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  • Venerdì 23 ottobre 2015

La lunga testimonianza di Hillary Clinton

Ha parlato per UNDICI ore alla commissione del Congresso che indaga sulla morte dell'ambasciatore statunitense in Libia del 2012, ma se l'è cavata molto bene

di Francesco Costa – @francescocosta

Hillary Clinton durante la testimonianza al Congresso. (Chip Somodevilla/Getty Images)
Hillary Clinton durante la testimonianza al Congresso. (Chip Somodevilla/Getty Images)

Giovedì 23 ottobre Hillary Clinton ha reso una lunghissima testimonianza – 11 ore, con qualche pausa – alla commissione del Congresso statunitense che indaga sui fatti di Bengasi dell’11 settembre 2012, quando un attacco contro il consolato statunitense in Libia portò alla morte di quattro persone, tra cui l’ambasciatore Christopher Stevens. Clinton all’epoca era Segretario di Stato, il più importante incarico di governo nella politica estera americana, e i Repubblicani da anni la accusano di non aver protetto adeguatamente il consolato e di avere quindi delle responsabilità nella morte di Stevens e gli altri. Il Congresso – a maggioranza Repubblicana – ha già condotto sei inchieste sui fatti di Bengasi, con un accanimento che molti legano al desiderio di indebolire la candidatura di Hillary Clinton a presidente degli Stati Uniti: anche per questo motivo la testimonianza di giovedì era molto attesa. Il giudizio della grandissima parte della stampa statunitense è che Clinton se la sia cavata bene e sia riuscita a trasformare un potenziale problema in un vantaggio.

Le domande dei parlamentari statunitensi si sono concentrate soprattutto su due questioni. La prima: perché il governo degli Stati Uniti disse inizialmente che l’attacco era scaturito dalle proteste contro il film satirico “L’innocenza dei musulmani“, per poi cambiare idea e dire che si era trattato invece di un piano organizzato e portato avanti con la scusa di quelle proteste. La seconda: perché, nonostante le molte richieste di Stevens nei giorni precedenti all’attacco, il Dipartimento di Stato non avesse provveduto a migliorare la sicurezza del personale diplomatico statunitense a Bengasi. Le due questioni si intrecciano inevitabilmente con la storia dell’uso di un indirizzo email privato da parte di Hillary Clinton durante i suoi anni da Segretario di Stato. Clinton ha consegnato al governo tutte le email relative al suo incarico, ma i Repubblicani la accusano di scarsa trasparenza e dubitano che abbia consegnato davvero tutti i documenti rilevanti.

Come ha poi dovuto ammettere anche l’agguerrito presidente della commissione d’inchiesta, il deputato Repubblicano Trey Gowdy, durante la testimonianza non è venuto fuori niente di rilevante che non fosse già noto. Alla prima questione, Clinton ha risposto che nei momenti immediatamente precedenti e successivi all’attacco non è stato semplice per l’intelligence statunitense capirne le reali motivazioni, e il flusso di informazioni – definito “fluido” – inizialmente aveva fatto pensare al governo che alla base delle violenze ci fossero le proteste contro il film satirico. Alla seconda questione, invece, Clinton ha risposto ricordando che Stevens non aveva mai indirizzato direttamente a lei le richieste di protezione, seguendo invece il protocollo e rivolgendosi agli uffici preposti, che comunque avevano cercato di fare il massimo date le complicate circostanze.

I Repubblicani hanno ipotizzato allora che Stevens avrebbe potuto contattare Clinton se avesse avuto il suo indirizzo privato di posta (alludendo anche al fatto che certi suoi consulenti personali, su tutti l’imprenditore e amico Sidney Blumenthal, le scrivevano frequentemente dandole aggiornamenti e consigli) ma Clinton ha spiegato – in un modo che è apparso convincente – che il Dipartimento di Stato ha procedure consolidate per questo genere di situazioni e che il grosso del lavoro diplomatico non viene fatto via email ma durante riunioni, briefing, produzione e lettura di documenti e promemoria, telefonate e conference call.

Più in generale, la gran parte della stampa concorda nel dire che Hillary Clinton – che si preparava da settimane alla testimonianza – sia uscita rafforzata da una situazione che avrebbe potuto metterla in difficoltà: innanzitutto per la stessa logorante durata della testimonianza, che a un certo punto avrebbe potuto far venir fuori stanchezza, impazienza o poca lucidità; e poi perché dall’indagine sarebbero potute comunque emergere novità sulle sue responsabilità, cosa che non è successa. Al contrario, Clinton ha approfittato della testimonianza per mostrarsi “presidenziale”, come si dice nel gergo della politica statunitense: rispondendo alle domande con pacatezza e solennità, appoggiandosi il mento sulla mano con aria superiore mentre i parlamentari Democratici e Repubblicani battibeccavano, riuscendo a non sbagliare il tono e le parole delle risposte. A un certo punto, a proposito della possibilità che ci fosse una sua diretta responsabilità personale nella morte di Stevens, Clinton ha risposto ricordando che decine di inchieste parlamentari e giornalistiche non hanno dimostrato niente del genere, e poi ha aggiunto con amarezza: «Ho pensato di più a quanto è successo quel giorno di tutti voi messi insieme. Ci ho perso più sonno io di tutti voi messi insieme. Mi sono massacrata il cervello cercando di capire cosa avremmo dovuto o potuto fare meglio».

Il Wall Street Journal ha scritto che Clinton è riuscita a «evitare errori che i Repubblicani avrebbero potuto sfruttare in campagna elettorale»; secondo il Guardian, «si è messa alle spalle le polemiche su Bengasi» in quello che potrebbe essere stato «un momento decisivo nella campagna elettorale in vista delle elezioni del 2016 e una delusione per i suoi rivali»; Ryan Lizza del New Yorker ha scritto su Twitter che «per come è andata, Hillary chiederà di testimoniare al Congresso tutti i giorni». Altri giornalisti hanno raccontato della successiva frustrazione di molti parlamentari Repubblicani, che hanno descritto come «formidabile» il comportamento di Clinton durante l’udienza e temono ora che gli elettori statunitensi possano credere di più ai Democratici, che hanno accusato i Repubblicani di voler approfittare della morte dell’ambasciatore Stevens a fini elettorali. Un importante deputato Repubblicano, Kevin McCarthy, qualche settimana fa aveva detto esplicitamente in tv che la commissione d’inchiesta era stata messa in piedi per danneggiare la popolarità di Hillary Clinton (che ha usato la sua frase in uno spot molto efficace). Per il momento non sono state calendarizzate altre udienze di Clinton, ma i Repubblicani potrebbero convocarla ancora.

La testimonianza su Bengasi ha chiuso dieci giorni particolarmente positivi e impegnativi per Hillary Clinton. Prima ha vinto il dibattito televisivo con i suoi rivali delle primarie dei Democratici, mostrandosi solida e preparata, riuscendo a ottenere una vittoria politica anche quando si è discusso della storia delle email e consolidando il suo vantaggio nei sondaggi; poi ha visto Joe Biden rinunciare a una candidatura che sarebbe stata per lei impegnativa e minacciosa; infine ha affrontato e superato la lunga testimonianza su Bengasi. Le primarie negli Stati Uniti inizieranno il primo febbraio 2016 in Iowa; le elezioni presidenziali si terranno l’8 novembre 2016.