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  • Mercoledì 30 aprile 2014

In che cosa è bravo Mourinho

Opportunismo, capacità gestionali e soprattutto «manipolatorie», scrive Daniele Manusia in vista della semifinale di Champions League di stasera tra Chelsea e Atletico Madrid

Chelsea's Portuguese manager Jose Mourinho holds a press conference at Stamford Bridge in London, on April 29, 2014, on the eve of the team's UEFA Champions League semi-final second leg football match against Atletico Madrid. AFP PHOTO / GLYN KIRK (Photo credit should read GLYN KIRK/AFP/Getty Images)
Chelsea's Portuguese manager Jose Mourinho holds a press conference at Stamford Bridge in London, on April 29, 2014, on the eve of the team's UEFA Champions League semi-final second leg football match against Atletico Madrid. AFP PHOTO / GLYN KIRK (Photo credit should read GLYN KIRK/AFP/Getty Images)

In vista della semifinale di Champions League che si giocherà stasera tra Chelsea e Atletico Madrid, Daniele Manusia ha scritto sull’Ultimo Uomo un profilo di José Mourinho, uno degli allenatori più vincenti e controversi degli ultimi anni, raccontandone «l’opportunismo e la capacità manipolatoria» degli ultimi tempi: intese rispettivamente come la capacità di trarre il massimo da quello che i giocatori possono dare in un dato momento – qualcuno direbbe “spremendoli” – e un sapiente utilizzo delle interviste e in generale del proprio rapporto con la stampa.

Mourinho è tornato al Chelsea la scorsa estate, dopo averlo allenato in precedenza dal 2004 al 2007: ha già vinto due volte la Champions League con due squadre diverse (Porto e Inter). La semifinale di andata era finita 0-0, e le possibilità del Chelsea – che è anche ben messo in campionato: ha appena battuto 2-0 la prima in classifica, il Liverpool, da cui è distante due punti – sono buone. Secondo Manusia, insomma, la discreta stagione del Chelsea non dipenderebbe dalla più alta qualità dei giocatori, ma sarebbe da attribuire in gran parte alle capacità gestionali di Mourinho.

In questo pezzo sarò costretto a parlare soprattutto del Chelsea e di Mourinho. Non che l’Atletico e Simeone siano in generale meno interessanti, avrebbero tranquillamente potuto segnare un gol nella partita di una settimana fa e lo 0-0 casalingo è un risultato migliore per loro che per i blues, ma quello che è successo all’andata è opera di un uomo solo. Un visionario che non ha a cuore le stesse cose che posso avere a cuore io o tu, lettore, che non solo vuoi goderti bel calcio dal vivo ma vuoi anche leggere belle descrizioni dei meccanismi tattici e delle battaglie tra sistemi.

Per questo, da qui in avanti, mi riferirò a Mourinho (José) come al Grande Manipolatore o, a seconda dei casi, Grande Opportunista. La simpatia e l’antipatia non c’entrano niente, lo si può apprezzare o criticare per motivi esclusivamente calcistici e la capacità manipolatoria (manipola i suoi calciatori, l’ambiente, persino la nostra idea di calcio) e l’opportunismo mi sembrano due caratteristiche, specialmente la seconda, messe in mostra in questa parte finale di stagione. Possiamo esaltarci o deprimerci per quello che queste sue qualità hanno fatto a una delle due semifinali di Champions League 2013-2014 (e alla Premier League), tanto a lui non gliene potrebbe fregar di meno.

Certo, il Chelsea di una settimana fa aveva problemi contingenti (l’assenza di Matic per le coppe Europee, quella importantissima di Hazard, il momento poco brillante di Oscar). Il Grande Manipolatore è al suo primo anno di gestione, continua a ripetere ragionevolmente di non poter vincere né campionato né Champions League e si trovava ad affrontare fuori casa una squadra che se non è al proprio apice stilistico è comunque in un punto molto alto della propria evoluzione. Il Chelsea partiva sfavorito e la formazione era quella di una squadra che se non puntava proprio allo 0-0, come il Grande Manipolatore ha detto dopo la gara, di certo non era andato al Vicente Calderón per imporre il proprio gioco.

Il 4-2-3-1 solito abbandonato per quella partita in favore di un compattissimo 4-1-4-1 (o se preferite 4-5-1… di certo non si poteva chiamare 4-3-3); Schürrle e Oscar in panchina, Obi Mikel a centrocampo insieme a David Luiz e Lampard; sulle fasce davanti ai terzini (che stavolta non si sono mossi dalla linea di Terry e Cahill) Willian e Ramires, bifasici quanto si vuole ma spesso a fare da quinto e sesto difensore seguendo le salite di Filipe Luís e Juanfran. A ben guardare la formazione scelta dal Grande Opportunista era molto simile a quella con cui il Chelsea con Di Matteo in panchina ha affrontato il Barcellona al ritorno nel 2012: in quel caso i tre centrocampisti centrali erano Lampard, Mikel e Meireles e sugli esterni i due giocatori che avrebbero dovuto trasformare l’azione da difensiva a offensiva erano lo stesso Ramires (decisivo quella sera) e Mata sulla destra.

Nel 2012 però l’avversario era il Barcellona di Guardiola (anche se l’ultimo Barcellona di Guardiola): un sistema di gioco eccezionale contro cui prendere misure eccezionali, una squadra che dominava e controllava le partite con il possesso palla nella metà campo avversaria e aveva problemi nella transizione difensiva: giocare in quel modo, anche se non era esattamente il massimo, aveva senso. La strategia del Grande Opportunista di una settimana fa è, anche senza voler dare giudizi, problematica anzitutto perché l’Atletico non è una squadra che fa possesso palla, né tanto meno superiore tecnicamente al Chelsea.

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foto: GLYN KIRK/AFP/Getty Images