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  • Giovedì 17 luglio 2014

L’Australia ha abolito la carbon tax

Era stata introdotta dal governo laburista, dopo anni di lotte e polemiche, per ridurre le emissioni inquinanti tassando le aziende che non rispettavano certi parametri

SYDNEY, AUSTRALIA - JULY 17: Australian Prime Minister Tony Abbott holds a press conference following his keynote speech during the B20 Summit on July 17, 2014 in Sydney, Australia. Over 350 business leaders have gathered in Sydney for the 2014 B20 Summit to discuss and determine policy recommendations ahead of the G20 Leaders Meeting in Brisbane later this year. (Photo by Lisa Maree Williams/Getty Images)
SYDNEY, AUSTRALIA - JULY 17: Australian Prime Minister Tony Abbott holds a press conference following his keynote speech during the B20 Summit on July 17, 2014 in Sydney, Australia. Over 350 business leaders have gathered in Sydney for the 2014 B20 Summit to discuss and determine policy recommendations ahead of the G20 Leaders Meeting in Brisbane later this year. (Photo by Lisa Maree Williams/Getty Images)

Il Senato dell’Australia ha votato l’abolizione della cosiddetta “carbon tax”, la tassa sulle emissioni inquinanti decisa e approvata dal precedente governo laburista guidato da Julia Gillard a partire dal 2012. Nel voto finale ci sono stati 39 sì – tra cui quello decisivo del Palmer United, partito del magnate australiano Clive Palmer – e 32 no: quelli del Partito Laburista (ALP) e dei Verdi.

L’abolizione della legge è stata fortemente sostenuta dal primo ministro conservatore Tony Abbott, che durante la sua campagna elettorale – è stato eletto nel settembre del 2013 – ne aveva parlato come di un «patto di sangue» che lo legava al suo elettorato: al momento della sua approvazione, nel 2012, Abbott aveva definito la misura una “toxic tax” (“tassa tossica”) che avrebbe colpito duramente l’economia australiana. Dopo essere stata respinta una prima volta dal Senato, l’abolizione è stata infine approvata come risultato di una complicata e lunga trattativa. La “carbon tax” era al centro del dibattito politico e di dure polemiche da almeno otto anni.

Votata nel luglio del 2012 dal governo australiano presieduto dalla laburista Julia Gillard, la tassa imponeva alle aziende del paese che inquinavano di più di pagare 23 dollari australiani (circa 18 euro) per ogni tonnellata prodotta di gas serra. L’Australia risultava essere il paese con il più alto tasso di emissioni inquinanti per persona e i laburisti sostennero che imporre un’imposta diretta ai soggetti che producevano inquinamento era l’unico modo per riuscire a rispettare gli impegni internazionali sulla riduzione dell’emissione dei gas serra. In realtà la tassa si rivelò il simbolo del fallimento di quel governo, che non venne riconfermato nelle successive elezioni.

Le 500 più grandi aziende del paese – tra cui quelle minerarie e per la fornitura di energia elettrica – furono costrette a comprare dei “permessi” per le emissioni di CO2 trasferendone il costo sui consumatori, e rendendo di conseguenza la tassa stessa molto impopolare. Il costo dell’elettricità era nel frattempo aumentato del 10 per cento e quello del gas del 9 per cento. Il governo laburista aveva cercato di compensare gli aumenti ridistribuendo alle famiglie più povere la metà delle entrate fiscali derivate dalla tassa, e investendone l’altra metà per lo sviluppo di programmi per la lotta contro il riscaldamento globale. Aveva inoltre promesso di anticipare di un anno (dal 2015 al 2014) il passaggio dalla “carbon tax” a uno schema di “emission trading” con lo scopo di allentare la pressione dei costi dell’energia sulle famiglie (il prezzo per unità di emissione non sarebbe insomma stato fissato legge, ma ma legato all’andamento del mercato dell’energia).

Il conservatore Tony Abbott aveva costruito la propria campagna elettorale soprattutto contro la “carbon tax” dei laburisti, parlandone come di un furto ai danni degli australiani e come di un ostacolo per la crescita dell’economia del paese, rallentata dalla crisi generale degli ultimi anni. Tony Abbott aveva anche promesso che entro il primo anno dalla sua elezione la tassa sarebbe stata abolita e che le famiglie avrebbero potuto averne considerevoli risparmi (in media 550 dollari all’anno). Dopo l’elezione di Abbott e il voto del Senato sull’abolizione, il primo ministro ha definito il suo governo «ambientalista» precisando di avere pronto un nuovo piano per intervenire sulle emissioni (il cosiddetto “Direct Action Plan” che consiste nel pagare le aziende che riducono le emissioni e che secondo le previsioni del governo porterà a una riduzione del 5 per cento di CO2 entro il 2020).

I critici di Abbott sostengono che in realtà l’Australia è rimasta priva di una concreta politica sul clima – tra l’altro, dopo il suo insediamento, Abbott aveva abolito il ruolo di ministro del Cambiamento climatico incorporandolo nel Ministero dell’Ambiente – e che l’alleanza in occasione del voto sull’abolizione della “carbon tax” con Clive Palmer costerà molto cara al primo ministro: Palmer ha infatti già annunciato che voterà contro il “Direct Action Plan” e che chiederà al governo di prendere in considerazione le sue proposte sull’ambiente. L’attuale leader dei laburisti, Bill Shorten, ha detto che Tony Abbott «ha ridicolizzato gli australiani» e «ha spinto l’Australia indietro, mentre il resto del mondo sta andando avanti».