• Mondo
  • Venerdì 18 luglio 2014

Nelson Mandela, che oggi avrebbe 96 anni

È il Mandela Day, in onore del grande politico sudafricano nato il 18 luglio 1918 e morto lo scorso dicembre, diventato il simbolo più condiviso dell'impegno per la pace e la democrazia

Nelson Mandela
Nelson Mandela (TREVOR SAMSON/AFP/Getty Images)

Nelson Mandela, che è morto il 5 dicembre dell’anno scorso, generando grande commozione e solidarietà in tutto il mondo, se fosse ancora vivo compirebbe oggi 96 anni. Negli ultimi decenni era diventato il più condiviso simbolo di impegno per la democrazia e la pace, e dal 2009, per decisione unanime dell’assemblea generale dell’ONU, si tiene ogni anno il Nelson Mandela Day proprio in occasione del giorno di nascita di Mandela. Già da molti anni prima della sua morte, Mandela era diventato il simbolo più condiviso dell’impegno per la pace e per la democrazia, in un tempo in cui trovare leader ammirati unanimemente è diventato impossibile. Quello che un tempo era stato Gandhi anche in termini di sentire comune associato ai progressi della pace e della libertà, a cavallo di questi millenni è diventato Nelson Mandela per quello che aveva ottenuto in Sudafrica contro l’apartheid, straordinario e anacronistico regime di segregazione razziale.

Mandela era nato il 18 luglio 1918 nel villaggio di Mvezo, nel Sudafrica sudorientale. Dopo aver studiato giurisprudenza, si impegnò nella lotta politica contro la discriminazione della popolazione nera sudafricana, opponendosi al regime di apartheid instaurato nel 1948 dal governo razzista del National Party. Incarcerato all’inizio degli anni Sessanta, passò 27 anni in prigione e venne liberato solo nel 1990, lavorando poi al processo di transizione democratica che lo portò a vincere le elezioni con l’ANC nel 1994. Dopo un mandato da presidente, terminato nel 1999, Mandela si dedicò soprattutto all’impegno umanitario attraverso la fondazione che porta il suo nome.

Oltre che per la sua storia personale, Mandela era famoso per il suo carisma e il suo senso dell’umorismo. La sua famiglia era di lingua xhosa – la seconda lingua africana più parlata in Sudafrica dopo lo zulu – e faceva parte di un ramo cadetto della famiglia reale dei Thembu. Suo padre era un capo locale con quattro mogli e numerosi figli: Mandela era il figlio della terza moglie e il nome inglese “Nelson” gli venne dato quando iniziò a frequentare una scuola metodista (in Sudafrica è chiamato spesso Madiba, il suo nome in lingua xhosa).
Iniziò presto la sua carriera politica: nel 1944 fondò insieme a Walter Sisulu e Oliver Tambo l’organizzazione giovanile dell’African National Congress, un movimento politico che esisteva da oltre trent’anni per difendere i diritti della popolazione nera sudafricana.

Il movimento era stato il principale catalizzatore delle proteste, anche violente, contro la discriminazione nei confronti della popolazione nera del Sudafrica, soprattutto a causa della politica di apartheid (segregazione razziale) promossa dal governo del National Party. Una volta andato al potere nel 1948, il National Party stabilì per legge l’apartheid e, nel contempo, la promozione della cultura afrikaner, ossia la popolazione in Sudafrica di pelle bianca e di origine europea che parla l’afrikaans.

Nel 1955, l’ANC approvò la sua Freedom Charter, la carta delle libertà, che molti decenni dopo sarebbe poi stata la base del proprio programma di governo. Da tre anni Mandela aveva aperto uno studio legale a Johannesburg insieme a Oliver Tambo, continuando l’impegno nell’ANC e parallelamente lavorando contro il sistema dell’apartheid. Nel 1956, insieme ad altri 155 attivisti, venne accusato di alto tradimento, ma dopo un processo durato quattro anni le accuse vennero ritirate. In quegli anni sposò Winnie Madikizela, la donna che si vede al suo fianco nella celebre foto che lo ritrae subito dopo la sua scarcerazione molto tempo più tardi.

Dopo numerose manifestazioni di protesta e duri scontri in piazza, tra cui il massacro di Sharpeville in cui 69 neri vennero uccisi dalla polizia, nel 1960 il National Party mise fuori legge l’ANC: Mandela, che era vicepresidente nazionale del movimento, entrò in clandestinità e abbandonò la lotta non violenta, appoggiando una campagna di attentati e sabotaggi. Nel 1961, infatti, fu tra i fondatori del braccio armato dell’ANC, la Umkhonto we Sizwe (“lancia della nazione”, abbreviato in MK): in quegli anni i suoi modelli erano le lotte armate di Castro e di Mao. I giornali, visto il suo ruolo di spicco nell’organizzazione e la sua latitanza, lo chiamavano “la primula nera”.

Arrestato dalla polizia sudafricana nell’agosto 1962, accusato di sabotaggio e di aver progettato una rivolta contro il governo, nel 1964 Mandela venne condannato insieme ad altre sette persone all’ergastolo e rinchiuso in una prigione a Robben Island, al largo di Città del Capo, dove rimase per diciotto anni. Il processo, durante il quale Mandela tenne alcuni celebri discorsi davanti alla corte, era stato seguito dai media di tutto il mondo. I primi anni della sua prigionia a Robben Island furono molto duri (lavorò in una cava e la mancanza di protezione agli occhi gli procurò danni permanenti alla vista) ma durante gli anni si sviluppò un’ampia campagna internazionale – in cui ebbe una parte importante sua moglie Winnie, che continuava l’attivismo politico – per fare pressione sul governo sudafricano e ottenere il suo rilascio. Il celebre slogan Free Mandela cominciò a diffondersi a partire dal 1980.

Ma ci vollero molti anni prima che le cose in Sudafrica cambiassero realmente, visto anche il continuo supporto al regime razzista del National Party da parte di Regno Unito e Stati Uniti. All’inizio degli anni Novanta, considerando ormai insostenibile la segregazione razziale, l’allora presidente sudafricano F. W. de Klerk decretò la fine dell’apartheid, il ritorno alla legalità dell’ANC e la liberazione di Mandela dopo 27 anni di detenzione, che avvenne l’11 febbraio 1990 e fu trasmesso in diretta dalle televisioni di mezzo mondo. Cominciò la transizione verso elezioni senza discriminazioni razziali: fino ad allora, la popolazione nera era segregata e privata della cittadinanza sudafricana (i neri erano formalmente cittadini di dieci bantustan teoricamente indipendenti). Le elezioni furono vinte da Mandela e dall’African National Congress il 27 aprile 1994. Mandela diventò così il primo presidente del Sudafrica eletto in consultazioni aperte a tutta la popolazione del paese.

Rimase presidente dal 1994 al 1999: durante il suo mandato lavorò alla delicata transizione del paese fuori dall’apartheid, un processo in cui ebbe un ruolo centrale la Commissione per la Verità e la Riconciliazione presieduta dall’arcivescovo anglicano Desmond Tutu.

Poco prima di essere eletto, nel 1993, Mandela aveva ricevuto il premio Nobel per la pace insieme all’ultimo presidente bianco del Sudafrica, de Klerk, “per il loro lavoro per la fine pacifica del regime dell’apartheid e per aver posto le basi per un nuovo Sudafrica democratico”. Alla fine del suo mandato presidenziale, Mandela rinunciò a ricandidarsi (gli successe il suo vice Thabo Mbeki) preferendo concentrarsi sull’impegno umanitario e in particolare sulla lotta contro l’AIDS – uno dei problemi più drammatici del nuovo Sudafrica – attraverso la Nelson Mandela Foundation. Ebbe anche diversi ruoli di mediazione in alcune gravi crisi africane, come quelle nella Repubblica Democratica del Congo e in Burundi. Nel 2004 annunciò il suo ritiro dalla vita pubblica.

Da diversi anni Mandela aveva problemi di salute. Negli anni Ottanta, mentre era in carcere, contrasse la tubercolosi, e nel 2001 gli venne diagnosticato un cancro alla prostata. Ma anche se le sue apparizioni pubbliche erano limitate al minimo, l’ex presidente continuava ad essere una presenza importantissima nell’immaginario collettivo, una sorta di simbolo dell’unità nazionale del nuovo Sudafrica. Il suo partito, l’African National Congress, è stata di gran lunga la prima forza politica in tutte le elezioni dopo il 1994, con percentuali sempre superiori al 60 per cento dei voti.

Mandela è morto a Johannesburg giovedì 5 dicembre 2013: era in condizioni molto gravi da tempo: era stato ricoverato poco prima della mezzanotte del 28 marzo a causa di una ricaduta di un problema polmonare. A dicembre del 2012, Mandela aveva passato 18 giorni in ospedale a causa di un’infezione polmonare e di calcoli biliari, l’ultimo dei suoi numerosi problemi di salute che avevano causato quattro ricoveri in poco più di due anni.