Sarò breve e circonciso

Stefano Bartezzaghi su cosa succede nella nostra lingua tra parole lunghe e parole corte

Prendendo come spunto il lapsus di qualche giorno fa del deputato Davide Tripiedi del M5S alla Camera («Sarò breve e circonciso»), Stefano Bartezzaghi spiega su Repubblica di oggi le due principali tendenze della lingua italiana: la prima è quella che porta ad abbreviare le parole e a fare acronimi (e il successo di Ruzzle dopo quello di Scarabeo ne è un sintomo); la seconda è il permanere nella nostra lingua di un certo compiacimento per l’enfasi e le lungaggini (e l’annuncio all’altoparlante delle stazioni per dire che il treno sta arrivando al binario ne è un esempio).

Ma allora lo sparuto deputato grillino che a Montecitorio ha detto sarò «breve e circonciso» era, oltretutto, controtendenza? La lingua, si dice, si accorcia, abbiamo a disposizione meno spazio, meno tempo, meno caratteri, meno fiato e lui invece aggiunge una sillaba oltretutto rovinosa. E lo fa proprio mentre promette di essere breve. Chissà, avrà voluto incrociare l’essere “conciso” con un quadrisillabo come “circoscritto” o addirittura un pentasillabo come “circostanziato”. Ma se la matematica non è un’opinione, il dizionario non è aritmetica, e la somma non gli ha giovato.

Tra sms, WhatsApp e Twitter, è vero, ci siamo abituati ad abbreviare le parole, a digitare geroglifici come “cmq” per “comunque” o “xké” per “perché” e a impiegare acronimi come “we” per “weekend” o anche “asap” che significa “as soon as possible”, adottato nella nostra anglomania, così poco fantasiosa da non essersi inventata un ancor più breve, e fico, “ipp” per: “il prima possibile”.

L’allarme sulla sparizione delle parole lunghe proviene proprio dai paesi anglofoni, parola del Wall Street Journal. In inglese c’è da sempre, o quasi, una fobia per il quadrisillabo e oltre: paroloni che fanno sentire pretenziosi i locutori e ignoranti gli interlocutori. Ma loro si insultano a quattro lettere, mentre noi ce ne mettiamo dieci, e quattro sillabe, per scambiarci dei compiuti “vaffanculo”. Persino in preda all’urgenza espressiva e all’ira siamo dunque indulgenti con la nostra prolissità.

Un decennio fa era anche uscito un qualche studio che registrava la presenza di cognomi molto corti, monosillabi o bisillabi, ai vertici delle grandi potenze: Bush, Chirac, Blair, Putin. Cognomi che entrano in tutti i titoli dei giornali. Grande potenza non siamo, ma i titolisti italiani hanno certo sudato per vent’anni con Berlusconi, spesso chiamato Silvio anche per ragioni di ingombro. C’è comunque da immaginarsi che alcuni anglismi abbiano avuto successo da noi anche per la maggiore economia, dalle sei di “ristrutturazione” alle tre di “restyling”, ma anche dalle tre di “d’accordo” alle due di “O. K. “. E poi c’è “spread” (monosillabo) per “differenziale” (pentasillabo), come in passato si è imposto “film” (monosillabo) su “pellicola” (quadrisillabo) e oramai si dice “premier” (bisillabo) anziché “presidente del Consiglio”, a costo di una forzatura istituzionale.

(Continua a leggere l’articolo sulla rassegna stampa del MIUR)