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  • Domenica 1 novembre 2015

Perché le squadre di calcio croate e serbe sono scarse?

Da anni sfornano campioni come Jovetić, Modrić e Mandžukić ma in Europa vanno male: c'entra il fatto che spesso sono ancora di proprietà del governo

La nazionale serba campione del mondo under20 (Phil Walter/Getty Images)
La nazionale serba campione del mondo under20 (Phil Walter/Getty Images)

Ogni anno le squadre di calcio in Croazia e in Serbia crescono decine di ottimi giovani calciatori, più di quanto ci si aspetterebbe normalmente da squadre di paesi di piccole dimensioni (hanno rispettivamente 4 e 7 milioni di abitanti). Spesso quei giocatori, dopo qualche stagione giocata nel proprio paese, passano a squadre molto forti e diventano fra i più bravi in Europa. Eppure le squadre croate e serbe da anni non raggiungono le fasi finali delle principali coppe europee, o vengono considerate fra le più forti squadre in circolazione. Come si spiegano queste due cose?

Di chi stiamo parlando
La Dinamo Zagabria è la squadra più importante del campionato croato: nelle sue giovanili sono cresciuti, fra gli altri, Luka Modrić e Mateo Kovačić, entrambi centrocampisti del Real Madrid, il centravanti Mario Mandžukić, ora alla Juventus, Alen Halilović, talentuoso centrocampista 19enne di proprietà del Barcellona, e Dejan Lovren, difensore del Liverpool. Questi sono solo alcuni fra i più noti giocatori cresciuti e poi venduti all’estero negli ultimi anni dal club di Zagabria: alcuni famosi calciatori del passato come Davor Šuker, Zvonomir Boban e Robert Prosinečki, prima di arrivare nei maggiori campionati europei, sono passati per la Dinamo Zagabria. Oltre alla Dinamo anche Hajduk Spalato, Partizan Belgrado e Stella Rossa fanno parte dei club da cui proviene la maggioranza dei calciatori croati e serbi attualmente sotto contratto con le più importanti squadre europee.

Le loro nazionali – soprattutto quella croata – sono di conseguenza fra le più forti in Europa. La nazionale croata per esempio è considerata forte più o meno quanto quella italiana, che può contare su un paese di circa 60 milioni di abitanti. Parallelamente, però, le squadre serbe e croate non riescono a essere competitive fuori dai propri campionati nazionali. La Dinamo Zagabria ha partecipato alla fase a gironi della Champions League, la prima fase “ufficiale” del torneo europeo più importante per club, solamente tre volte negli ultimi 15 anni (nell’edizione in corso è terza nel suo girone dietro Bayern Monaco e Olympiacos). Il Partizan Belgrado, che nelle ultime otto stagioni della Superliga serba ha vinto per sette volte, quest’anno è stato eliminato ai playoff di Champions League da una mediocre squadra bielorussa, il BATE Borisov.

Una differenza
Una delle cose che sul piano calcistico divide Croazia e Serbia dall’Italia è la quantità di partite giocate ogni anno dai calciatori più giovani. In Italia il livello del calcio giocato è molto più alto di quello serbo-croato e la maggior parte delle squadre preferisce far giocare i calciatori più esperti, quelli in grado di poter garantire fin da subito prestazioni all’altezza delle varie competizioni. Ogni anno quindi solo pochi giovani riescono a giocare un buon numero di partite in Serie A. Le modeste situazioni economiche dei club dell’ex Jugoslavia invece, “costringono” le squadre a far giocare ogni anno i migliori calciatori delle proprie giovanili. In questo modo le squadre non incrementano la propria competitività complessiva – dato che raramente i più forti restano a lungo – ma hanno la possibilità di dare ai giovani lo spazio necessario per una crescita costante e senza troppe pressioni: sedici dei venticinque giocatori convocati dalla nazionale serba under 20 giocavano ancora nel proprio paese quando questa estate hanno vinto la Coppa del Mondo di categoria.

Circa un anno fa la nazionale croata affrontò in amichevole l’Argentina vice-campione del mondo. I croati giocarono con le riserve: il capitano era il 22enne Vrsaljko – che gioca in Italia, nel Sassuolo – e l’eta media della squadra non superava i 24 anni. Vinse l’Argentina, che in campo mandò la squadra titolare: ma solo dopo una partita giocata alla pari per novanta minuti, risolta grazie a un tiro deviato e a un rigore.

Cosa non funziona
Ancora oggi la quasi totalità delle squadre serbe e croate è ancora di proprietà dello Stato, che finanzia i club, nomina le cariche dirigenziali e stabilisce quando devono essere cambiate. La proprietà statale, in paesi non ricchi e con alcune difficoltà come Croazia e Serbia, non può garantire alcun tipo di investimento: cosa che invece potrebbero fare i privati, a cui però non è concesso investire nelle società di calcio.

A questo si aggiungono tutti i difetti del sistema statale ereditato dalla Jugoslavia, fatto di corruzione diffusa e clientelismo. Negli ultimi vent’anni la Stella Rossa, storico club di Belgrado che nel 1991 vinse la Coppa Campioni, ha accumulato più di 60 milioni di euro di debiti e ogni anno il governo serbo è costretto a garantirne la sopravvivenza economica. Più volte i dirigenti della Stella Rossa sono stati accusati di evasione fiscale, appropriazione indebita e corruzione. Anche il Partizan Belgrado è in una situazione simile. Nelle ultime cinque stagioni ha guadagnato dalla vendita dei propri giocatori più di 50 milioni di euro: una cifra simile potrebbe permettere tranquillamente alla società di autofinanziarsi. Ma nonostante la cifre incassate negli anni, anche il Partizan è fortemente indebitato. Il primo ministro serbo Aleksandar Vučić ha parlato recentemente di una possibile privatizzazione delle squadre di calcio del paese, ma nulla di concreto è ancora stato fatto.

Il calcio croato ha lo stesso problema. La Dinamo Zagabria, vincitrice degli ultimi dieci campionati, è un’associazione pubblica e riceve annualmente contributi dallo stato: la scorsa estate Zdravko e Zoran Mamić, il vice-presidente e l’allenatore della prima squadra, sono stati arrestati con le accuse di evasione fiscale, truffa e appropriazione indebita: ora sono liberi ma dovranno affrontare il processo. Il club è indebitato a causa della sua pessima gestione, nonostante nelle ultime tre stagioni abbia guadagnato circa 35 milioni dalla vendita dei propri giocatori.

Qualche piccolo passo in avanti tuttavia è stato fatto, almeno in Croazia. Nel 2011 il Rijeka, la squadra di calcio dell’ex città italiana Fiume, è stato privatizzato e acquistato dall’imprenditore italiano Gabriele Volpi, già presidente dello Spezia Calcio, che da quando è proprietario ha rivoluzionato completamente l’organizzazione e le strutture del club: ha risanato i conti, ha costruito un nuovo centro sportivo e presto verrà inaugurato un nuovo stadio da circa ventimila posti. La squadra è riuscita a disputare due eccellenti gironi di Europa League negli ultimi tre anni e in questa stagione punta alla vittoria del campionato. Diversi giocatori del Rijeka sono stati mandati in prestito allo Spezia, che gioca stabilmente da anni nella parte alta della classifica di Serie B. La privatizzazione del Rijeka è avvenuta principalmente grazie alla disponibilità dell’amministrazione comunale: altrove la situazione è molto più complessa e la privatizzazione deve essere decisa dal governo.