• Moda
  • Giovedì 30 luglio 2015

Jane Birkin vuole togliere il suo nome dalle borse Hermès in pelle di coccodrillo

Ma solo momentaneamente, finché il famoso marchio di moda francese non migliorerà le pratiche per ottenere i pellami

di Enrico Matzeu – @enricomatzeu

(TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images)
(TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images)

Martedì 28 luglio l’attrice e cantante inglese Jane Birkin ha chiesto al marchio francese Hermès di rimuovere il proprio nome dalla Birkin Croco, la versione in coccodrillo della celebre borsa intitolata a lei. Come riporta Reuters, Jane Birkin ha diffuso tramite il suo agente un messaggio in cui diceva: «Ho chiesto a Hermès di “sbattezzare” la Birkin Croco fino a che non verranno adottate pratiche più consone e in linea con le normative internazionali».

L’attrice si riferisce alle procedure illegali e alquanto cruente di allevamento, caccia e uccisione dei coccodrilli in alcune fattorie del Texas e dello Zimbabwe, che l’associazione animalista PETA (People for Ethical Treatment of Animals) ha filmato e pubblicato sul proprio sito alla fine di giugno, attribuendo a Hermès la responsabilità della produzione di quei pellami. Birkin inoltre ha aggiunto di aver firmato la petizione promossa dalla fondazione “Mercy For Animals” dell’attore Joaquin Phoenix per rimuovere dai guardaroba tutti i pellami esotici.

Molti giornali hanno ripreso la notizia, spesso con titoli enfatici, ma Vanessa Friedman sul New York Times ha cercato di spiegare perché la faccenda ha assunto dei toni esagerati e come la stessa PETA abbia erroneamente «venduto la notizia come: “Jane Birkin chiede che Hermès rinomini la borsa Birkin”». Il New York Times ha spiegato innanzitutto che Birkin ha chiesto di rimuovere il suo nome solo dalla versione in coccodrillo della borsa, e non da tutte le altre in cui viene prodotta, e soprattutto che questa sospensione – secondo la richiesta dell’attrice – sarebbe temporanea, cioè finché l’azienda non regolarizzerà le pratiche di lavorazione del coccodrillo. In ogni caso Jane Birkin non può obbligare – neanche per vie legali – Hermès a modificare il nome della borsa, visto che l’azienda l’ha registrato nel 1997, come ha confermato anche Hugh Devlin, un avvocato dello studio legale Withers specializzato nel settore della moda.

Hermès International ha rassicurato Birkin e i clienti dicendo: «è in corso un’indagine in Texas nell’allevamento oggetto del video. Ogni violazione delle regole verrà rettificata e sanzionata. Hermès specifica che quell’allevamento non appartiene alla società e che le pelli di coccodrillo fornite non sono quelle utilizzate per la produzione delle borse Birkin». In merito all’attrice, poi, Hermès ha aggiunto: «i suoi commenti non influenzano in nessun modo l’amicizia e la fiducia condivisi per molti anni. Hermès rispetta e condivide le sue emozioni e anche l’azienda è rimasta shoccata dalle immagini trasmesse recentemente». Il rapporto di cui parla la società è in realtà – come riportato dal Guardian – regolato da un compenso di 30mila sterline che ogni anno Hermès versa all’attrice e che lei ha detto di donare in beneficenza.

La borsa Birkin di Hermès rappresenta è un prodotto famosissimo nel settore del lusso e la storia della sua nascita è stata oggetto di molte leggende. Secondo la versione ufficiale, raccontata da Jane Birkin alla giornalista di moda Dana Thomas (attualmente collaboratrice della rivista T del New York Times e corrispondente da Parigi per Harper’s Bazaar Australia), nel 1981 l’attrice durante un volo da Parigi a Londra fece cadere la sua borsa rovesciandone il contenuto. Il caso volle che accanto a lei fosse seduto Jean-Louis Dumas, allora CEO di Hermès, e i due cominciarono a discutere della necessità di avere una tasca interna alla borsa. Così si ritrovarono a progettare un modello che rispettasse le esigenze dell’attrice e nacque la Birkin.

Assieme alla Kelly (dedicata invece a Grace Kelly), la Birkin è la borsa simbolo di Hermès ed è una tra le più richieste e vendute: è realizzata interamente a mano (ci vogliono almeno diciotto ore di lavorazione per ogni borsa) e per averla ci si deve iscrivere a una lista d’attesa con tempi di consegna attorno ai due anni. Ha forma trapezoidale e due fascette frontali che si sovrappongono e la chiudono con un lucchetto. Le misure vanno dai 25 ai 40 centimetri di larghezza: può essere realizzata in vitello, struzzo, coccodrillo o lucertola. In base al materiale e al modello, i prezzi variano da un minimo di 4mila euro a un massimo stimato attorno ai 120mila euro. Dato che è venduta solo su ordinazione, il cliente può scegliere tutti i dettagli e avere una borsa personalizzata. Il mese scorso a Hong Kong è stata battuta all’asta una Birkin fucsia con chiusura ricoperta di diamanti al prezzo record di 220mila dollari.

In un lungo e dettagliato articolo su Bloomberg, Lauren Sherman ha individuato tra gli elementi che hanno reso la Birkin così richiesta: il prezzo elevato, la produzione limitata e soprattutto il senso di esclusività che l’azienda è riuscita a creare attorno a questo prodotto. Il riserbo sul numero di borse vendute ogni anno (che non viene mai rivelato) ha contribuito ad aumentarne il prestigio. Sherman riporta poi quanto rivelatole da Michelle Goad, CEO della P.S. Dept. (un’app di personal shopper di lusso), che sostiene come sia difficile poter ordinare una Birkin entrando in una boutique da comune cliente. Secondo Michelle Goad «la chiave per averne una è trovare qualcuno che ha un rapporto con chi che ne ha già acquistata una in passato». Chi vuole una Birkin, infatti, deve innanzitutto essere già un cliente abituale di Hermès e dimostrare durante alcuni colloqui di essere un compratore affidabile. Secondo Mario Ortelli, analista alla Sanford C. Bernstein, «la vera fortuna della Birkin è che nessun altro brand ha creato (al momento) una borsa così iconica in quella fascia di prezzo».