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  • Mercoledì 28 maggio 2014

La nuova politica estera di Obama

Cosa ha detto il presidente degli Stati Uniti nel suo discorso all'accademia di West Point – "Muscolare ma non militarista", dice il NYT – tra chiodi, martelli e metafore sul baseball

President Barack Obama pauses while delivering the commencement address to the U.S. Military Academy at West Point's Class of 2014, in West Point, N.Y., Wednesday, May 28, 2014. In a broad defense of his foreign policy, the president declared that the U.S. remains the world's most indispensable nation, even after a "long season of war," but argued for restraint before embarking on more military adventures. (AP Photo/Susan Walsh)
President Barack Obama pauses while delivering the commencement address to the U.S. Military Academy at West Point's Class of 2014, in West Point, N.Y., Wednesday, May 28, 2014. In a broad defense of his foreign policy, the president declared that the U.S. remains the world's most indispensable nation, even after a "long season of war," but argued for restraint before embarking on more military adventures. (AP Photo/Susan Walsh)

Durante un atteso discorso all’accademia militare di West Point, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha esposto quella che la stampa statunitense descrive come una nuova dottrina di politica estera – “muscolare ma non militarista”, secondo il New York Times. «L’America deve sempre e comunque guidare la comunità internazionale: se non lo facciamo noi, non lo farà nessuno».

Semplificando molto, Obama ha provato a descrivere una strategia a metà tra l’interventismo idealista (la dottrina di chi pensa che gli Stati Uniti dovrebbero fare i “poliziotti del mondo”, intervenendo dove sono a rischio gli interessi del paese e il rispetto dei diritti umani) e il realismo (la dottrina di chi pensa che gli Stati Uniti in politica estera non dovrebbero ragionare in termini di “buoni” e “cattivi”, ma cercare di limitare i danni anche venendo a compromessi con i loro avversari). Che non è particolarmente “nuova” rispetto a quanto fatto finora – Obama d’altra parte ha difeso le sue azioni fin qui – ma che dovrebbe essere rilanciata nei prossimi mesi.

Sul piano delle azioni concrete, questo orientamento si tradurrà per esempio nel prolungamento della presenza dei militari americani in Afghanistan (il ritiro completo avverrà nel 2016 invece che nel 2014, come inizialmente previsto) e nel rafforzamento del sostegno ai ribelli siriani (senza specificare altro sull’eventualità di avviare un programma di addestramento, come si è discusso sulla stampa negli ultimi giorni). Obama ha insistito sulla necessità di investire sulla diplomazia, sull’intelligence e su singole operazioni mirate anti-terrorismo, allo scopo di evitare interventi militari su vasta scala. Anche per questo motivo, ha detto, gli Stati Uniti creeranno un fondo da 5 miliardi di dollari per sovvenzionare l’addestramento di agenzie anti-terrorismo per i governi del Medio Oriente e dell’Africa.

Gli annunci di oggi arrivano dopo mesi di critiche all’amministrazione Obama da parte di un pezzo consistente di politici statunitensi, anche democratici, e di un pezzo della comunità internazionale, secondo cui gli Stati Uniti mancano di una dottrina organica in politica estera e si limitano ad arrangiarsi inefficacemente crisi dopo crisi, come mostra quanto accaduto in Siria nell’ultimo anno – l’incapacità di fermare i massacri, l’intervento militare annunciato e poi cancellato – e in Ucraina negli ultimi mesi. I repubblicani, poi, accusano da anni Obama di aver diminuito l’influenza globale degli Stati Uniti. «Per quanto sia frustrante», ha detto Obama rispondendo indirettamente alle critiche, «non esiste una soluzione militare che possa interrompere rapidamente le sofferenze in Siria».

Obama sostiene invece che raramente nella storia gli Stati Uniti sono stati così forti, ma che sarebbe un errore pensare che quella forza debba tradursi inevitabilmente in interventismo: «Il fatto di avere a disposizione il miglior martello non significa che ogni problema debba essere trattato come un chiodo». Usando il baseball come metafora, Obama ha detto che la politica estera degli Stati Uniti funziona così: «Ogni tanto batti delle valide, ogni tanto batti una doppia: qualche volta magari fai anche un fuoricampo». La priorità però è non fare errori come l’invasione dell’Iraq: «non fare scemenze», come ha detto durante alcune conversazioni con i suoi consiglieri riguardo la possibilità di imporre una no-fly zone sulla Siria o fornire armi all’esercito ucraino. «Pensare che si possa invadere ogni paese che ospita terroristi è ingenuo e insostenibile».

È comunque degno di nota che la politica estera sia diventata uno dei principali punti deboli di Obama nel corso del suo secondo mandato da presidente: non solo perché nel primo mandato era stato indubbiamente il suo principale punto di forza (il punto debole era l’economia, che invece adesso va bene) ma anche perché storicamente nel loro secondo mandato i presidenti degli Stati Uniti ottengono più soddisfazioni in politica estera che in politica interna, dove sono avviati verso la fine della loro carriera politica. Obama descriverà ulteriormente il suo approccio nel viaggio in Europa previsto per la settimana prossima, in Polonia e in Francia.