Gli ultimi dati sul lavoro in Italia

Mostrano cosa succede con il Jobs Act in vigore: non sono buoni - la disoccupazione è cresciuta - ma non includono considerazioni più generali sulla qualità del lavoro

Giovedì 30 aprile l’ISTAT ha pubblicato i dati sul lavoro di marzo: si tratti di numeri importanti perché mostrano per la prima volta l’andamento del mercato del lavoro dopo l’entrata in vigore del Jobs Act, i cui decreti attuativi sono stati approvati proprio nei primi giorni di marzo. Se si guardano solo i numeri diffusi dall’ISTAT, non ci sono buone notizie: a marzo la disoccupazione è aumentata dello 0,3 per cento, arrivando al 13 per cento. Il numero degli occupati, cioè delle persone che lavorano, è sceso a 22,195 milioni, 59 mila in meno rispetto a febbraio, quando erano calati di altri 50 mila rispetto a gennaio. In tutto, dal dicembre 2014 al marzo 2015 gli occupati sono calati di 100 mila unità.

Dopo un mese dalla sua entrata in vigore, il Jobs Act non ha prodotto un aumento dei posti di lavoro. Anche un’altra norma introdotta dal governo lo scorso gennaio non sembra aver portato finora a un aumento dell’occupazione. Si tratta della decontribuzione che permette ai datori di lavoro di non pagare i contributi ai nuovi assunti per i primi tre anni. Sul sito LaVoce.info, il principale blog di economia italiano, il professor Pietro Garibaldi ha spiegato che gli esperti avevano già previsto gli scarsi effetti che avrebbe avuto il Jobs Act sul numero degli occupati e sulla disoccupazione.

I due provvedimenti del governo hanno avuto però almeno un effetto positivo che non emerge dai dati pubblicati giovedì. Il governo ha comunicato alcuni giorni fa che a marzo sono aumentati nuovamente i contratti a tempo indeterminato – è il secondo mese consecutivo in cui questo tipo di contratti aumenta. Si tratta di un segnale, ha spiegato Garibaldi, che indica come stia aumentando la qualità dei posti di lavoro, se non la loro quantità. L’effetto della decontribuzione e forse anche del Jobs Act, infatti, ha spinto diversi datori di lavoro a tramutare contratti a tempo determinato, come ad esempio quelli di apprendistato, in contratti a tempo indeterminato. Secondo Garibaldi, per vedere migliorare anche i dati quantitativi ci sarà bisogno di «investimenti, crescita e fiducia nel futuro. Elementi che non sembrano ancora essere presenti nelle imprese italiane».