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  • Mercoledì 12 agosto 2015

Le violenze sui detenuti di New York

Un'inchiesta del New York Times racconta delle persone picchiate e maltrattate dagli agenti che cercavano informazioni su due detenuti evasi

Una torre di guardia del Clinton Correctional Facility. (Andrew Burton/Getty Images)
Una torre di guardia del Clinton Correctional Facility. (Andrew Burton/Getty Images)

Nella notte fra il 5 e il 6 giugno due uomini sono evasi dal Clinton Correctional Facility, una prigione di massima sicurezza nello stato di New York. I due evasi, entrambi condannati per omicidio, sono stati poi trovati poche settimane dopo: uno di loro è stato catturato, l’altro ucciso durante un inseguimento. Un’indagine di due giornalisti del New York Times, Michael Schwirtz e Michael Winerip, ha raccontato però cosa è successo all’interno della prigione nelle settimane tra la fuga e la cattura degli evasi: violenze e violazioni dei diritti degli altri detenuti, che secondo molte testimonianze sono stati più volte picchiati da investigatori e agenti di polizia alla ricerca di indizi per ritrovare i fuggitivi.

I giornalisti del New York Times hanno parlato con Patrick Alexander, un detenuto che occupava la cella adiacente a quelle dei due evasi al Clinton Correctional Facility. Alexander ha raccontato che gli agenti si accorsero dell’evasione alla conta dei detenuti del mattino del 6 giungo, quando non ottennero risposta dalle celle di Richard Matt e David Sweat: i due erano riusciti a scavare un buco nella parete della loro cella, tagliare alcuni tubi di acciaio e poi raggiungere l’esterno della prigione sfruttando una serie di tunnel che li avevano condotti fino a fuori dalla prigione. Il giorno stesso dell’evasione, ha raccontato Alexander, le guardie del carcere lo interrogarono due volte. Poi arrivò in visita anche il governatore dello stato di New York, che gli rivolse qualche domanda con tono “da duro”. La sera verso le 8, infine, tre agenti che Alexander non aveva mai visto prima e che non indossavano targhette identificative entrarono nella sua cella, lo ammanettarono e lo portarono in un ripostiglio di servizio del carcere. Poi, racconta il New York Times:

Un agente con una giacca con le iniziali C.I.U. – Crisis Intervention Unit – si sedette davanti ad Alexander e gli disse: “Conosci la differenza tra questo interrogatorio e quelli di prima”. Questa volta, minacciò l’agente, nella stanza ci sono solo persone in uniforme. “L’agente saltò su e mi prese per la gola tirandomi su dalla sedia” racconta Alexander. “Poi cominciò a prendermi a pugni in faccia. Gli altri due agenti a quel punto si alzarono e cominciarono a colpirmi delle costole e nello stomaco”. Con ogni pugno, dice Alexander, gli agenti gli urlavano una domanda.

I tre agenti che interrogarono Alexander nello sgabuzzino volevano sapere se avesse informazioni sull’evasione e sui piani per la fuga, e accusavano Alexander di aver ricevuto soldi per stare zitto. Durante l’interrogatorio gli agenti arrivarono a mettere un sacchetto di plastica sulla testa di Alexander per non farlo respirare e lo minacciarono di sottoporlo al waterboarding, una pratica di tortura particolarmente violenta. Dopo l’interrogatorio, durato circa 20 mintuti, Alexander fu riportato sanguinante alla sua cella e per due giorni gli furono negate cure mediche.

Oltre ad Alexander, altri 60 detenuti del Clinton Correctional Facility hanno denunciato di aver subito violenze di vario tipo nei giorni successivi all’evasione, sempre da agenti che volevano informazioni sulla fuga. Alcuni hanno raccontato di essere stati picchiati, altri di essere stati minacciati, altri ancora di essere stati trasferiti in altre prigioni perdendo i diritti acquisiti in anni di buona condotta. Qualcuno ha denunciato di aver perso tutti i suoi averi accumulati in anni di detenzione: foto di famiglia, lettere, libri e vestiti. Come scrive il New York Times «per giorni dopo l’evasione, gli agenti penitenziari portarono avanti quella che sembra essere stata una campagna di vendetta contro decine di detenuti, in particolare contro quelli dell’honor block». L’honor block è il settore del carcere dove stavano i detenuti che avevano ottenuto qualche libertà in più degli altri per buona condotta: per esempio il diritto di lavorare o tenere alcuni oggetti in cella.

Convicted Murderers Escape From New York State PrisonIl governatore dello stato di New York visita il Clinton Correctional Facility dopo l’evasione. (Darren McGee/New York State Governor’s Office via Getty Images)

I giornalisti del New York Times hanno raccolto interviste e lettere di lamentela di decine di detenuti, che rivelano l’estensione delle violenze degli agenti e il fatto che in molte occasioni siano stati usati metodi di interrogatorio brutali in violazione dei regolamenti carcerari.

Victor Aponte, che lavorava nella sartoria della prigione dove anche Matt aveva un lavoro, ha raccontato che un agente conosciuto come “Capitan America” per il suo tatuaggio di una bandiera americana, gli legò un sacchetto di plastica intorno al collo durante un interrogatorio, stringendo la presa fino a farlo svenire. Reggie Edwards, un detenuto che lavorava come supervisore alla sartoria, ha raccontato che alcuni agenti lo misero in una cella di isolamento per tre settimane gettando via la maggior parte degli oggetti che possedeva in carcere, compreso il suo anello di matrimonio. [..] Paul Davila, un altro detenuto nello stesso reparto degli evasi, ha scritto nella sua lettera di lamentela che dopo essere stato picchiato durante un interrogatorio gli fu fatta firmare a forza una dichiarazione che diceva che non aveva subito violenze.

In generale, nelle due settimane successive all’evasione, gli altri detenuti dell’honor block furono spostati e sparpagliati. Molti furono mandati in isolamento in altre prigioni e molti hanno raccontato di aver subito violenze dagli agenti anche durante i trasferimenti da un carcere ad un altro. Un detenuto incontrato dai giornalisti del New York Times due mesi dopo l’evasione gli ha mostrato le ferite sui suoi polsi provocate dalle manette che gli erano state strette troppo di proposito. In molti hanno raccontato di aver perso ingiustamente privilegi guadagnati con anni di buona condotta, come il diritto a lavorare o una posizione di lavoro carceraria particolarmente buona.

Come ricorda il New York Times, finora solo dipendenti del carcere e guardie sono state accusate formalmente di aver aiutato la fuga di Matt e Sweat: nove sono state sospese dal servizio, l’intera direzione del carcere è stata sostituita, una persona si è dichiarata colpevole di aver introdotto nel carcere alcuni arnesi e strumenti usati per la fuga. Al momento non ci sono prove che nessun detenuto abbia saputo della fuga o abbia aiutato i due evasi.

Dopo la pubblicazione dell’articolo del New York Times, il dipartimento del governo che si occupa delle carceri ha diffuso un comunicato in cui spiega che le lamentele ricevute da parte dei detenuti sono oggetto di un’indagine e che sono state rese note anche all’ispettore generale dello stato. «Qualsiasi caso di condotta impropria o abuso contro i detenuti sarà punito con tutto il peso della legge», dice il comunicato. Dice inoltre il New York Times che diversi detenuti coinvolti nelle violenze sono stati interrogati anche da membri dell’unità di investigazioni speciali del dipartimento delle carceri.