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  • Mercoledì 7 ottobre 2015

Le ultime diciotto ore di Gesù

Raccontate da Corrado Augias nel suo nuovo libro, che comincia così

Einaudi ha pubblicato nei giorni scorsi Le ultime diciotto ore di Gesù, il nuovo libro di Corrado Augias, giornalista, scrittore e conduttore televisivo. Augias aveva già affrontato temi legati al cristianesimo nei libri Inchiesta su Gesù (scritto con Mauro Pesce), Inchiesta sul cristianesimo (con Remo Cacitti), I segreti del Vaticano, e Inchiesta su Maria (con Marco Vannini); nel nuovo libro Augias racconta il processo, la condanna e l’esecuzione di Gesù, e la figura dei vari protagonisti della storia, a partire da Ponzio Pilato, unendo allo studio su documenti e fonti relativi alla sua ultima giornata di vita ricostruzioni proprie e ipotetiche. Questo è l’inizio del primo capitolo del libro, che Augias presenterà sabato 7 novembre al Festival FLA di Pescara.

***

Nei giorni che precedono la festività, Gerusalemme e il Tempio sono gremiti di pellegrini venuti da ogni parte. Considerato che l’affollamento può facilitare il gesto inconsulto di qualche fanatico, che non ci vuole molto a mobilitare le folle mediterranee, il procuratore ha ritenuto opportuno lasciare l’abituale, piacevole residenza di Cesarea sulle rive del Mediterraneo per salire in città. Ha preso alloggio nel palazzo di Erode il Grande, passa una buona parte della giornata nel quartier generale della fortezza Antonia, dove sono acquartierate le truppe. La massiccia torre si erge a ridosso del Tempio, in pratica dominandone il lato nord-occidentale.
Come accade sempre quando grandi masse di persone si concentrano in un luogo, si nota in giro eccitamento e nervosismo, un ininterrotto viavai da e verso i vasti cortili che circondano l’edificio centrale dedicato alla divinità. Due file ininterrotte di pellegrini si accalcano e si urtano, nel caldo intenso, nella polvere sollevata da centinaia di piedi in movimento. I venditori di animali per sacrifici, più numerosi del solito, hanno aperto i loro banchetti, disteso strati di paglia dove le bestie attendono legate o impastoiate che qualcuno le acquisti per immolarle. Colombe, tortore, agnelli emettono ciascuno il suo verso in una caotica implorazione pietosa. I loro lamenti si mescolano all’alto vociare della folla. Un rombo continuo, un brontolio sopra il quale si levavano gridi o gemiti improvvisi.
Ogni mattina e ogni sera si sacrifica un agnello, il suo sangue viene sparso dai sacerdoti, si rinnova il patto, si obbedisce a quanto ordina Esodo 29, 38-39: «Ecco ciò che tu offrirai sull’altare, due agnelli di un anno ogni giorno, per sempre. Offrirai uno di questi agnelli al mattino, il secondo al tramonto».
Il caldo si fa opprimente, con il lento avanzare del giorno il disagio è accresciuto da una luce divenuta abbacinante, nel ronzio incessante delle mosche attirate dagli escrementi degli animali. Nonostante sia tempo di primavera, la temperatura è così elevata che nemmeno il buio della notte riesce a mitigarla. Da parecchi giorni soffia da sud-est uno sgradevole vento caldo e umido; incolla le vesti sollevando un’impalpabile polvere che filtra ovunque aumentando il senso di soffocamento, deposita su ogni oggetto un velo giallastro, il colore del deserto.
È necessaria grande fermezza d’animo per mantenere una capacità di controllo adeguata alle circostanze. Mescolati in quell’immensa folla di pellegrini ci sono maghi, astrologi, indovini, un buon numero di profeti, alcuni assassini.

Pilato pensa di averla questa fermezza. Da dieci anni presidia con alcuni reparti della XII Legione, Fulminata, quello sperduto avamposto. Il grosso delle truppe si trova in Siria, agli ordini del governatore Vitellio.
Dieci anni sono un lungo periodo, soprattutto se passato a contatto con gente che non capisce, fanatici ostinati che pretendono di adorare un unico Dio, come se la complessità del mondo e dell’animo umano potessero essere affidate a una sola divinità in grado di comprendere quell’immenso e caotico tutto; col passare degli anni ha visto le rughe del viso diventare così profonde da avere qualche difficoltà a radersi, ha anche visto invecchiare sua moglie Claudia Valeria Procula, che però sopporta i disagi con maggiore pazienza, anche perché in quella torrida regione il suo carattere è cambiato radicalmente; Pilato si chiede a volte che cosa vi abbia contribuito, se l’età, la solitudine, la lontananza dall’abituale ambiente di corte.
Al suo attivo il procuratore conta il notevole aumento della fortuna personale. L’ha favorita l’esercizio oculato di una specie di diritto di saccheggio di cui ogni amministratore romano si ritiene titolare. Basta essere accorti, non commettere gli errori fatti da uno stupido pretore di Sicilia, Gaio Licinio Verre, che con ruberie esagerate e maldestre ha dato modo a Cicerone di sfoggiare una fastosa oratoria, condannandosi con la sua goffa avidità all’esilio.
Il clima e il cibo pessimo, il costante malumore gli hanno procurato un dolore allo stomaco diventato via via più insistente; talora le fitte lo trafiggono come un aculeo, lo costringono ad alzarsi nel mezzo della notte nel tentativo di attenuarle passeggiando mentre si massaggia il ventre con lenti movimenti circolari. Non sempre funziona. Non lo consola nemmeno un po’ ricordare che anche Virgilio ha sofferto dello stesso male. Il suo medico a Roma saprebbe trovare un rimedio, ammesso che sia ancora vivo. Gli ha mandato una lettera mesi prima, chiedendo consiglio, ma non ha mai ricevuto risposta.

Gli spalti della fortezza dominano il cortile del Tempio. Se s’inerpicasse fin lassù potrebbe avere un controllo panoramico sul flusso dei pellegrini, sull’andamento dell’ordine pubblico; quel caldo infernale, quella luce d’acciaio gli tolgono ogni voglia di farlo. Si dirige invece verso la sala delle udienze dove le finestre, su due lati contrapposti, facilitano la circolazione dell’aria. Lungo il percorso risponde fiaccamente al saluto delle sentinelle che presentano le armi. Invidia l’energia di quei giovani soldati che prestano un servizio di venticinque anni per la gloria di Roma, spinti anche loro dalla possibilità di un soldo supplementare che gli assicuri, alla fine, un pezzo di terra dove crescere i figli e almeno a quelli, forse, un futuro migliore.
S’è appena seduto quando entra il centurione Kyrillos, consigliere militare, con le notizie del giorno.
– Prima che apri bocca, buone o cattive?
– Buone e cattive, come sempre, non le ho pesate.
Kyrillos è di origine greca, a volte gioca un po’ con le parole violando la secchezza del linguaggio militare. Può farlo perché ha condiviso con il procuratore un rischioso passato. Un giorno Pilato, al comando di una coorte, stava per essere sopraffatto in un corpo a corpo; l’intervento fulmineo di Kyrillos risultò decisivo per salvargli la vita. Da quel momento Pilato lo ha voluto con sé, considerandolo uomo di assoluta fiducia. Il centurione però nutre per lui un affetto ondeggiante; se l’obbedienza è fuori discussione, i sentimenti variano secondo i momenti, spesso incrinati dagli evidenti limiti nel discernimento politico di Pilato.
Kyrillos, per esempio, aveva sconsigliato di costruire un acquedotto utilizzando i fondi del Tempio. Il procuratore obiettava che era un’opera fatta nell’interesse della città e dello stesso Tempio, che a Roma si sarebbe fatto così e che tutti avrebbero approvato il progetto in nome del benessere e dell’igiene. Il centurione aveva replicato che Gerusalemme non era Roma né le priorità degli Ebrei erano le stesse di quelle dei Romani. S’era quasi spinto al limite dell’insubordinazione; solo un gesto d’imperio del procuratore aveva posto fine alla disputa. Questo intricato legame consente a Kyrillos una libertà di comportamento inconcepibile per chiunque altro. Pilato gliela concede perché lo considera un uomo astuto, capace di non oltrepassare i confini della gerarchia, di fermarsi in tempo.
– Dammi prima quelle cattive.
– Nella sesta coorte abbiamo degli uomini ammalati. Pare che una delle prostitute fosse infetta, ne ha contagiati parecchi. – Coglie l’occhiata interrogativa di Pilato. – È stata ammonita severamente. Credo che non la rivedremo più. Un carro di vettovaglie in arrivo dalla costa s’è ribaltato lungo la collina, il carico è quasi tutto perduto, il conducente e due cavalli sono morti. Un legionario intervenuto a sedare una rissa è stato ferito da un fanatico, l’assalitore è stato giustiziato sul posto.
– Reazioni?
– Nessuna, al momento. Pare che l’uomo fosse odiato da molti.
– Queste cose in genere succedono subito, ma possono anche covare sotto la cenere.
Pilato lancia un’occhiata al cielo là fuori, nuvole piatte come lame, bianche, accecanti.
– Sotto la cenere ci sono tante di quelle cose, una più una meno…
– Un informatore ci ha fatto sapere che la polizia del Tempio sta per arrestare un profeta particolarmente agitato.
Pilato muove con fastidio la mano come se volesse scacciare una mosca.
– Che se la sbrighino tra loro.
– L’altro giorno, quando è arrivato in città, l’hanno accolto con manifestazioni di entusiasmo.
– Ho udito le urla, sarebbe lo stesso?
– È entrato a dorso di un asino, però mi dicono che l’apparenza umile non deve ingannare, potrebbe essere una mossa tattica, pare che sia molto determinato.
– Abbiamo altre notizie su di lui?
– L’uomo sarebbe amato dalla plebe. Soprattutto nelle campagne.
– I contadini qui non contano niente, se è così…
– Però tra quelli che l’hanno accolto non c’erano solo contadini inurbati o pellegrini venuti da fuori.
– Avvisa la guardia, prometti un po’ di soldi alle spie. Voglio essere informato, sono giorni complicati.
La noiosa routine del comando, le miserie di ogni guarnigione, i soldati malati e quelli in forza; due ammutinati messi ai ferri, forse impazziti per il caldo o contagiati da un morbo; a parte l’incidente del carro, c’è stata qualche smagliatura logistica nei vettovagliamenti in arrivo dalla costa; da due mesi non arrivano più i rifornimenti di garum, salsa provvidenziale di cui i soldati sono ghiotti, che rende mangiabili anche i cibi più insipidi. Ora poi c’è anche la piccola noia supplementare del ribelle acclamato dalla folla; questione aperta: potrebbe finire tutto lì o avere un seguito. I Romani non hanno mai amato l’Oriente: il lusso, i piaceri, la languida morbosità della loro vita, il culto egiziano per la morte, i fanatici religiosi.
– Siamo gente di ferro, noi, – pensa Pilato.
Si liberò di quei pensieri con un gesto, trafitto dal mal di stomaco; esercitare l’imperio, applicare la legge, riscuotere i tributi per alimentare lo smisurato ventre di Roma. Non un passo più in là, mai più. L’idea di far costruire un acquedotto gli era sembrata un buon gesto distensivo. Non l’avesse mai fatto.
Fuori, la luce è diventata ancora più bianca; nonostante le grandi aperture contrapposte, dal loggiato non arriva un filo d’aria.