Le province sono nei guai?

I tagli ai fondi delle province sono arrivati molto prima del "riordino" deciso dal governo: la Corte dei Conti dice che i conti traballano

(ANSA / CIRO FUSCO)
(ANSA / CIRO FUSCO)

La Corte dei Conti – l’istituzione che ha il compito di controllare la gestione della finanza pubblica e dell’azione amministrativa – ha pubblicato mercoledì 13 maggio una relazione sul “riordino delle Province” in cui si sostiene che i tagli di un miliardo di euro imposti alle province dall’ultima legge di stabilità sono arrivati molto prima dell’attuazione del riordino delle province stesso, approvato con il cosiddetto “disegno di legge Delrio”.

Malgrado una certa semplificazione giornalistica e nonostante dichiarazioni poco chiare, la riforma delle province convertita in legge nell’aprile del 2014 dalla Camera non prevedeva un’abolizione delle province, ma una sostituzione delle province con nuovi enti per i quali (a differenza di prima) non ci sono più elezioni dirette. Il provvedimento stabilisce anche che alcune competenze delle province restino alle amministrazioni provinciali e alle nuove città metropolitane (strade, scuole e difesa del territorio) e altre passino invece – insieme ai dipendenti – alle regioni e ai comuni (formazione professionale, turismo, cultura, agricoltura, per esempio).

La Corte dei Conti spiega ora che «l’onere della spesa che doveva essere trasferito» secondo la tempistica della legge Delrio «resta ancora a carico delle province (e il fenomeno è presumibilmente destinato a protrarsi)». La conseguenza è che i bilanci delle province sono in «progressivo deterioramento» e che si rischia il blocco del pagamento degli stipendi già a partire da giugno, negli enti più in difficoltà, anche se il governo ha assicurato che coprirà i costi. La CGIL, qualche giorno fa, ha spiegato che i fondi di Città metropolitane e Province sono stati fissati nel 2015 per circa 30mila dipendenti, ma che le persone in organico sono ancora 48mila perché i trasferimenti previsti a comuni, regioni e Stato non sono ancora stati avviati. A bloccare la riorganizzazione sono le regioni, ma anche lo Stato che non ha ancora approvato il provvedimento con i criteri per la mobilità. La situazione è spiegata in modo chiaro in un articolo del Sole 24 Ore:

Il documento
La relazione sul «riordino delle Province» diffusa ieri dalla Corte dei conti (delibera 17/2015 della sezione delle Autonomie) è di quelle che lasciano il segno, anche perché non risparmia nessuna delle responsabilità diffuse fra Governo, Parlamento e Regioni su una riforma che per mesi ha occupato il palco centrale nel teatro del dibattito politico. La Cgil legge nella relazione la conferma del rischio evocato sabato scorso di un possibile blocco del pagamento degli stipendi, già a partire da giugno negli enti più in difficoltà (si veda Il Sole 24 Ore del 10 maggio), mentre il Governo torna a gettare acqua sul fuoco: nel corso dell’incontro di ieri con gli amministratori locali, il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa ha ribadito l’impegno del Governo a coprire i costi del personale che avrebbe già dovuto transitare alle altre amministrazioni (impegno lanciato dallo stesso sottosegretario sul Quotidiano degli enti locali e della Pa del 1° aprile scorso). Le Province, dal canto loro, terranno domani la loro assemblea nazionale in cui rilanceranno l’allarme sui loro conti.

Tra manovra e riforma
Resta il fatto, però, che la “scommessa” lanciata dalla legge di stabilità è per ora lontana dal successo. Proprio per accelerare i processi di mobilità, l’ultima manovra ha ridotto di un miliardo i fondi delle Province sulla base del fatto che il «costo efficiente» delle funzioni residue degli enti di area vasta sarebbe stato del tutto finanziabile con i 2,4 miliardi rimasti nelle entrate degli enti. Fino a oggi, però, né un dipendente né una funzione ha abbandonato le Province, e secondo i magistrati contabili questa immobilità «è destinata a protrarsi».

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