Cosa succede a Piombino

Le storiche "acciaierie Lucchini", dove lavorano 2500 persone, hanno dovuto spegnere l'altoforno: il governo oggi presenta un piano e cerca un acquirente

Giovedì pomeriggio, come già annunciato in un tweet dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, dovrebbe essere firmato «un protocollo d’intesa sul futuro di Piombino» e cioè delle acciaierie Lucchini. Ne ha parlato anche il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, dopo un incontro a palazzo Chigi con Matteo Renzi e il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti. Questa mattina, intorno alle 11, c’è stata l’ultima colata nell’altoforno della Lucchini che continuerà a bruciare per una ventina di giorni fino al suo completo spegnimento. Gli operai, nel frattempo, hanno occupato i locali dell’altoforno e proseguono le loro proteste anche fuori dall’impianto: hanno anche inviato un video messaggio a Papa Francesco che ha risposto ieri durante l’udienza generale. La Lucchini occupa in Italia 2.500 persone, a cui se ne aggiungono 1.500 dell’indotto e rappresenta l’80 per cento del mercato nazionale delle rotaie.

Cos’è la Lucchini
Lo Stabilimento siderurgico Lucchini è un grande complesso industriale specializzato nella produzione di acciaio che si trova vicino al mare, nella zona industriale di Piombino, che ha una lunga e grande storia legata ai giacimenti minerari della zona. Dopo successivi sviluppi dei primi altiforni e passaggi di proprietà con successi e fallimenti, nel 1936, dopo la crisi finanziaria e del settore, il primo nucleo dello stabilimento passò sotto il controllo dell’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, e nel 1937 venne inserito nella Finsider, società pubblica sempre legata all’IRI creata per lo sviluppo della siderurgia italiana (ne faceva parte anche l’ILVA). Nel 1943 il controllo dello stabilimento passò alle autorità militari tedesche che nel 1944 minarono e fecero saltare tutta l’area. Rimase solo la vecchia centrale elettrica che costituì poi la base per la ricostruzione.

Nel 1961, lo stabilimento occupava quasi seimila persone. Rimase di proprietà statale fino al 12 dicembre 1992 quando venne ceduta al Gruppo Lucchini, grande impresa siderurgica bresciana fondata nel primo dopoguerra. Nel 2005, a seguito di una ristrutturazione finanziaria, la maggioranza delle quote passò attraverso un aumento di capitale al gruppo russo SeverStal, uno dei più grossi produttori al mondo.

La crisi attuale e lo spegnimento
Dopo un 2011 di ulteriore crisi, il gruppo Lucchini vendette una delle sue filiali (la BU Ascometal, produttrice di acciai speciali per le automobili) al fondo di investimenti “Apollo” per 325 milioni di euro con i quali si sarebbe dovuto finanziare un nuovo piano di ristrutturazione del debito che fu approvato dal Tribunale fallimentare di Milano nel 2012: l’accordo raggiunto con le 17 banche coinvolte, in attesa di un nuovo compratore, prevedeva un nuovo finanziamento e una proroga di sei mesi per l’esigibilità dei crediti. Il 21 dicembre del 2012, non avendo trovato alcun nuovo finanziatore, la società fece richiesta al Ministero dello Sviluppo Economico di essere ammessa all’amministrazione straordinaria: Piero Nardi venne nominato Commissario di una società gestita sostanzialmente da banche e creditori. Il 7 gennaio del 2013 il Tribunale di Livorno ha dichiarato lo stato di insolvenza di Lucchini. E il commissario ha deciso per esaurimento delle risorse finanziarie di una struttura in crisi, lo spegnimento dell’altoforno.

Nel frattempo, il 30 maggio sarà l’ultimo giorno utile per la presentazione delle offerte per l’acquisto dello stabilimento. Finora hanno espresso interesse il gruppo ucraino Steelmont, il gruppo arabo Smc di Khaled al Habahbeh e la società indiana Jindan Steel. Smc, il cui presidente aveva detto di voler salvaguardare i lavoratori e l’altoforno acceso, ha annunciato una conferenza stampa per il 15 maggio, ma l’interesse indiano sembra quello più credibile.

Il protocollo del governo
Non si hanno per ora notizie sul contenuto del protocollo che sarà firmato da Renzi e dal presidente della Toscana Enrico Rossi alle 18 di giovedì e che dovrebbe essere sottoscritto da quattro ministeri: Sviluppo economico, Ambiente, Infrastrutture e Difesa. Rossi ha fatto diverse richieste all’interno di un progetto di rilancio e riconversione della produzione secondo metodologie più moderne, efficaci e redditizie, seguendo anche un disegno dell’Unione Europea sull’acciaio: la prima riguarda la bonifica del sito industriale, in modo che non debba gravare sul nuovo compratore. Per questa operazione servono 139 milioni: il ministero dell’Ambiente ne ha promessi 50 e la Regione dovrebbe garantirne 60 oltre ai 50 già previsti per l’ampliamento del porto.

La seconda richiesta riguarda un contributo di almeno 30 milioni per il completamento del collegamento stradale tra il porto e la statale; la terza ha a che fare con la salvaguardia dell’occupazione durante il periodo di transizione verso la riconversione industriale – che dovrebbe durare almeno 4 anni, ed è legata all’individuazione di un nuovo acquirente – tramite contratti di solidarietà per i dipendenti diretti da impiegare nei lavori di bonifica e al porto e la cassa integrazione per gli altri. L’ultimo punto riguarda il ministero della Difesa, che dovrebbe utilizzare il porto di Piombino per la rottamazione delle navi militari e il conseguente riutilizzo dell’acciaio.