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  • Mercoledì 3 settembre 2014

Quelli che scrivono dei morti prima che muoiano

Una giornalista del New York Times responsabile dei necrologi ha spiegato come lavora il suo gruppo per preparare gli articoli sui "pre-morti"

La notizia del tutto inattesa della morte dell’attore statunitense Robin Williams lo scorso agosto – così come quella dell’attore statunitense Philip Seymour Hoffman a febbraio scorso – ha rimesso in circolazione tra giornalisti e addetti ai lavori, nei giorni scorsi, la questione dei modi con cui i giornali più autorevoli e importanti al mondo si confrontano con l’eventualità di dover scrivere “necrologi” tempestivi e accurati. La questione ha acquisito ancora più rilevanza oggi che per le edizioni online di quei giornali – e tanto più quelli dei giornali solo online – la visibilità e il traffico immediati che riescono a ottenere rispetto alla concorrenza sono diventati molto più importanti (e alcuni errori e incidenti imbarazzanti sono, in questo senso, pienamente spiegabili): ma anche la sensibilità e l’attenzione dei lettori rispetto a morti inattese e lutti sono state molto esaltate su internet.

Margalit Fox è una giornalista del New York Times – il più autorevole e noto quotidiano al mondo – che insieme a quattro colleghi si occupa espressamente – sia per la versione online del giornale che per quella di carta – di necrologi e “coccodrilli” (il nome con cui vengono definiti, in gergo giornalistico, gli articoli biografici pronti o in larga parte già scritti prima che il protagonista della biografia sia effettivamente morto). In un articolo pubblicato venerdì 29 agosto Fox ha spiegato come lavora il suo gruppo, le mansioni quotidiane a breve scadenza e quelle a lunga scadenza, e ha parlato anche dell’inevitabile stress a cui sono sottoposti i giornalisti che devono occuparsi tempestivamente di persone che a volte muoiono in tempi imprevisti.

Fox ha raccontato che per lei e i suoi colleghi – Douglas Martin, Bruce Weber, Paul Vitello e William Yardley – il mondo si divide sostanzialmente in due categorie: i morti e i “pre-morti”, che per gli scrittori di necrologi è “la sola tassonomia veramente significativa”. In pratica il gruppo ha ogni giorno a che fare con due diversi tipi di lavoro: scrivere di coloro che muoiono – e farlo velocemente, rispettando una scadenza molto ravvicinata – oppure, nei ritagli di tempo, portarsi avanti col lavoro sui pre-morti, aggiornando ciascun file delle persone di cui è il caso di avere pronta un’accurata biografia prima – a volte molto prima – che quelle persone siano davvero morte. Nel gruppo, questi due diversi compiti sono noti come i “quotidiani” e gli “anticipi”. Fox ha detto che attualmente il Nyt dispone dei file di circa 1.700 persone tra i pre-morti, e che le è vietato rivelare il nome di quelle persone, così come è vietato a ogni giornalista del Nyt rivelare qualsiasi contenuto non ancora pubblicato (“Potrei dirvi chi sono i pre-morti ma poi dovrei uccidervi”).

Secondo Fox un “anticipo” può diventare un “quotidiano” in qualsiasi momento, senza preavviso, e bisogna essere sempre vigili. Il giornalista “più vigile”, modello di riferimento per tutti i necrologisti del New York Times, è Robert McFadden, ha spiegato Fox: McFadden – 77enne giornalista del Nyt, fin dal 1961, che vinse un Premio Pulitzer nel 1996 – è peraltro noto, internamente, per essere l’autore di 235 dei file del tipo “anticipi”, al momento. La lista dei nomi dei pre-morti viene aggiornata e continuamente estesa con altri nuovi nomi da Bill McDonald, direttore dei necrologi del New York Times, e dai suoi vice Jack Kadden e Peter Keepnews: la selezione dei nomi su cui lavorare, da parte del gruppo di Fox, si basa solitamente su criteri molto generici e diversi, ma ci sono alcune categorie scontate, chiaramente (presidenti, monarchi e vecchie celebrità). “Non c’è una soglia di età su cui ci concentriamo, ma naturalmente sarebbe folle da parte nostra ignorare figure importanti che hanno oltre 80 anni”, spiega Fox.

I testi sui pre-morti, pronti o in lavorazione, hanno lunghezze molto variabili – da qualche centinaio di parole a diecimila abbondanti – e sono solitamente frutto del lavoro non soltanto del gruppo di necrologisti ma anche di altri giornalisti della redazione o di alcuni freelance, tra cui ex giornalisti del Nyt in pensione. Di solito, nei casi in cui le vite siano abbastanza lunghe, complesse e compiute – tanto che non sarebbe possibile scriverne a caldo da zero in tempi rapidi – i file dei “pre-morti” vengono assegnati in anticipo a ciascun singolo giornalista del gruppo. Per loro, una delle fonti principali di informazioni, date e interviste è il cosiddetto “obitorio” del New York Times, ossia gli archivi con materiali prodotti dal Nyt in più di 100 anni, e conservati in un grande deposito situato al secondo piano seminterrato di un edificio vicino alla sede principale del giornale. Ma spesso quel materiale non basta.

Uno degli aspetti più stressanti del lavoro dei necrologisti del New York Times, ha spiegato Fox, è quello di telefonare ai pre-morti per un’intervista, quando possibile: è “una delle più assurde e imbarazzanti situazioni sociali dell’esperienza umana” e non ci sono formule o regole di etichetta utili, dice Fox, in circostanze del genere. Parlando con le persone “pre-morte” a cui stava lavorando, Alden Whitman – un altro noto necrologista del New York Times, morto nel 1990 – era solito utilizzare espressioni come “stiamo aggiornando il suo file biografico” e “questa [intervista] è per un possibile uso futuro”

Quando le cose vanno come devono andare – il file del pre-morto è stato completato, verificato, “fact-checkato”, editato e, a volte, persino completato con dei video, per la versione online del pezzo – lo sforzo è premiato: quando è il momento, al redattore non resta che aggiungere in cima all’articolo quando, dove e come è morto il pre-morto, pratica internamente nota come “mettere il cappello sul pezzo”, dice Fox. Altre volte, tuttavia, la notizia trova la redazione del tutto impreparata.

Quando Robin Williams si è suicidato a 63 anni, ad agosto, non avevamo alcun file in “anticipo” su di lui. Non c’era alcuna ragione – sembrava sano, aveva un’energia senza limiti ed era molto più giovane di quelli che solitamente prendono la nostra attenzione. I nostri redattori hanno appreso della sua morte poco prima delle 19 – circa un’ora più tardi dell’orario in cui solitamente i necrologisti consegnano i loro pezzi “quotidiani” –, e il nostro redattore della cultura Dave Itzkoff, assistito da Weber e da altri colleghi della redazione, ha prodotto rapidamente un necrologio da prima pagina di 1.500 parole.

A volte, dice Fox, capita invece di avere l’impressione che un file pronto su un pre-morto – la cui morte imminente sia preannunciata da tempo – assicuri a quel personaggio una specie di vita eterna. Addirittura i pre-morti possono vivere tanto a lungo da sopravvivere ai loro stessi necrologisti: quando capita un’evenienza del genere e l’autore del necrologio è morto prima che il suo articolo dovesse essere pubblicato, spiega Fox, se la firma del necrologista è abbastanza autorevole e nota, i redattori possono decidere lo stesso di pubblicare il suo testo, da lui scritto in “anticipo”, quando il soggetto del necrologio “si unisce al suo autore”.

Il New York Times ha effettivamente fatto una cosa del genere, per esempio, con il critico di teatro Mel Gussow, morto nel 2005: suoi pezzi biografici del tipo “anticipo” sono stati pubblicati postumi – e firmati – in occasione della morte di Harold Pinter, nel 2008, e di Elizabeth Taylor, nel 2011, aggiungendo una nota riguardo Gussow e una citazione dei colleghi che si erano occupati soltanto di mettere il cappello al pezzo.