I guai dentro SEL

Il voto sugli 80 euro in busta paga ha fatto dimettere il capogruppo Gennaro Migliore e ha fatto arrivare al dunque polemiche e tensioni che vengono da lontano

Aggiornamento – Gennaro Migliore e Claudio Fava hanno lasciato SEL.

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Mercoledì 18 giugno il decreto legge sull’IRPEF, quello degli 80 euro in busta paga, è stato approvato dalla Camera diventando legge. Il voto ha provocato molti problemi all’interno di Sinistra Ecologia Libertà: Gennaro Migliore, capogruppo dei deputati di SEL, ha presentato le dimissioni che sono state poi accettate da Nichi Vendola. I dissensi all’interno di SEL arrivano però da lontano e si erano manifestati già mesi fa, durante il Congresso: c’entravano le elezioni europee e più in generale i rapporti con il Partito Democratico e con Matteo Renzi.

Come si è arrivati a questo punto
Durante l’ultimo congresso di SEL, che si è svolto a Riccione lo scorso gennaio, gran parte della discussione è stata occupata dalle elezioni europee. Le alter­na­tive erano due: presentarsi con il proprio simbolo a sostegno di Martin Schulz, il candidato del PSE (e del PD) mettendo nelle liste soprat­tutto i diri­genti e gli amministra­tori locali con capacità di prendere voti, oppure impegnare i propri voti a sostegno della candidatura di Alexis Tsipras partecipando al progetto “Altra Europa”, alternativo a quello di Schulz. Alla scelta erano legate altre due questioni: a quale gruppo aderire all’interno del Parlamento europeo e che rapporti tenere con il Partito Democratico. Il posizionamento politico di SEL si era infatti complicato a partire dalla sconfitta elettorale, dalle dimissioni di Pier Luigi Bersani, con la fine del progetto “Italia Bene Comune”, con il governo Letta di larghe intese e poi con l’elezione di Matteo Renzi a segretario e poi la sua nomina a presidente del Consiglio.

Nel voto finale del congresso il docu­mento pro Tsi­pras era pas­sato con 382 sì, 68 con­trari e 123 astenuti, ma si era decisa l’adesione al PSE. Una posizione che in molti avevano descritto come piuttosto confusa e che era stata interpretata come una mediazione di Vendola per evitare lo scontro tra le due principali linee: da una parte, semplificando, quella del capogruppo Gennaro Migliore che aveva manifestato la volontà di avvicinarsi al PD, dall’altra quella del deputato e coordinatore di SEL Nicola Fratoianni che aveva dichiarato di voler portare il suo partito alla sinistra del PD e voler dunque proseguire sul percorso della lista Tsipras. Con Fratoianni si era schierato anche Marco Furfaro, candidato di SEL nelle liste di “Altra Europa”, che dopo la decisione di Barbara Spinelli di non rinunciare al seggio è rimasto escluso, indebolendo di fatto così anche la posizione di Fratoianni: SEL è rimasta infatti senza eletti, nonostante il grande contributo logistico, economico ed elettorale alla lista Tsipras (alle ultime politiche SEL aveva ottenuto il 3,2 per cento).

Quando le cose sono precipitate
La divisione all’interno del partito si è concretizzata in occasione del decreto IRPEF, che darà un bonus fino a 80 euro al mese in busta paga a chi guadagna dagli 8 ai 25mila euro annui. Martedì sera, il giorno prima del voto, si era svolta una riunione tra i deputati di SEL: alcuni erano contrari al decreto e volevano che SEL si astenesse (tra questi Fratoianni e, secondo quanto riferito da alcuni partecipanti, anche Vendola, che avrebbe inviato un sms in cui parlava di astensione); altri erano invece favorevoli e quindi proponevano di votare “no” alla fiducia al governo ma “sì” nel voto sul decreto: tra questi, il capogruppo Gennaro Migliore.

Alla fine quest’ultima proposta è passata a maggio­ranza, 17 a 15. Mercoledì mattina la deputata Titti Di Salvo ha pronunciato dichiarazione di voto favorevole al decreto del gruppo di SEL, avvertendo però che si trattava del «voto di un gruppo parlamentare che sfida il governo su politiche economiche che possano battere la diseguaglianza nel paese, redistribuire la ricchezza, riformare il welfare». Nonostante sia prevalsa la sua linea, Migliore ha dato le dimissioni da capogruppo: «Dimissioni irrevocabili per essere libero di sostenere la mia posizione». Non si sono invece allineati i due deputati indipendenti Giorgio Airaudo e Giulio Marcon. Marcon, a proposito della sua astensione, ha detto: «Una scelta per­so­nale ma che interpreta la con­vin­zione di quasi metà del gruppo: votare a favore signi­fica dire sì ai positivi 80 euro ma anche alla poli­tica economica di Renzi ancora subal­terna all’austerità. Nessuno si sogni di uti­liz­zare que­sto decreto legge per cam­biare que­sto orien­ta­mento».

Dopo il voto sull’IRPEF ci sono state riunioni e incontri tra i deputati e tra Fratoianni, Migliore e Vendola, che nel pomeriggio ha infine annunciato di aver accettato le dimissioni del capogruppo. «Migliore ha ras­se­gnato le dimis­sioni con grande cor­ret­tezza, con grande one­stà intel­let­tuale, perché non è stato in grado di cucire la tela di una sin­tesi nel gruppo»: una minoranza del partito avrebbe insomma di fatto sovvertito la linea assunta dal congresso, per avvicinarsi al PD. Ven­dola ha spiegato che «la dif­fe­renza è ric­chezza» ma anche che «il luogo che ha il potere di decidere sulla linea di un par­tito è il con­gresso» e che «un gruppo par­la­men­tare non può essere in alcun modo un impe­di­mento a que­sta linea». Ancora: «La dif­fe­renza tra essere ren­ziani e non renziani è esat­ta­mente quella che passa tra com­bat­tere ed arrendersi. (…) La vicenda del nostro dibat­tito interno è stata letta come una divi­sione tra filo-renziani e anti-renziani. E SEL, nono­stante il fascino che i vin­ci­tori hanno, non può dichia­rarsi filo-renziana».

Le dimis­sioni di Migliore hanno aperto comunque una grave crisi all’interno di SEL. Nei giorni scorsi, il deputato Michele Ragosta aveva dichiarato di voler cambiare gruppo parlamentare, passando a quello del Partito Democratico: è stato poi seguito da Ferdinando Aiello, secondo cui altri avrebbero fatto la stessa scelta. Nel frattempo Gra­ziano Del­rio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha detto che i par­la­men­tari che appog­giano le misure del governo «sono ben­ve­nuti: non andiamo a cac­cia di par­la­men­tari ma abbiamo biso­gno di un ese­cu­tivo forte. Chi vuole entrare nel PD lo fac­cia: è cam­biato il par­tito, si è con­cre­tiz­zato il par­tito leg­gero, è diven­tato una casa aperta».