• Sport
  • Martedì 10 febbraio 2015

La marijuana per gli atleti

Chi pratica discipline particolarmente massacranti – per esempio le ultramaratone – può usarla per diminuire il dolore e la nausea, norme antidoping permettendo

Tre partecipanti all'AdventurCORPS Badwater, un'ultra-marathon nella Death Valley, in California (Getty Images)
Tre partecipanti all'AdventurCORPS Badwater, un'ultra-marathon nella Death Valley, in California (Getty Images)

La nascita e la diffusione nordamericana delle cosiddette “ultramaratone” – una parola con cui si intendono le gare di corsa a piedi più lunghe di 42,195 chilometri, cioè la distanza ufficiale di una maratona: si va dai 50 ai 1000 chilometri – ha creato uno strano legame tra gli atleti che corrono lunghe distanze e i fumatori di marijuana.

L’ultramaratona è considerato uno sport particolarmente in crescita negli ultimi anni: negli Stati Uniti e in Canada, secondo il giornale UltraRunning Magazine, ci sono state più di 1.300 gare nel 2014, contro le 293 del 2004, e anche in Italia ci sono diverse gare ogni anno. Correre per più di 50 chilometri richiede una grande preparazione fisica e soprattutto un altissimo livello di sopportazione della stanchezza e dei malesseri provocati dalla fatica. La marijuana ha tra i suoi effetti proprio la riduzione della percezione del dolore e della nausea: due qualità che possono risultare interessanti per atleti che corrono per ore, a volte anche giorni, spesso in condizioni difficili e su terreni molto accidentati. Gli atleti delle ultramaratone spesso provano crampi allo stomaco e intensi dolori ai muscoli e alle articolazioni, e non è affatto raro che qualcuno abbandoni la corsa. Avery Collins, un ventiduenne maratoneta professionista, spiega in un articolo del Wall Street Journal sull’argomento: «Se trovi il dosaggio giusto, la marijuana toglie lo stress della corsa e può essere un ottimo rimedio per il post-allenamento».

Un’altra esperta maratoneta, Jenn Shelton, racconta che «per vincere un’ultramaratona devi saper gestire il dolore, non devi vomitare e devi riuscire a mantenere la calma. La marijuana fa tutte e tre queste cose insieme». Shelton spiega che ha provato ad allenarsi con l’aiuto della marijuana ma che ha deciso di non utilizzarla mai durante le gare, per ragioni etiche. L’Agenzia mondiale dell’antidoping (WADA) nel 2013 ha alzato il livello concesso di THC – il principio attivo della marijuana – ma la quantità permessa avrebbe dei benefici soltanto se gli atleti la consumassero durante le competizioni: quindi in realtà la decisione è servita per permettere agli atleti di utilizzarla durante gli allenamenti o per rilassarsi prima di una gara. Durante le competizioni infatti è vietato farne uso, secondo le regole della WADA, perché la marijuana migliora sensibilmente le prestazioni.

Anche l’organizzazione americana che controlla e gestisce le corse sulla lunga distanza, la USA Track & Field, segue le linee guida della WADA, come spiega Jill Geer, uno dei rappresentanti dell’organizzazione: «La marijuana è sulla lista nera e non dovrebbe essere usata dagli atleti nelle gare: siamo molto chiari su questo». Il problema è che non è facile punire quelli che lo fanno, poiché pochi ultramaratoneti vengono testati per le droghe: le gare sono ancora organizzate in modo piuttosto artigianale e grossolano, introdurre controlli antidoping avrebbe dei costi che molti eventi non riescono a sostenere. Per esempio: esempio la Twin Cities Marathon, una maratona annuale che viene corsa tra Minneapolis e Saint Paul negli Stati Uniti, ha speso nel 2014 circa 3mila euro per fare il test a sei persone soltanto.

Non è facile capire quanto questo fenomeno sia diffuso perché, anche nei 23 stati americani in cui la marijuana è stata legalizzata per uso medico, gli atleti che utilizzano la marijuana non vogliono parlarne. Sui blog che frequentano invece è un argomento molto comune, e il dibattito sulla sua effettiva capacità di migliorare le prestazioni è spesso incentrato sul fatto che blocchi il dolore. Il dottor Lynn Webster, fondatore della Lifetree Pain Clinic a Salt Lake City, ha detto: «Ci sono molti fattori che suggeriscono che la cannabis blocchi proprio l’input fisico del dolore». I pazienti malati di cancro utilizzano spesso la marijuana per alleggerire la nausea causata dalla chemioterapia: per i maratoneti la nausea può essere fatale per la gara, perché impedisce loro di ingerire le calorie necessarie per andare avanti.

Negli altri sport ci sono stati alcuni atleti che hanno raccontato di aver fatto uso di marijuana durante le loro carriere, come lo snowboarder canadese Ross Rebagliati. Anche il giocatore di football Nate Jackson, oggi in pensione, ha raccontato in un libro del 2013 di aver fumato marijuana per superare i dolori dei suoi numerosi infortuni. E si è parlato molto del famoso nuotatore americano Michael Phelps, il più vincente atleta olimpico della storia, che nel 2009 era stato fotografato mentre fumava erba da un bong.

Don Catlin, esperto di antidoping che ha fondato l’UCLA Olympic Analytic Laboratory – la struttura utilizzata dalla WADA per l’antidoping e una delle più attive in materia di ricerca sull’argomento – sostiene che l’erba sia stata storicamente proibita più per motivi politici ed etici che per dei possibili vantaggi procurati agli atleti: «È più una droga da abuso che una che migliora le performance sportive». È probabile in realtà che gli atleti che fanno uso di marijuana durante le gare siano quelli che ne fanno uso comunemente: non per avere vantaggi specifici, quindi, ma per abitudine. Se invece la marijuana viene presa per ridurre il dolore, non sarebbe che uno tra i tanti metodi utilizzati a questo scopo dai corridori: non è strano che gli atleti facciano grande uso di antinfiammatori come l’ibuprofene o analgesici come il Tylenol durante le ultramaratone di oltre 100 chilometri. È il vecchio e famoso discorso sui limiti dell’anti-doping: gli atleti usano già oggi decine e decine di sostanze che tecnicamente alterano le loro prestazioni – dai beveroni vitaminici al caffè – e la lista delle sostanze permesse e di quelle proibite è una convenzione arbitraria che cambia praticamente ogni anno.

Il ventiduenne maratoneta professionista Avery Collins è uno dei pochi che ammette di utilizzare regolarmente marijuana – soltanto durante gli allenamenti, non in gara – ma non la fuma: preferisce ingerirla o utilizzare dei balsami a base di cannabis da applicare sulle gambe. Collins ha vinto 5 ultramaratone nel 2014 e il suo terzo posto alla Fat Dog 1120, una famosa corsa della provincia canadese della Columbia Britannica, è stato il miglior piazzamento americano nella competizione. Collins spiega che durante i lunghi allenamenti una piccola dose di marijuana può aiutare a far passare il tempo più velocemente, abbassa la fatica e toglie effettivamente la nausea: «Se stai correndo da 17 ore consecutive, quando smetti alcune volte è anche difficile convincere le gambe e soprattutto il cervello a fermarsi. In questi casi l’erba può aiutare ad addormentarsi prima».