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  • Venerdì 1 agosto 2014

Non è più il mondo dell’Unità

Né dei quotidiani tradizionali o dei partiti, scrive Michele Serra, suggerendo al suo ex giornale di farsene una ragione

� Silvio Durante / LaPresse
Archivio storico
16-09-1953 Torino
Correttori di bozze
LA REDAZIONE TORINESE DEL QUOTIDIANO L'UNITA
Nella foto: I correttori di bozze impegnati alacremente
Neg: 46623
� Silvio Durante / LaPresse Archivio storico 16-09-1953 Torino Correttori di bozze LA REDAZIONE TORINESE DEL QUOTIDIANO L'UNITA Nella foto: I correttori di bozze impegnati alacremente Neg: 46623

Da ieri, giovedì 31 luglio, il quotidiano l’Unità ha sospeso le pubblicazioni a causa della grave situazione economica della NIE, la società editrice del giornale, che è in liquidazione dal 14 giugno. Michele Serra – che ha iniziato la propria carriera di giornalista proprio all’Unità collaborando anche ai celebri inserti satirici “Tango” o “Cuore” – nella sua “Amaca” di oggi su Repubblica spiega come la colpa della fine del giornale vada cercata nella fine «di un mondo», lo stesso in cui lui si è formato e quello in cui politica, partiti e giornali erano «parte decisiva» della formazione personale.

Cari voi tutti dell’ Unità ( chi la scrive e chi la legge), in mezzo ai quali sono cresciuto e ai quali devo tantissima parte della mia formazione culturale e della mia sorte umana. Sono ovviamente triste per la morte (annunciata, e da almeno vent’anni incombente) del giornale. Ma oso chiedervi di non cercare un colpevole se non nel tempo che passa, e smonta di continuo ciò che abbiamo montato con tanta pazienza e passione.
La politica, i partiti, i giornali: è la trinità che ha illuminato la giovinezza di chi oggi viaggia dai cinquanta in su. Trovatemi qualcuno, al di sotto dei trentacinque anni, che consideri un partito o un giornale parte decisiva della propria identità. Figurarsi un giornale di partito.

Che indossi una testata così come la indossavamo noi, che appena svegli si andava all’edicola per avere sottobraccio o in tasca il “nostro giornale”. Anche se di soldi ne avevamo pochissimi, qualunque prezzo ci sembrava insignificante rispetto alla fortuna di sentirci parte di una comunità.

(Continua a leggere l’articolo sul blog di Triskel182)