di estinzione di alcune specie. Uno studio ha per esempio dimostrato che le persone non considerano gli scimpanzé una specie a rischio a causa della frequenza con cui appaiono sulle riviste. Inoltre l’addestramento – stando a un altro studio recente – modifica il comportamento degli animali: per esempio le scimmie addestrate tendono a spulciarsi di meno – un gesto affettuoso e giocoso, importante per integrarsi all’interno di un gruppo – rispetto agli altri esemplari in cattività. Ross racconta anche che gli scimpanzé che non servono più per gli scatti pubblicitari vengono solitamente venduti come animali da compagnia anziché essere portati in zoo e rifugi adeguati.

PETA, (People for the Ethical Treatment of Animals) un’associazione nonprofit che si occupa dei diritti degli animali, ha spiegato via email a Fashionista che molti animali utilizzati nel mondo della moda vivono in condizioni «deplorevoli» e sono picchiati e maltrattati durante l’addestramento. Anche gli addestratori più famosi sono spesso citati per violazione dell’Animal Welfare Act, la legge statunitense che regola il trattamento degli animali nella ricerca scientifica e negli spettacoli.