Google smentisce l’accordo col fisco italiano

L'azienda statunitense ha smentito l'articolo del Corriere sul pagamento di 320 milioni di euro per risolvere il contenzioso sulle tasse non pagate in Italia, ma il giornale lo conferma

Google ha smentito al Post di avere raggiunto un accordo con il fisco italiano, come annunciato stamattina da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera. L’azienda statunitense ha comunicato che:

La notizia non è vera, non c’è l’accordo di cui si è scritto. Continuiamo a cooperare con le autorità fiscali.

Sul Corriere della Sera di oggi Luigi Ferrarella aveva scritto che Google aveva trovato un accordo con il fisco italiano per risolvere il contenzioso sulle tasse non pagate nel nostro paese. La società statunitense secondo l’articolo aveva pattuito di pagare 320 milioni di euro su un imponibile stimato intorno agli 800 milioni di euro, riferito al periodo 2008-2013. La notizia non era stata confermata dalle parti interessate. Un accordo avrebbe segnato una nuova strategia più conciliante sul tema del pagamento delle tasse da parte di Google: negli ultimi anni l’azienda era stata più volte accusata di avere incassato molto denaro con i suoi servizi in Italia e in altri paesi europei, ma di avere eluso il fisco mantenendo le proprie attività in Irlanda, dove fino a qualche mese fa c’era un regime di tassazione più favorevole. Questa pratica è comune a molte altre aziende e ha spinto l’Unione Europea ad avviare provvedimenti per riformare i regimi di tassazione.

L’articolo del Corriere prima della smentita diceva che:

Google fa pace con il Fisco italiano, la Guardia di Finanza e la Procura di Milano. Una pace da circa 320 milioni di euro di tasse su 800 che riconosce come imponibile prodotto in Italia in 5 anni.
È un colpo di scena. Perché al gigante del web non sarebbero mancati né arsenali giuridici per provare una resistenza a oltranza, né l’opportunità di aspettare a maggio l’atteso decreto legislativo fiscale che sottrarrà alla rilevanza penale proprio l’«abuso del diritto», cioè le operazioni che, pur nel rispetto formale delle norme, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.

E invece, all’esito di una riunione tra penalisti, tributaristi, magistrati e GdF, l’intesa raggiunta (con la regia legale della professoressa Paola Severino) segnala che nella multinazionale americana ha pesato anche una sorta di diplomazia della distensione, la volontà di uno “Stato” (al quale i colossi come Google vengono quasi assimilati per le proprie dimensioni economiche) di ridurre contenziosi e attriti con gli Stati veri. Non senza una operazione di immagine che, d’ora in avanti in Italia, valorizzi il viaggio di ritorno entro criteri di tassazione meno esotici.

In seguito alla comunicazione della smentita da parte di Google, il Corriere ha aggiornato il suo articolo, fornendo ulteriori dettagli sull’origine della notizia.

In realtà l’accordo che i legali di Google hanno raggiunto la settimana scorsa dopo una riunione in Procura a Milano con i pm dell’inchiesta, il procuratore aggiunto Francesco Greco e gli inquirenti della GdF prevede che la compagnia americana formalizzi la settimana prossima l’apposita istanza di adesione alla Agenzia delle Entrate sulla base della fotografia scattata dal processo di constatazione della Guardia di Finanza.