I benefici delle aperture festive dei negozi

Le resistenze vengono da interessi che non hanno niente a che fare con quelle della comunità e dell'economia, spiega Alessandro De Nicola

Foto LaPresse
14-08-2013 Roma
Cronaca
Negozi aperti nelle vie dello shopping, chiusure dei negozi nelle vie minori,
Foto LaPresse 14-08-2013 Roma Cronaca Negozi aperti nelle vie dello shopping, chiusure dei negozi nelle vie minori,

Alessandro De Nicola critica su Repubblica di oggi il disegno di legge 1.042 approvato in giugno dalla commissione attività produttive e che prevede dodici giorni di chiusura obbligatoria per gli esercizi commerciali, in concomitanza con le principali festività civili e religiose. De Nicola – trascurando però la questione del corretto trattamento e della giusta retribuzione dei dipendenti nei turni di questo genere – spiega che le resistenze contro la liberalizzazione degli orari non hanno niente a che fare con i consumatori né con valutazioni di tipo economico (anzi), ma dipendono da interessi di altro tipo.

Chi ha detto che finito il governo Letta sono tramontate le larghe intese? Quando si tratta di allearsi contro i diritti di libertà economica o per motivi ideologici o a favore di lobby potenti per concrete ragioni di convenienza, il consociativismo regna sovrano. Prendiamo l’annosa questione delle aperture festive degli esercizi commerciali. Una delle poche liberalizzazioni portate a termine dal governo Monti nell’inverno 2011-2012 fu quella degli orari dei negozi. Con il famoso decreto Salva-Italia il governo del professore sancì che la Pubblica amministrazione non poteva più frapporre ostacoli alla libera scelta dei commercianti di fare affari come e quando loro pareva.

Fin dall’inizio la riforma fu osteggiata sia dalle associazioni dei commercianti, i quali si sentivano minacciati dalla grande distribuzione che poteva organizzarsi in modo più flessibile ed efficiente, sia dai loro referenti politici, come la Lega, una parte sostanziosa dell’allora Pdl e deputati sparsi in ogni partito (per convinzione anti-capitalista o convenienza), cui si sono aggiunti i grillini, contrari alle aperture libere in attesa che le stampanti 3D aboliscano del tutto la necessità di far shopping e la Chiesa, preoccupata di santificare le feste e popolare le messe.

Questa variopinta coalizione ha trovato espressione in un disegno di legge bipartisan, a firma del deputato Pd Angelo Senaldi, approvato di recente dalla commissione attività produttive con il voto favorevole di tutte le forze politiche, tranne il Gruppo Misto che ha votato contro nonché con l’astensione di M5S (che vorrebbe qualcosa di più restrittivo) e di Scelta Civica (nota a margine: perché un partito quasi dissolto come SC almeno su questi temi non fa un po’ di baraonda e di battaglie di principio? Misteri della politica). Il ddl approvato prevede 12 obbligatorie all’anno in corrispondenza delle festività nazionali, con il 50% delle stesse chiusure spostabili ad altra data dai Comuni, innescando un processo di consultazione, in parte telematico coi cittadini, in parte tra comuni limitrofi e in ultima istanza con la Regione, che definire ridicolo è quasi gentile. La finalità — secondo l’onorevole Senaldi — sarebbe di tornare a una condivisione dei valori delle festività nazionali, civili e religiose. Ebbene, andiamo con ordine.

Nessuno con un po’ di buon senso osa affermare che la liberalizzazione degli orari non porta a benefici economici. Persino il vicepresidente di Confcommercio, Lino Stoppani, ha dichiarato che le liberalizzazioni garantiscono efficienza economica ma creano disagio sociale. Quindi, non bastassero gli studi Ocse o i reiterati pareri dell’Autorità Antitrust a convincere i dubbiosi, ci pensano gli stessi avversari delle aperture libere ad ammettere ciò che è evidente.

(Continua a leggere sulla rassegna stampa del Sole)