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  • Martedì 1 luglio 2014

Neymar e i suoi

Concita De Gregorio racconta la famiglia del più famoso calciatore del Brasile: «È la nostra impresa, siamo i presidenti», dicono i suoi genitori

Neymar col padre e l'allora presidente brasiliano Lula, il 23 agosto 2010. (MAURICIO LIMA/AFP/Getty Images)
Neymar col padre e l'allora presidente brasiliano Lula, il 23 agosto 2010. (MAURICIO LIMA/AFP/Getty Images)

Su Repubblica di lunedì 30 giugno Concita De Gregorio ha raccontato la famiglia di Neymar, il calciatore che a 22 anni è il più forte e famoso del Brasile, e l’industria familiare che gli sta dietro: dal padre, che si chiama come lui (infatti Neymar sulla maglietta ha scritto “Neymar Jr.”, mentre suo padre è Neymar Senior), alla madre, alle sorelle. «Junior finché è qui in casa è mio figlio, quando è fuori è il mio modo di guadagnarmi la vita. Non ci vedo niente di strano. È la nostra impresa, io e sua madre siamo i presidenti»

«Non ha avuto paura a battere il rigore col Cile, è vero, ma poteva giocare meglio. Poteva segnare il ragazzo. Doveva ». Hanno avuto Pelé, impressionarli è difficile. Qui in queste strade di vento, con le carte che volano nei mulinelli, per anni e anni hanno visto O Rei passare chino sotto il suo borsone bianconero, due volte al giorno, camminare chilometri fino alla cima del mondo. Il ragazzo sì, promette. 22 anni. È molto magro ma ci sa fare. Una farfallina, vedremo. Diffidano di suo padre, si scambiano battute: ha visto lungo, il grosso. Faceva il posteggiatore, il meccanico solo per certi amici, giocava così così. Neymar da Silva Santos Senior era un calciatore mediocre. Miglior risultato nel campionato del Mato Grosso ‘97. Viveva a Mogi das Cruces, luogo poverissimo. Quando è nato Junior si è trasferito a casa di sua madre, quando ha avuto 6 anni ha deciso che sarebbe stato un campione. A 11 anni manteneva già la famiglia. A 14, col primo milione pagato dal club perché non passasse nel vivaio del Real Madrid, il padre si è comprato la prima villa a Vila Belmiro: un tripudio di cancelli elettronici allarmi e videocamere, un fortino assediato da nulla. Dice, Senior, con la sua faccia da pugile che «Junior finché è qui in casa è mio figlio, quando è fuori è il mio modo di guadagnarmi la vita. Non ci vedo niente di strano. È la nostra impresa, io e sua madre siamo i presidenti». El preto, lo chiama. Il nero, affettuosamente.

Il padre è il suo agente. Tratta compensi e condizioni, in qualche caso non convenzionali. Senior ama la buona compagnia, se c’è da pagare qualcuno paghi. Nel passaggio al Barcellona, che è costato alla società una denuncia per frode, i 57 milioni dichiarati sembra fossero in verità 95, la differenza sottobanco alla famiglia. Il tema è bandito, Senior si innervosisce moltissimo a sentirne parlare e quando si arrabbia fa paura, in casa vuole stare tranquillo. Maxi schermi, postazioni di playstation ovunque, mega impianti stereo perché Junior non sa stare nel silenzio, il rap è la sua sveglia al mattino, la colonna sonora dei giorni. Una cucina da ristorante dove Nadine, la madre, e Rafaela, la sorella, preparano personalmente quattro pasti al giorno. La madre ha grembiule e cappello da cuoca e il crocefisso sul petto. «È Dio che ci ha dato questo figlio, prima di ogni partita lo chiamo e preghiamo insieme a lungo. È a Dio che ci rimettiamo, insieme». Preghiere con la mamma ad ogni vigilia.

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