©lapresse archivio storico politica Roma marzo 1989 Achille Occhetto nella foto: Occhetto durante il XVIII Congresso del PCI BUSTA 4562

Cosa fu la “svolta della Bolognina”

Il 12 novembre di 25 anni fa Achille Occhetto pronunciò le frasi che portarono alla fine del Partito Comunista Italiano

Il 12 novembre del 1989, 25 anni fa oggi, l’allora segretario del PCI Achille Occhetto, pronunciò a Bologna le frasi che aprirono la strada al passaggio dal Partito Comunista Italiano (PCI, sciolto nel 1991) al Partito Democratico della Sinistra (PDS). Era un periodo storico in cui i partiti contavano molto, così come le strutture e le lunghe discussioni al loro interno: quel momento fu chiamato la “svolta della Bolognina”, tra poco vedremo perché. Fu un momento molto importante per la storia della sinistra in Italia e, dunque, per la politica italiana in generale perché segnò la fine della storia del più grande partito comunista dell’Europa occidentale.

Il contesto
Il Partito Comunista Italiano (PCI) nacque nel gennaio del 1921 a Livorno come Partito Comunista d’Italia. Durante la Seconda guerra mondiale (con Palmiro Togliatti) diventò un importante partito nazionale, promuovendo e organizzando la Resistenza contro i tedeschi e il fascismo. Nel 1947 Alcide De Gasperi (fondatore della Democrazia Cristiana, ultimo presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia e primo della Repubblica Italiana) decise di estromettere le sinistre dal governo e il PCI passò all’opposizione, rimanendo fedele alle direttive politiche generali dell’Unione Sovietica ma sviluppando nel tempo una politica sempre più autonoma. Questo avvenne soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, soprattutto durante la segreteria di Enrico Berlinguer che promosse il cosiddetto compromesso storico ,convinto che la rivoluzione comunista dovesse diventare «un processo interno allo sviluppo della democrazia».

Gli anni Ottanta furono anni difficili e complicati per il partito: il movimento operaio entrò in crisi, Berlinguer morì, al referendum sulla scala mobile del 1985 vinsero i “no” e il Partito Socialista Italiano riuscì a conquistare la presidenza del Consiglio (1983, Governo Craxi I). Alla guida del partito c’era Alessandro Natta, erede di Berlinguer, che a causa di problemi di salute fu sostituito nel giugno del 1988 da Achille Occhetto. Nel frattempo Mikhail Gorbaciov era diventato segretario generale del Partito Comunista Sovietico e l’Unione Sovietica attraversava una crisi profonda. Durante la segreteria di Occhetto iniziò un grande dibattito interno al partito sul rinnovamento, proprio a partire dal nome e dalla parola “comunista”. Il primo a introdurlo apertamente fu Giorgio Napolitano, responsabile a quel tempo della commissione internazionale del PCI, che disse:

«Se il partito comunista decidesse di cambiare nome, la scelta più opportuna sarebbe quella di Partito del lavoro o Partito dei lavoratori. (…) Io do grandissima importanza alla sostanza del nostro cambiamento: decidere di cambiare il nome del partito potrebbe dare l’impressione che vogliamo dimenticare la nostra storia. Noi non la dimentichiamo e credo che per essere credibili dobbiamo fare i conti, apertamente, con il nostro passato. In ogni caso non mi scandalizzerei di un cambiamento del nome, ma vorrei che fosse legato a dei fatti politici, nel senso di una ricomposizione della sinistra in Italia e in Europa, del superamento pieno delle divisioni e di tutto ciò che di storicamente vecchio e non più sostenibile c’è nella sinistra nel suo complesso»

Era il febbraio del 1989 e il settimanale Epoca realizzò un sondaggio proprio sulla questione del nome: solo il 27,7 per cento dell’elettorato comunista risultò favorevole ad un’ipotesi di cambiamento. Nonostante questo, al XVIII Congresso del partito (marzo 1989) Occhetto iniziò a definire meglio la nuova prospettiva che avrebbe dovuto assumere il PCI: «Si pone alla base di tutti i processi riformatori, ad Est come ad Ovest, il riconoscimento del valore universale della democrazia, confermando che il processo di democratizzazione si può pienamente realizzare solo se sospinto in avanti da forti idealità socialiste, oltre l’individualismo capitalista e lo statalismo burocratico». In gioco, comunque, non c’era solo la questione del nome, ma anche quella di un possibile ricongiungimento fra socialisti e comunisti e quella del mondo che stava cambiando. La sera del 9 novembre 1989 crollò il Muro di Berlino. Tre giorni dopo Occhetto fece il celebre annuncio della “svolta”.

Il 12 novembre del 1989
Il 12 novembre del 1989 era domenica. Dalle 11 del mattino un gruppo di partigiani si era riunito in una sala comunale in via Tibaldi 17 a Bologna per le celebrazioni del quarantacinquesimo anniversario della battaglia di Porta Lame, un episodio della Resistenza italiana combattuto in alcuni quartieri di Bologna, tra cui Lame, Bolognina e Corticella, poi inglobati nel quartiere Navile.

Achille Occhetto partecipò a sorpresa all’incontro. In sala erano presenti solo due cronisti, il primo dell’Unità, l’altro dell’Ansa. Occhetto chiese la parola e parlò per circa sette minuti per quello che doveva essere un discorso commemorativo, di circostanza. Occhetto disse che era tempo di «andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato durante la Resistenza (…) Gorbaciov prima di dare il via ai cambiamenti in URSS incontrò i reduci e gli disse: voi avete vinto la Seconda guerra mondiale, ora se non volete che venga persa non bisogna conservare ma impegnarsi in grandi trasformazioni». Disse anche le parole poi diventate più celebri: era necessario «non continuare su vecchie strade ma inventarne di nuove per unificare le forze di progresso». Al cronista che gli chiese se le sue parole lasciassero presagire che il PCI avrebbe potuto anche cambiare nome, lui rispose: «Lasciano presagire tutto».

La “svolta”, secondo il racconto più diffuso, fu annunciata da Occhetto senza consultare il partito e questo fatto gli verrà rimproverato. Il giorno dopo l’annuncio la prima pagina dell’Unità (il direttore a quel tempo era Massimo D’Alema) titolava «Il giorno di Modrow. La Repubblica democratica tedesca elegge un nuovo premier». Al centro si trovava l’articolo sulla “svolta della Bolognina” intitolato: “Occhetto ai veterani della Resistenza: «Dobbiamo inventare strade nuove»”.

Della “svolta” si discusse ufficialmente il 13 novembre in segreteria del PCIe per altri due giorni in Direzione. Il tutto venne però rinviato al Comitato Centrale, che si aprì il 20 dello stesso mese. In quei giorni iniziarono comunque a delinearsi le diverse posizioni all’interno del PCI: da una parte quella che potremmo definire “la destra” del partito, fedele a Occhetto, e dall’altra parte “la sinistra” che assunse un iniziale atteggiamento di prudenza. Almeno fino al rientro da Madrid di Pietro Ingrao, storico leader della sinistra del PCI, che dichiarò: «Non sono d’accordo con la proposta avanzata da Occhetto. Spiegherò il mio dissenso nel Comitato centrale». Tra i militanti, nel frattempo, la svolta era stata accolta con rabbia, proteste e in modo piuttosto drammatico. Palombella Rossa, film del 1989 di Nanni Moretti, raccontò a modo suo quella fase:

Verso la fine del PCI
Il 20 novembre si aprì il Comitato Centrale a Roma in via delle Botteghe Oscure. I suoi 300 membri discussero della svolta per cinque giorni (venendo accolti da 200 militanti in protesta). Nella sua relazione introduttiva Occhetto affermò di «condividere il tormento» dei compagni, ma chiese: «Fino a quando una forza di sinistra può durare senza risolvere il problema del potere, cioè di un potere diverso?». Da qui l’idea di fare un nuovo partito con altri partiti di sinistra (la «sinistra diffusa») per poi andare al governo col PSI e altri e con la DC all’opposizione. Occhetto chiuse avvertendo però che «prima viene la cosa e poi il nome. E la cosa è la costruzione in Italia di una nuova forza politica». Da quel momento in poi il dibattito sulla svolta della Bolognina sarà anche chiamato come il “dibattito sulla Cosa”. Nanni Moretti ci girò un documentario, intitolato appunto La Cosa, raccontando le discussioni – senza alcun commento – all’interno di alcune sezioni del Partito Comunista Italiano proprio nei giorni successivi alla proposta di Occhetto:

Il Comitato Centrale si concluse il 24 novembre con il voto di 326 membri su 374: i sì furono 219, i no 73 e gli astenuti 34. Il Comitato Centrale assunse la proposta del segretario «di dar vita ad una fase costituente di una nuova formazione politica», ma allo stesso tempo accettò la proposta delle opposizioni di indire un congresso straordinario entro quattro mesi. Il XIX e penultimo congresso del PCI si tenne dal 7 all’11 marzo del 1990. Le mozioni discusse furono tre: quella del segretario Achille Occhetto; quella firmata da Alessandro Natta e Pietro Ingrao, che invece si opponeva ad una modifica del nome, del simbolo e della tradizione; quella proposta da Armando Cossutta, simile alla seconda. Vinse la mozione di Occhetto con il 67 per cento delle preferenze: Achille Occhetto venne riconfermato segretario e pianse.

La fine
L’ultimo congresso del PCI si aprì il 31 gennaio del 1991 a Rimini (nel frattempo, alle elezioni regionali del 6 maggio del 1990 il PCI ottenne solo il 23,4 per cento a fronte del 33,4 per cento della Dc. Anche le iscrizioni furono in calo). «Cari compagni e care compagne, in molti sentono che è giunta in qualche modo l’ora di cambiare»: così iniziò l’ultimo discorso di Achille Occhetto come segretario del PCI. «Non si tratterà solo di cambiare targhe sulle porte delle sezioni, occorrerà andare a una grande opera di conquista e di proselitismo (…) Oggi è un momento importante della nostra vicenda collettiva e sarà un momento memorabile della storia politica d’Italia (…) Per costruire, con il compito, con l’orgoglio che vi guida, il futuro dell’Italia». La relazione di Occhetto durò due ore, fu appoggiata, tra gli altri, da Massimo D’Alema, Walter Veltroni e Piero Fassino. E vinse di nuovo: il 3 febbraio di quell’anno nacque il Partito Democratico della Sinistra. Il simbolo era una quercia; falce e martello comparivano in piccolo alla base del tronco della quercia. Occhetto divenne il primo segretario del PDS e Stefano Rodotà venne eletto come primo presidente.

(La fine del PCI in 17 minuti)

Contrari si riconfermarono Armando Cossutta, Alessandro Natta, Pietro Ingrao, Sergio Garavini e Fausto Bertinotti (fu il cosiddetto “Fronte dei no”). Un gruppo di delegati di questa opposizione decise di non aderire al nuovo partito e di dare vita a una nuova formazione politica che mantenesse nel nome la parola “comunista”: il 15 dicembre del 1991 nacque Rifondazione Comunista.

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