Che fine faranno i tatari di Crimea?
Sono la minoranza musulmana che abita in Crimea, hanno boicottato il referendum e ora chiedono autonomia dalla Russia
Quando il 16 marzo il governo della Repubblica Autonoma di Crimea ha pubblicato i risultati del referendum sull’annessione alla Russia, molti osservatori internazionali sono rimasti piuttosto scettici sui risultati. Secondo i dati ufficiali, infatti, alla consultazione ha partecipato circa l’80 per cento della popolazione e i “sì” all’annessione sono stati il 96 per cento. È un risultato strano per almeno due motivi.
Circa il 25 per cento della popolazione è di lingua ucraina e, probabilmente, in gran parte ostile all’annessione. Il secondo motivo è che un’altra parte importante dei crimeani aveva pubblicamente annunciato che avrebbe boicottato il referendum. Si tratta dei tatari di Crimea, un gruppo musulmano di lingua turca che ha davvero pochi motivi per essere amico dei russi. In Crimea abitano circa 250 mila tatari, il 12 per cento del totale della popolazione (anche di più probabilmente, visto che l’ultimo censimento è del 2001 e nel frattempo diversi tatari sono ritornati a vivere in Crimea – ci torneremo tra poco).
Sabato 29 marzo il Mejlis, il consiglio che rappresenta i tatari di Crimea, si è riunito e, dopo le ultime settimane di silenzio, ha apertamente condannato l’annessione della Crimea alla Russia, chiedendo alla comunità internazionale che i tatari vengano riconosciuti come un gruppo autonomo all’interno della Crimea. Il governo filo-russo della regione e la stessa Federazione Russa hanno assicurato nelle ultime settimane che l’autonomia dei tatari sarà rispettata e che la minoranza sarà tutelata dal nuovo governo locale. Ma i tatari, come ha detto un’anziana donna durante la riunione del Mejlis, “non credono ai russi”.
Questa sfiducia ha radici storiche piuttosto antiche. Quando l’Unione Sovietica riconquistò l’Ucraina occupata dai nazisti, nel 1944, durante la Seconda guerra mondiale, Josif Stalin accusò l’intero popolo tataro di aver collaborato con gli invasori e fece deportare circa 200 mila tatari di Crimea nelle steppe dell’Uzbekistan. A causa delle deportazioni, delle purghe di Stalin e delle carestie che precedettero la guerra, in pochi anni morì metà della popolazione originaria dei tatari di Crimea (probabilmente circa 200 mila persone).
Come dicono gli stessi tatari in queste ultime settimane, la Russia “ci ha cacciati tre volte”. La più recente è quella delle ultime settimane, con l’annessione della Crimea alla Russia. La seconda è stata quella di Stalin nel 1944. La prima, invece, risale al Settecento, quando la zarina Caterina conquistò la Crimea annettendola all’impero russo. All’epoca, tatari di origine turco-mongola vivevano in quell’area già da cinque secoli, discendenti delle popolazioni dell’Asia Centrale arrivate con Gengis Khan nel Duecento (qui potete leggere una storia dell’Ucraina con parecchi dettagli che spiegano in parte quello che è accaduto in questi mesi).
I tatari hanno cominciato a ritornare in Crimea dalla fine degli anni Ottanta e poi, in numero sempre maggiore, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Nella nuova Ucraina indipendente, i tatari hanno sempre avuto un certo spazio. Nel parlamento della Repubblica Autonoma di Crimea – che ora, di fatto, non esiste più – una quota di seggi era riservata per legge ai tatari, mentre il consiglio di rappresentanza dei tatari di Crimea, il Mejlis, è informalmente riconosciuto dal governo centrale ucraino e lo era anche da quello dell’ex repubblica autonoma.
I russi di Crimea, invece, non vedevano altrettanto di buon occhio i tatari. Diverse volte nel corso degli anni politici crimeani di lingua russa hanno chiesto l’abolizione del Mejlis, definito un organo incostituzionale e un covo di criminali. Inoltre, alcuni tatari sono ancora economicamente marginalizzati, ha scritto in un lungo articolo il Guardian, e hanno avuto scontri con la maggioranza di lingua russa. Ad esempio, negli ultimi anni ci sono state tensioni a proposito dei diritti di proprietà di terreni su cui i tatari avevano costruito baraccopoli. Non stupisce insomma che i tatari si sentissero piuttosto protetti sotto il governo ucraino, mentre siano piuttosto intimoriti da quello russo. Durante l’occupazione della Crimea, cominciata alla fine di febbraio, sono stati riportati diversi incidenti in cui miliziani armati e con il volto coperto hanno incendiato negozi o altre proprietà dei tatari.