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  • Giovedì 7 maggio 2015

Che aria tira a Londra

Una giornata tra volontari disorientati, seggi allestiti un po' ovunque, magliette, schedari e orsacchiotti, mentre arrivano al dunque le più incerte elezioni britanniche da molti anni

di Arianna Cavallo – @ariannacavallo

A man walks his dog past a 2S3 M-1973 Akatsiya 152-mm self-propelled gun howitzer tank stands outside the Greenwich Heritage Centre, set up as a polling station in London on May 7, 2015, as Britain holds a general election. Polls opened today in Britain's closest general election for decades with voters set to decide between the Conservatives of Prime Minister David Cameron, Ed Miliband's Labour and a host of smaller parties. AFP PHOTO / DANIEL SORABJI (Photo credit should read DANIEL SORABJI/AFP/Getty Images)
A man walks his dog past a 2S3 M-1973 Akatsiya 152-mm self-propelled gun howitzer tank stands outside the Greenwich Heritage Centre, set up as a polling station in London on May 7, 2015, as Britain holds a general election. Polls opened today in Britain's closest general election for decades with voters set to decide between the Conservatives of Prime Minister David Cameron, Ed Miliband's Labour and a host of smaller parties. AFP PHOTO / DANIEL SORABJI (Photo credit should read DANIEL SORABJI/AFP/Getty Images)

«Ed Miliband is a twat, he’s not a leader», Ed Miliband è un cretino – ok, twat è molto peggio di “cretino” – non è un leader: sono le prime parole della prima conversazione che riesco a origliare a Londra, nella circoscrizione centrale di Westminster, la sera prima delle elezioni. Lo stava spiegando una ragazza in modo piuttosto aggressivo alla donna di mezz’età con cui passeggiava: lei era d’accordo e infatti avrebbe votato per i Conservatori. In questa campagna elettorale uno dei problemi di Ed Miliband, leader dei laburisti, è stato togliersi di dosso l’immagine di nerd sfigato e convincere gli elettori che sia un tipo tosto, uno che sa il fatto suo. «Hell yes I’m tough enough to be prime minister» – «Sì, dannazione, sono tosto abbastanza da fare il primo ministro» – ha detto durante l’intervista a Jeremy Paxman, una frase che è diventata una specie di tormentone più o meno satirico ed è finita sulle magliette dei volontari del Labour. Paxman gli aveva detto: «l’idea che molti elettori si sono fatti è che se chiudiamo te e Putin in una stanza e poi apriamo la porta, ti troviamo fatto a pezzi».

Una volontaria del Labour con la maglietta “Hell yes, I’m voting Labour”

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Il “silenzio elettorale” non c’è; i volontari dei partiti sono praticamente dappertutto. Ce n’è sempre almeno uno piazzato davanti a ogni seggio, che ferma gli elettori man mano che arrivano: non tanto per fare propaganda bensì per chiedergli il numero della sua scheda elettorale. Se l’elettore glielo dice, il volontario lo segna su una scheda che verrà poi ritirata da altri volontari o dallo stesso candidato locale del partito. I dati verranno portati alla sede della circoscrizione del partito e incrociati col database degli elettori; in questo modo si saprà chi ha votato e chi no e quindi i volontari – e lo stesso candidato – sapranno con precisione a quali elettori telefonare o a quali porte bussare per convincerli ad andare a votare, nelle ultime ore prima che chiudano i seggi.

Nel seggio della circoscrizione di Cities of London and Westminster – il centro di Londra – incontro soltanto volontari conservatori, con addosso coccarde o cravatte azzurre; non è un collegio particolarmente rappresentativo, sarà rieletto senza dubbio il conservatore Mark Field e i laburisti hanno deciso saggiamente di non sprecare da queste parti volontari preziosi.

Il seggio allestito nella chiesa cipriota di London and Westminster

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Tra i tanti posti in cui si vota – scuole, chiese, centri culturali – c’è anche la sinagoga di Upper Berkeley Street, dove ci sono quattro poliziotti di guardia che mi chiedono di non fotografare neanche l’esterno dell’edificio (fotografare l’interno dei seggi è invece proibito per legge; «un peccato» – mi dice una scrutatrice – «i ragazzi che votano per la prima volta non potranno avere una foto di questo momento»). Tra i volontari c’è un vecchio conservatore che è fatto esattamente come uno può immaginarsi un vecchio conservatore: coccarda, cravatta azzurra, aria compassata e un po’ snob. Dopo avermi spiegato in modo un po’ altezzoso che «ci sono le elezioni parlamentari», si sbottona un po’: mi spiega che per votare basta un qualsiasi documento, compreso l’abbonamento della metropolitana, ammette che Nicola Sturgeon – la leader del partito indipendentista scozzese (SNP) – è molto tosta e nei dibattiti ha fatto meglio di tutti, e mi lascia intravedere lo smarrimento comune a molti inglesi davanti all’incertezza di queste elezioni. Per la prima volta, infatti, i due grossi partiti tradizionali sono dati alla pari nei sondaggi e lontani dalla maggioranza assoluta, mentre i partiti finora marginali sono diventati in qualche modo rilevanti: «nessuno sa cosa succederà, non si è mai visto qualcosa di simile, non si capisce niente».

Un avviso davanti a un seggio non attrezzato per i disabili

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Un altro volontario conservatore – circoscrizione Harrow East, periferia nord di Londra – è decisamente più ottimista. Questo collegio non ha candidati particolarmente rilevanti ma è famoso perché dal 1979 che il partito che vince qui vince anche le elezioni. Al di là della storiella divertente, il volontario dice che qualcosa di vero c’è: il seggio si trova in un quartiere multietnico della classe media e l’esito del voto rispecchia in qualche modo l’umore e le preferenze della classe media britannica. Insieme a lui c’è il suo collega e avversario laburista: entrambi sono piazzati all’entrata del seggio (che è molto poco solennemente la cabina di un parcheggio), segnano diligenti i numeri delle schede elettorali di chi va a votare e si aiutano l’un l’altro a tenere il conto.

La cabina del parcheggio trasformata in seggio elettorale a Queensbury (Harrow East)

elezioni regno unito

Il volontario laburista è bianco e di mezza età, quello conservatore è giovane con la pelle scura. I colori si ribaltano quando si parla dei candidati: la candidata laburista si chiama Uma Kumaran, ha 28 anni, viene da una famiglia tamil ed è induista, cosa che potrebbe darle un qualche vantaggio dato che è la religione praticata nel quartiere da tre persone su dieci (molti cruscotti sulle auto espongono piccole statuette di Shiva). Blackman, candidato conservatore e attuale detentore del seggio, ha 58 anni, è bianco, è uno dei pochi parlamentari a rivendicare di aver votato contro i matrimoni gay – che Cameron ha voluto e difende – ed è considerato un instancabile campaigner: uno nato per fare discorsi, stringere mani e parlare con le persone. Anche lui punta molto al sostegno della comunità indiana, considerata più tradizionalista e quindi più vicina ai valori dei conservatori.

Il seggio nel Centro Ellenico a Cities of London and Westminster

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Secondo il volontario conservatore, però, la religione c’entra poco. Dice che le persone votano solo in base ai temi nazionali, senza preoccuparsi troppo dell’identità e delle promesse dei candidati locali: quello che interessa alla gente è come il governo affronterà la crisi economica, dice, se con i tagli alla spesa dei conservatori o con le tasse dei laburisti – incidentalmente è quello che Cameron ripete da mesi, vista la ripresa economica e il fatto che mai nella storia del Regno Unito come adesso così tanta gente ha un posto di lavoro. «Penso che al governo resterà la colazione di Conservatori e LibDem», mi dice; «sempre che Clegg venga rieletto!», si intromette il volontario laburista. Nick Clegg è il vice di Cameron e il capo dei LibDem: Sheffield Hallam, il suo seggio, è conteso seriamente dal Labour, tanto che i conservatori locali hanno invitato i loro elettori a votare LibDem per dare una mano a Clegg. Le cose per i LibDem non vanno benissimo, in generale: perderanno circa la metà dei seggi, molti dei loro elettori passeranno al Labour o ai Tories e Clegg non è molto amato da nessuno (tutti, compresi i conservatori che vogliono andarci al governo insieme, storcono un po’ il naso quando ne parlano: ma alla fine saranno probabilmente uno degli aghi-della-bilancia, come si dice).

Oltre ai volontari piazzati davanti ai seggi, ci sono quelli che girano nelle strade bussando di porta in porta e cercando di convincere gli elettori a votare. Un gruppetto è particolarmente pittoresco: sono tre, un supervisore sulla cinquantina e due ragazzi dall’aria entusiasta, entrambi con la maglietta «Hell yes, I’m voting Labour». Non hanno tempo per fermarsi a chiacchierare: il collegio è considerato in bilico e bisogna scovare più elettori possibili.

Un’altra cosa che stupisce, per la differenza rispetto alle elezioni italiane, è la penuria di poster, cartelloni, manifesti, volantini con i faccioni e gli slogan dei candidati. Gli unici sono esposti dalle finestre di qualche casa, oppure con i cartelli sui giardini di fronte alla porta: ma comunque non in centro – dove al massimo ci si può imbattere in un tizio che va in giro in bici con un orsacchiotto gigante sulle spalle e un grosso cartello con scritto che Cameron è stato un disastro – bensì in periferia e nei collegi più combattuti. Per esempio quello di Brent Central: nel 2010 elesse Sarah Teather dei LibDem, nota perché nel 2003 era stata la più giovane parlamentare britannica e per questo era diventata piuttosto famosa. Lei due anni fa si è dimessa dicendo di avere forti dubbi su Clegg e la sua gestione del partito, ora il suo seggio rischia di passare ad altri. «È nostro di sicuro», mi dice il volontario laburista.

foto: Arianna Cavallo (Il Post) e in evidenza Daniel Sorabji (AFP/Getty Images)