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  • Domenica 22 marzo 2015

Gli ottant’anni di Lea Pericoli

È stata una grande tennista italiana, poi giornalista e conduttrice televisiva: l'ha raccontata Gianni Clerici su Repubblica, partendo da quella volta della gonna a Wimbledon

Lea Pericoli contro la britannica Frances MacLennan al torneo di Wimbledon, il 27 giugno 1967. (AP Photo/Bob Dear)
Lea Pericoli contro la britannica Frances MacLennan al torneo di Wimbledon, il 27 giugno 1967. (AP Photo/Bob Dear)

Lea Pericoli, grande tennista, giornalista e conduttrice televisiva italiana, è nata il 22 marzo 1935, esattamente ottant’anni fa: su Repubblica di lunedì 16 marzo lo storico giornalista di tennis Gianni Clerici ha raccontato del suo rapporto con Pericoli e delle trasformazioni che lei ha portato nel tennis. Clerici parte da quella volta che Pericoli si presentò a Wimbledon con la gonna – e fu tra le primissime a indossarla su un campo da tennis – raccontando poi la sua decisione di dedicarsi al giornalismo, alla televisione e alla scrittura. Oggi Pericoli è Madrina del tennis italiano, gioca a golf e fa attività di beneficenza, dopo essere guarita da due tumori: il suo ultimo libro, L’Angelo Capovolto, è uscito nel 2011.

Noi del tennis, e non solo noi, siamo stati tutti innamorati della Lea. In un paese cattolico come il nostro, è difficile sfuggire a un’immagine femminile che idealizziamo, sia quella che non oso dire, sia la mamma, sia la moglie. Insomma, l’amore. Preparandomi a scrivere una picciola celebrazione dei suoi ottant’anni, ho cominciato col telefonare a uno dei miei Editor, per informarlo. «Ottant’anni !» ha esclamato. «Ma sei sicuro? Non è che ti sbagli le date, come fai, sì insomma, da quando sei un po’ suonato. Se sei sicuro lo pubblichiamo, ci mancherebbe. Lo spazio? Per una come lei limiti non ce ne sono». Ho allora telefonato a Pietrangeli, anche lui innamorato della Lea. «Sì, certo. Il compleanno si festeggia a Roma, il 22 marzo. Mi chiedi perché non l’ho sposata? Me lo sono chiesto anch’io, più di una volta. Ma eravamo sempre tutti e due così occupati…». Quanto a me, mi sono ricordato di averla vista la prima volta al torneo di Wimbledon del 1956, e di essermene subito innamorato, giovane giornalista che ero, al Giorno.

Lei aveva giusto vent’anni. Era arrivata in Italia da Addis Abeba, dov’era cresciuta, dove aveva abitato con suo Papà, un grande uomo d’affari, che il Negus, Hailé Selassié, aveva personalmente liberato dal campo di concentramento in cui si sarebbe trovato, nel 1941. A Wimbledon le tenniste indossavano ancora gonne lunghe sin quasi al ginocchio, solo le americane erano più disinvolte, con quella che si chiamava sottana-pantalone. Come Lea scese in campo si verificò un assieparsi simile a quello che avevo visto per il primo film della coetanea Sofia Loren, i fotografi che si battevano a colpi di gomito, i dirigenti in blazer imbarazzatissimi: ogni volta che Lea colpiva il suo diritto, la sottanella, già corta sino alla coscia, roteava, facendo sì che la Divina, come avevo preso a chiamarla, mostrasse l’indumento sottostante, che, non fosse state tanto chic, si sarebbe potuto definire mutandine.

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