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  • Venerdì 13 febbraio 2015

La campagna anti-corruzione in Cina funziona?

Sì, e questo secondo alcuni sta danneggiando la crescita economica: i funzionari comunisti hanno paura di essere indagati e vorrebbero tornare al sistema precedente

di Simon Denyer - Washington Post

BEIJING, CHINA - JANUARY 30: Chinese President Xi Jinping waits to welcome French Prime Minister Manuel Valls at the Great Hall of the People on January 30, 2015 in Beijing, China. Valls is in China during the three-day trip. (Photo by Fred Dufour - Pool/Getty Images)
BEIJING, CHINA - JANUARY 30: Chinese President Xi Jinping waits to welcome French Prime Minister Manuel Valls at the Great Hall of the People on January 30, 2015 in Beijing, China. Valls is in China during the three-day trip. (Photo by Fred Dufour - Pool/Getty Images)

Da tre anni il governo cinese ha cominciato un’estesa campagna anti-corruzione che ha portato decine di migliaia di funzionari del Partito Comunista a essere indagati. Oggi diversi esperti sono preoccupati che la corruzione sia diventata così tanto parte del sistema cinese che senza le tangenti molti progetti non sarebbero conclusi, con serie conseguenze sull’economia nazionale. Il problema è stato riconosciuto anche tra i funzionari più importanti del governo di Pechino. Lunedì 9 febbraio il primo ministro cinese, Li Keqiang, ha chiesto ai funzionari locali di firmare un documento che li impegni a svolgere il loro lavoro in maniera trasparente e corretta.

Con le nuove politiche del governo cinese la corruzione non è stata eliminata, ma sono state prese diverse misure per limitare e individuare più facilmente le tangenti: per esempio si è cominciato a controllare con più attenzione la vendita di beni di lusso e i movimenti di denaro di ristoranti e hotel di prima categoria. L’ex enclave portoghese di Macao, nel sud-est della Cina, ha ridotto molto i profitti dal gioco d’azzardo, la principale fonte delle sue entrate.

Secondo alcuni funzionari cinesi, le nuove politiche anti-corruzione sono anche responsabili del rallentamento della crescita economica della Cina. Ren Jianming, professore di governance dell’Università Beihang di Pechino, ha sostenuto per esempio che i funzionari cinesi non sono abituati a un sistema che funzioni senza corruzione: oggi sono portati a “non fare niente” per evitare di “fare qualcosa” di sbagliato che li possa portare a essere indagati per corruzione.

«I costruttori credono che senza tangenti non sia possibile per loro riuscire a ottenere un appalto, mentre i funzionari credono che senza tangenti non possono ottenere degli avanzamenti di carriera. Non credono a un sistema pulito e trasparente. I funzionari hanno cominciato a bloccare o rimandare molte decisioni per evitare il rischio di essere poi perseguiti per corruzione. E per evitare che alcuni episodi passati di corruzione possano essere scoperti.»

Altri studiosi e accademici cinesi si sono occupati negli ultimi anni della questione. Lo scorso anno Lu Ting, economista della Bank of America  con sede a Hong Kong, ha scritto in un documento che la campagna anti-corruzione stava creando una “paralisi politica” responsabile della diminuzione degli investimenti in Cina. Ting ha quantificato la “paralisi politica” in 1 punto percentuale di crescita economica nel 2014. Secondo Ren Jianming, alcuni dirigenti di ospedali hanno anche smesso di comprare nuovi macchinari perché temono di essere poi indagati per corruzione. Un uomo d’affari di Pechino ha detto:

«Prima, quando volevamo fare una cosa, invitavamo i funzionari del partito a cena. Se loro si presentavano, allora voleva dire che l’affare sarebbe stato concluso. Oggi non si presentano e noi non sappiamo cosa succederà dopo.»

Le nuove politiche anti-corruzione stanno creando molta incertezza dove prima non ce n’era. Minxin Pei, direttore del Keck Center for International and Strategic Studies al Claremont McKenna College in California, ha detto che alcuni funzionari del Partito Comunista hanno cominciato una sorta di “resistenza passiva” nei confronti della campagna del presidente Xi Jinping. Come se dicessero: «Lui ci ha tolto il formaggio, senza dare nulla in cambio. Se non ci permette di avere una vita comoda e corrotta, smetteremo di lavorare per lui». I funzionari comunisti, dice Pei, chiedono di poter tornare ai metodi corrotti che c’erano prima: sanno bene che se dovessero smettere di lavorare per il partito, o se l’economia cinese dovesse entrare in crisi, la sopravvivenza stessa del Partito Comunista sarebbe a rischio.

Alcuni economisti sostengono però che nel lungo periodo la campagna anti-corruzione del governo cinese porterà a una maggiore efficienza dell’economia nazionale, così come era successo a Hong Kong e Singapore negli anni Settanta grazie a simili iniziative. Lu, della Bank of America, ha detto inoltre che per il 2015 ci si aspetta che le conseguenze della campagna sull’economia siano meno negative, perché nel frattempo «il governo ha riaffermato la sua autorità» sui funzionari del partito. In una ricerca pubblicata lo scorso mese, Lu diceva inoltre che «negli ultimi due anni sono stati promossi diversi ufficiali più giovani della media attuale, e sono anche più trasparenti e più fedeli al governo. Sono funzionari che sembrano essere più efficaci e responsabili nel dare impulso alla crescita».

Li Yongzhong, un ricercatore che si occupa del sistema cinese di anti-corruzione, ha detto che il Partito Comunista sa che non potrà eliminare del tutto la corruzione: «È la conseguenza di avere impiantato in Cina il sistema sovietico, con un’alta concentrazione del potere, dove i funzionari sono nominati dai loro supervisori, invece che eletti. Senza riformare il sistema, nominare nuovi funzionari può solo curare i sintomi. Ma non farà una differenza sostanziale».

@Washington Post 2015