Il voto per le province

Come avrete notato, non sono state abolite: solo che ora i rappresentanti non sono più eletti direttamente, e quindi le elezioni sono in corso senza che ce ne siamo accorti

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse
26-06-2014 Roma
Confindustria. La partenza ritardata e lenta, i fondi europei leva per uscire dalla crisi.
Nella foto Graziano Delrio

Photo Fabio Cimaglia / LaPresse
26-06-2014 Roma (Italy)
Confindustria. The delayed start and slow, the European funds lever out of the crisis
In the photo Graziano Delrio
Foto Fabio Cimaglia / LaPresse 26-06-2014 Roma Confindustria. La partenza ritardata e lenta, i fondi europei leva per uscire dalla crisi. Nella foto Graziano Delrio Photo Fabio Cimaglia / LaPresse 26-06-2014 Roma (Italy) Confindustria. The delayed start and slow, the European funds lever out of the crisis In the photo Graziano Delrio

Malgrado una certa semplificazione giornalistica e nonostante dichiarazioni poco chiare («Abbiamo abolito i politici dalle province», Matteo Renzi durante una conferenza stampa in aprile), la riforma delle province convertita in legge lo scorso aprile dalla Camera (si trattava del cosiddetto “Disegno di legge Delrio”, il numero 1542-B) non prevede un’abolizione, ma una sostituzione con nuovi enti che continueranno a occuparsi di edilizia scolastica, tutela e valorizzazione dell’ambiente, trasporti, strade provinciali e per i quali (a differenza di prima) non ci saranno più elezioni dirette. Tra le modifiche sostanziali della riforma c’è infatti la modalità di elezione delle varie cariche: il presidente, i rappresentanti delle assemblee e del consiglio verranno infatti votati dai sindaci e dai consiglieri comunali della provincia stessa. Gli eletti (sempre sindaci e consiglieri) non percepiranno alcuna indennità.

(Cosa succede ora con le province?)

I numeri
Non se ne sta parlando molto e proprio per questo è difficile fare una ricostruzione accurata di quello che sta succedendo: dallo scorso 28 settembre sono comunque in corso le elezioni in tutta Italia. Le votazioni si concluderanno il 12 ottobre e riguarderanno alla fine 64 province e 8 città metropolitane. Con la riforma Delrio le province sono “scese” da 107 a 97. In realtà le dieci rimanenti non sono state eliminate ma trasformate in altrettante città metropolitane, organismi sempre di secondo livello, i cui territori coincidono con quelli delle province e che, di fatto, avranno le funzioni fondamentali delle vecchie province. Le elezioni di questi giorni non si svolgono in tutte le province e città metropolitane perché alcune voteranno alla naturale scadenza (per Pavia e Mantova, ad esempio, cade nel 2016) e perché in Sicilia il governo Crocetta ha bocciato la proposta di recepimento del ddl Delrio: in Sicilia dunque la questione è ancora sospesa e poco chiara.

A seconda dell’estensione della provincia, il consiglio si comporrà di un numero di membri variabile da 10 a 16, mentre per quanto riguarda le città metropolitane i consigli saranno più larghi: da 14 a 24 posti. Una volta terminate le votazioni di questi giorni saranno eletti 64 nuovi presidenti, 760 consiglieri nelle province più 162 nelle città metropolitane.

Dove
Le città metropolitane in cui si sono svolte o si svolgeranno le elezioni sono Bari, Bologna, Firenze, Genova e Milano (28 settembre); Roma (5 ottobre); Napoli e Torino (12 ottobre). Nell’elenco (quello completo è qui) si trovano poi diverse province di Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Campania.

Come sta andando
Riccardo Ferrazza, su Il Sole 24, spiega le principali novità di queste elezioni. Che sono due:

«Per la prima volta assisteremo a un’elezione di “secondo livello”, perché alle urne non sono chiamati gli elettori bensì sindaci e i consiglieri comunali del territorio della provincia (…) ma soprattutto, circostanza forse mai vista prima, in alcuni casi si sa già il risultato».

In alcune province (come Asti e Cuneo) infatti tutti i partiti hanno trovato un accordo per presentare un’unica lista di candidati (tanti quanti sono i posti a disposizione) a sostegno di un unico nome per la presidenza della provincia. In generale, commenta l’Espresso, «l’intesa bipartisan è più la regola che l’eccezione»: lo schema, per capirci, è quello che Annalisa Cuzzocrea su Repubblica di qualche giorno fa definiva delle “larghissime intese” già funzionante a livello nazionale. Il Partito Democratico si è ad esempio alleato con Forza Italia e Nuovo Centrodestra a Torino, Brescia, Genova, Belluno, Novara (dove ci sono due liste, una di centrosinistra e una di centrodestra ma entrambe a sostegno di un unico candidato del PD); a Verbania (anche qui ci sono tre liste a sostegno di un unico candidato del PD). In alcuni casi, come quello di Ferrara, nell’accordo della lista unica è entrato anche il Movimento 5 Stelle che ha eletto Marco Fabbri, sindaco di Comacchio, nel nuovo consiglio provinciale.

A Frosinone, dove i candidati sono due, il PD si è invece diviso tra una lista in cui è presente SEL e una lista in cui sono presenti NCD e Forza Italia. Stessa situazione a Vibo Valentia dove è stato eletto Andrea Niglia, sindaco di Briatico, che nella lista “Insieme per la Provincia di Vibo Adesso”, riuniva la parte del PD vicina a Renzi, NCD, Forza Italia e Fratelli d’Italia, contro una lista alternativa sostenuta da un’altra parte del PD.

Ci sono due diverse letture di questa situazione: da una parte c’è chi difende gli accordi sostenendo che si tratta di un patto istituzionale “oltre i partiti” che garantirà che tutto il territorio sia rappresentato. Matteo Rossi, del PD, nuovo presidente della provincia di Bergamo spiega: «La verità è che la stragrande maggioranza dei sindaci si sente “civico” anche se ha 
la tessera di un partito in tasca». E il responsabile enti locali del PD di Torino Domenico Carretta dice: «La lista che sarà presentata che ha dentro PD, NCD, Forza Italia e Moderati (Sel alla fine non ha aderito) è stata fatta per garantire che tutto il territorio sia rappresentato, perché col meccanismo del voto ponderato (cioè proporzionale al numero di cittadini che il consigliere comunale e il sindaco rappresentano all’interno della Provincia, ndr) Torino avrebbe finito per avere troppi consiglieri, e realtà importanti come Ivrea e Val di Susa rischiavano di restar fuori». Dall’altra parte, invece, c’è chi (soprattutto esponenti della Lega, di SEL, del M5S e di una parte del PD) sostiene si tratti di una “spartizione di potere” resa possibile e più evidente dal fatto che l’elezione non è più diretta. Nonostante infatti l’indennità sia stata abolita, le province continuano a gestire appalti, contratti, strade e discariche, aree di intervento, scrive ad esempio L’Espresso, comunque «potenzialmente redditizie».