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  • Martedì 28 aprile 2015

La ricostruzione di Gaza va a rilento

A otto mesi dalla fine della guerra 100mila persone sono ancora senza casa, il cemento per ricostruire e i soldi promessi non arrivano: c'entra l'embargo israeliano, soprattutto

Una ragazzina palestinese in mezzo a una casa distrutta a Shijaiyah, un quartiere di Gaza, dove la sua famiglia è tornata a vivere dopo la guerra. 30 marzo 2015.
(AP Photo/Khalil Hamra)
Una ragazzina palestinese in mezzo a una casa distrutta a Shijaiyah, un quartiere di Gaza, dove la sua famiglia è tornata a vivere dopo la guerra. 30 marzo 2015. (AP Photo/Khalil Hamra)

La guerra tra Hamas e Israele che si è combattuta l’estate scorsa nella Striscia di Gaza ha distrutto circa 19mila case e lasciato 100mila persone senza casa. Dopo la tregua decisa tra le due parti, uno dei punti chiave delle successive discussioni è stata la ricostruzione della Striscia di Gaza, un processo reso molto complicato dall’embargo a cui Israele ha sottoposto la Striscia dal 2007. Fin dal settembre del 2014 le Nazioni Unite si sono impegnate a garantire l’applicazione di un accordo che prevedeva l’importazione immediata nella Striscia di cemento e altri materiali necessari per la ricostruzione. A circa otto mesi dalla fine della guerra, solo una piccola parte del materiale e dei soldi promessi è arrivata e la situazione a Gaza è rimasta molto grave.

Il problema più grande di cui si parla da diversi mesi è l’importazione del cemento. Il governo israeliano – che controlla tutto quello che entra e esce dalla Striscia di Gaza, specie dopo la distruzione dei tunnel di Hamas – ha rallentato moltissimo il trasferimento del cemento, parlando del rischio che venga usato per fini militari o per ricostruire i tunnel che collegano la Striscia a Israele e che sono stati distrutti durante l’ultima guerra. Finora solo un decimo delle 5mila tonnellate di materiale richiesto per la ricostruzione è entrato nella Striscia, ha detto l’ONU: tutti i trasferimenti legali sono avvenuti attraverso un unico passaggio di confine tra Israele e la Striscia. A questo ritmo, ha detto il ministro della Casa palestinese Yusuf Sarhan, ci vorranno 20 anni per ricostruire tutte le case distrutte. Come succede da anni per molti altri tipi di beni, la soluzione alternativa trovata dai palestinesi è il mercato nero: il problema è che trafficare illegalmente beni costa molto e i palestinesi non hanno soldi.

L’Economist ha messo insieme un po’ di numeri sulla ricostruzione di Gaza:

«Nessuna delle 19mila case distrutte a Gaza durante la guerra è stata ricostruita. Sei mesi dopo che diversi donatori avevano promesso di raccogliere 3,5 miliardi di dollari la situazione è sconfortante. Circa un quarto dei soldi promessi è arrivato. Circa 100mila persone – su 1,8 milioni di persone che vivono a Gaza – rimangono ancora oggi senza casa, dopo avere passato un inverno piovoso nelle tende, nelle roulotte e in mezzo alle macerie»

Diversi analisti hanno scritto che il problema principale di questa situazione è l’embargo israeliano sulla Striscia in vigore dal 2007, cioè da quando Hamas ha preso il controllo del territorio a spese di Fatah, fazione palestinese più moderata. In questi anni l’embargo è stato causa costante di sofferenze per i civili a Gaza e la situazione è peggiorata da quando in Egitto l’attuale presidente Abdel Fattah al Sisi ha deposto Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, movimento tradizionalmente vicino ad Hamas. Nel 2015 l’unico passaggio in superficie tra Egitto e la Striscia, quello di Rafah, è rimasto aperto solo cinque giorni, amplificando ancora di più gli effetti dell’embargo israeliano.

Ad aprile l’organizzazione non governativa Association of International Development Agencies (AIDA) ha diffuso un documento riguardo il processo di ricostruzione della Striscia di Gaza. AIDA ha scritto che molti dei soldi promessi ai palestinesi dalle ricche monarchie del Golfo Persico non sono arrivati anche a causa del crollo del prezzo del petrolio degli scorsi mesi, che ha spinto questi governi a rivedere i loro piani. Diversi giornalisti hanno anche fatto notare come le continue divisioni tra Hamas (che controlla la Striscia) e Fatah (che amministra la Cisgiordania ed è la parte dominante del governo palestinese) abbiano complicato la situazione: in particolare Fatah ha deciso in diverse occasioni di ritardare il pagamento dello stipendio degli impiegati pubblici palestinesi che lavorano nella Striscia. Secondo l’organizzazione svizzera Euro-Mid Observer for Human Rights, oggi nella Striscia di Gaza il tasso di disoccupazione è del 45 per cento.