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  • Giovedì 21 agosto 2014

La fine dei quotidiani di carta

Per Clay Shirky, esperto di media e innovazione, negli Stati Uniti ci siamo, più o meno: per concrete ragioni di business che valgono anche da noi

di Clay Shirky

Clay Shirky è da molti anni uno dei più seguiti e competenti esperti di innovazione digitale e di temi legati ai media, alla rete e ai social network. Nel 2012 fu coautore di un testo che è ancora una delle migliori analisi dei cambiamenti in corso nelle professioni delle news, e nelle aziende giornalistiche: “Post industrial journalism“. Sullo stesso tema ha pubblicato martedì 19 agosto questo testo-guida su quello che sta succedendo nei quotidiani americani, che ha in gran parte valore anche per quello che riguarda quelli europei.

Il Roanoke Times, il giornale locale che si comprava nella mia famiglia, è un tipico quotidiano cittadino, con radici che risalgono al 1880. Come molti giornali simili, è entrato in crisi a metà dello scorso decennio, quando i ricavi pubblicitari sono crollati e hanno lasciato un buco nei bilanci che la pubblicità online non era in grado di riempire. Quando la recessione del 2008 ha accentuato il problema, la società proprietaria del Roanoke Times, Landmark, ha cominciato a cercare un acquirente e alla fine ha venduto la testata al Berkshire Hathaway Media Group di Warren Buffett nel 2013. L’acquisizione è stata salutata con sollievo nella redazione, visto che Buffett aveva notoriamente assicurato i dipendenti dei suoi precedenti acquisti che “Il vostro giornale opererà in una posizione di forza economica”. Tre mesi dopo avere comprato il Times, BH Media ha licenziato 31 dipendenti, un po’ più di un terzo del totale.

Molte persone hanno lamentato l’imprevedibilità del panorama dei media seguita all’arrivo delle reti e degli apparecchi digitali, ma la lenta implosione dei quotidiani è stata ormai estesamente e correttamente prevista da tempo. I ricavi pubblicitari della carta sono diminuiti del 65 per cento in un decennio, il 2013 ha visto il minimo mai registrato, e il 2014 sarà peggio. Anche una società come BH Media, con le tasche piene e prospettive a lunga scadenza, non è in grado di ottenere guadagni senza tagliare i costi, e non può tagliare i costi senza tagliare i posti di lavoro.

Quello che è successo a Roanoke – il declino economico progressivo scandito da quote di licenziamenti – è la consuetudine nei giornali di tutti gli Stati Uniti, e cose del genere accadranno ancora. La prossima ondata di “consolidamenti” è già qui: grosse aziende editoriali come Tribune e Gannett stanno abbandonando i loro quotidiani (“lasciandoli andare”, nel freddo gergo del business). Se sei un giornalista di un giornale di carta, il tuo lavoro è a rischio. Punto. Tempo di occuparsene.

– Luca Sofri intervista Clay Shirky, 2009

I giornalisti sono stati trattati da bambini in tutto il decennio passato, mantenuti in uno stato di relativa ignoranza rispetto alle aziende per cui lavoravano. Un amico mi ha raccontato una storia su alcuni giornalisti a cui è stato chiesto quante copie reali vendesse il loro giornale, e hanno risposto con cifre che andavano da 150mila a 300mila. La verità era 35mila. Se un giornalista fosse altrettanto disinformato su una storia di cui sta scrivendo, il giornale gliela toglierebbe.

Questa impreparazione non è casuale: chi si occupa del business editoriale spesso tiene nascoste le informazioni ai lavoratori. Il mio amico Jay Rosen le definisce una “dichiarazione di innocenza” da parte dei media, come quando scrivono di un tema controverso e sembrano dire ai lettori “Non abbiamo idea di chi abbia ragione”. Ecco, nel ristretto gruppo di giornalisti che si occupano del proprio settore, c’è una questione simile: la dichiarazione di ignoranza. Quando i media parlano dei cambiamenti in corso sottolineano che nessuno sa cosa succederà. È un dato che emerge ogni volta che i media parlano dei media. Quando la Tribune Company si è di recente sbarazzata dei suoi quotidiani, il New York Times ha pubblicato un articolo dal titolo “La sezione editoriale della Tribune Company sarà staccata, mentre il futuro della carta stampata resta poco chiaro”.

Il futuro della carta stampata rimane cosa? Proviamo a immaginare come sia, un mondo in cui il futuro della carta stampata è poco chiaro: magari i ventenni vorranno leggere le notizie del giorno prima, confezionate in un formato che non si può condividere, e aggiornate solo una volta al giorno. Forse gli inserzionisti decideranno che “clicca per acquistare” suona brutto. E gli smartphone saranno passati di moda. In fondo può succedere di tutto, no? Va’ a sapere.

Nel frattempo, tornando a occuparci di cose amministrative, date un’occhiata a questo grafico. Ci vedete qualcosa di poco chiaro?

grafico_shirky

Contrariamente all’innaturale ignoranza dei giornalisti che si occupano di media, il futuro dei quotidiani è una delle poche certezze nel panorama corrente: la maggior parte sparirà in questo decennio (se lavorate in un quotidiano e non sapete cosa è successo alla diffusione e ai bilanci del vostro giornale in questi anni, è il momento giusto per andare a chiedere). Siamo abbastanza avanti in questo processo da poterne descrivere anche le probabili modalità.

La lingua di plastica, come parlano i giornali

Prendete un quotidiano qualsiasi degli Stati Uniti, nella sua edizione domenicale. La più grossa, piena di inserti e di pubblicità. Il domenicale è quello che porta a casa i soldi, con la diffusione più ampia e più tempo per essere sfogliato. Domenica è anche il giorno buono per consegnare quei dépliant e buoni sconto dagli inserzionisti maggiori.

Quei dépliant – “inserti indipendenti” – sono oggi la singola maggiore risorsa di ricavi pubblicitari per molti giornali. Gli annunci sono morti, la pubblicità locale è crollata, e l’umorismo macabro delle redazioni ha da tempo ribattezzato la sezione dei necrologi “Il conto alla rovescia degli abbonati”.

La pubblicità su carta è un profitto essenziale per la gran parte dei giornali. Gli investimenti delle grosse aziende sono essenziali per la pubblicità su carta. La domenica è essenziale per le grosse aziende. I dépliant sono essenziali per le domeniche. La base di questa piramide capovolta è sostenuta dagli uffici marketing di non più di una ventina di grandi inserzionisti.

Questi inserzionisti se ne stanno andando, avendo abbandonato l’idea che la pubblicità debba stare sui giornali per raggiungere i clienti. Le catene come CVS e Best Buy hanno così poca attenzione ai giornali su cui ancora investono che non indicano nemmeno dove si trovano i loro negozi locali (tanto potete scoprirlo online). Dal punto di vista dell’inserzionista, i quotidiani sono diventati poco più di un sacchetto da carta riciclata, con dentro un oroscopo e un minimo di sport per far sì che la gente lo apra.

Gli inserti pubblicitari sono una delle ultime risorse a resistere alla digitalizzazione. Ma saranno anche i prossimi a sparire. Società come Cellfire e Find & Save stanno lavorando a buoni sconto digitali; catene come Kroger’s e Safeway offrono già buoni online ai clienti. Questa digitalizzazione cresce mentre la diffusione dei giornali declina. Tornando a Roanoke, il Times è stato in vendita cinque anni prima di essere comprato: in quel periodo ha perso un quarto dei suoi lettori domenicali – da 106mila a 85mila – e un terzo di quelli feriali, da 96mila a 65mila. Questa storia si ripete in tutti gli Stati Uniti. I lettori della carta stampata continuano a disertare verso il mobile, ad abbandonare i giornali locali, o a morire.

Con il crescere dell’attrattiva delle alternative digitali e il declino della carta, le aziende cominceranno a spostare i loro soldi via dagli inserti di carta. Quando spariranno gli inserti, le domeniche non sosterranno più il resto della settimana. Quando si mette male per le domeniche, i giornali diventano economicamente in passivo. E quando i giornali vanno in passivo, aumentano i costi straordinari della riduzione delle economie di scala per la diminuzione o chiusura delle attività di stampa (se lavorate in un giornale, chiedete in amministrazione dei fondi per le pensioni: ma portate i sali). Questi costi tempesteranno i bilanci, portando a consolidamenti, fusioni, licenziamenti, riduzioni delle tirature, o chiusure definitive.

La chiusura di un quotidiano è più rilevante della chiusura di un negozio per una sola ragione: un quotidiano dà lavoro a giornalisti. Ho chiesto a diversi redattori, reporter ed esperti cosa dovrebbero fare i giornalisti per trovarsi preparati al prossimo giro di licenziamenti. Ho ricevuto tre risposte prevalenti: primo, imparate a capire ed esporre i dati. Secondo, capite come i social media possono diventare uno strumento redazionale. Terzo, createvi competenze lavorando in squadra e lanciando nuovi progetti.

Il primo consiglio è il più dibattuto nei circoli giornalistici: diventate bravi coi numeri. Il vecchio “articolo con grafico” era semplicemente giornalismo accanto ai dati; ora sempre di più i dati sono il giornalismo. Nate Silver ha cambiato il nostro parere sulle previsioni politiche. ProPublica ha associato i database alla capacità di raccontare meglio di chiunque negli Stati Uniti. Homicide Watch può raccontare più omicidi (tutti, di fatto) del Washington Post, usando meno persone. Imparare a programmare è l’obiettivo supremo, ma anche un corso di statistica e saper usare un foglio di calcolo di Google può aiutare. Qualunque cosa possiate fare per diventare più pratici di ricerca, comprensione e presentazione di dati vi darà un vantaggio sui vostri concorrenti, che conserviate il vostro lavoro o ne cerchiate un altro.

Secondo, imparare a usare i social media per trovare notizie e fonti. Dapprima sono stati arruolati come strumento di promozione, ma uno strumento che permette accesso diretto al pubblico è anche uno strumento giornalistico. Gli esempi grandi e piccoli, come le foto di un aereo che è atterrato sul fiume Hudson o le analisi delle spese dei parlamentari affidate dal Guardian ai lettori, si basano su una relazione più fluida tra redazioni e mondo esterno. Frequentate le conversazioni su Facebook e sfogliate le foto su Instagram in cerca di idee; capite come formulare una rispettosa richiesta di aiuto su Twitter o WeChat per trovare fonti importanti o eserciti di volontari.

Terzo, il giornalismo sta diventando sempre più uno sport di squadra. Integrazioni di testi e immagini, archivi consultabili e interattivi, liveblog collettivi, sono tutte cose che richiedono una collaborazione assai più impegnata che non il vecchio modello “articolo, firma”. Proponetevi o impegnatevi in qualunque cosa che richieda un lavoro collettivo più intenso di quello a cui siete abituati, e in qualunque cosa che implichi sperimentazione di nuovi strumenti o tecniche (il paradosso è che le aziende editoriali incentivano il lavoro di squadra ma assumono singoli: nel vostro prossimo colloquio dovete spiegare al vostro potenziale capo che siete un elemento valido per le vostre qualità, ma che parte di quel valore è che sapete lavorare bene con gli altri).

Un’obiezione a questi consigli è che siano troppo poco e troppo tardi, e non si avvicinino per niente a salvare la maggior parte dei lavori giornalistici. Ed è vero; ma è anche irrilevante. Stiamo entrando nella fase dell’impresa giornalistica che Jim Brady chiama “stare vicini e scaldarsi a vicenda”. Alcuni giornali si salveranno, naturalmente, con fusioni o contributi, ma anche quelli dovranno ridursi. Si creeranno un po’ di posti in nuove startup e non-profit; considerata la quota di licenziamenti che arriveranno nei prossimi anni, per molti che oggi lavorano nei giornali il prossimo lavoro sarà in luoghi del tutto diversi dai giornali tradizionali. Questi consigli varranno anche per questi casi.

L’altra obiezione è che il consiglio di diventare bravi coi dati, coi social media e col lavoro di squadra è terribilmente banale. Ed è vero anche questo. Sono consigli ovvi, e sono ovvi da parecchio tempo. Quello che è incredibile – e disarmante – è vedere quanto tempo ci è voluto per cominciare a seguirli, ovvi com’erano: e in parte per via del fatto che molti credono tuttora che il futuro della carta stampata sia poco chiaro, quando non lo è.

C’è un’altra reazione comune tra le persone con cui ho parlato dei cambiamenti in corso: quasi tutti hanno indicato che i giornalisti non possono più affidarsi alle proprie aziende per avere le opportunità di imparare nuove competenze e capacità. A lungo, la formazione professionale dei giornalisti derivava dalla carriera stessa: il giornale ti assegna un progetto nuovo, o ti manda a fare un’inchiesta che cambierà la tua carriera. Oggi i giornali lottano per sopravvivere e molti stanno perdendo questa lotta, quindi ci sono appena il tempo o le risorse per i “servizi essenziali”. Se un giornalista in un quotidiano vuole crescere per un futuro nuovo lavoro, se la deve cavare da solo.

– Luca Sofri: 31 domande sul giornalismo

La tentazione di trovare una dimensione morale nel collasso dei quotidiani è forte: ma non c’è, la dimensione morale. È successo solamente che gli inserzionisti se ne vanno, prima gli annunci e alla fine gli inserti. Gli affari sono affari; gli inserzionisti non sono mai stati interessati nella sopravvivenza delle redazioni. La separazione tra il senso commerciale e quello di servizio giornalistico è sempre stata celebrata come una buona cosa, fino a che non è diventata la ragione del fallimento di un’intera industria.

Il lento divorzio tra pubblicità e giornalismo sta probabilmente per accelerare. Come dice spesso Dick Tofel di ProPublica, i profitti dei giornali diminuiscono dal 2006 ma l’economia americana dal 2009 cresce. Tra il 1970 e oggi gli Stati Uniti hanno avuto in media sei anni tra le recessioni; il periodo di crescita attuale raggiunge quell’intervallo la prossima primavera. Siamo statisticamente più vicini alla prossima recessione che alla passata, e in una recessione gli investimenti pubblicitari sono i primi a sparire. Molti giornali falliranno come il Mike Campbell di Hemingway: piano piano, e poi all’improvviso.

La morte dei giornali è triste, ma la minacciata perdita del talento giornalistico è catastrofica. Se si tratta di voi, è il momento di imparare qualcosa in più rispetto alla routine interna del vostro lavoro attuale. Sarà difficile e faticoso, la vostra azienda non vi aiuterà molto, e forse non servirà a niente, ma ci stiamo avvicinando alla prossima grande contrazione del sistema. Se volete attraversarla, meglio provare quasi ogni cosa che non provare quasi niente.