Cosa sta succedendo

Il punto della situazione su un'ipotesi che sembrava irreale e invece forse no

Aggiornamento, 18.45 – Nel corso dell’attesa conferenza stampa, Enrico Letta ha presentato una “proposta di patto di coalizione” da presentare al Parlamento e ha detto di non porre scadenze alla durata del suo governo. Non ci sono state insomma aperture a eventuali dimissioni o “staffette”, ma la situazione rimane sospesa fino alla direzione nazionale del Partito Democratico di giovedì 13 febbraio.

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Da giorni la politica italiana e il giornalismo che se ne occupa sono avvitati attorno a un’ipotesi che sembrava inizialmente del tutto irreale e che giorno dopo giorno è diventata più concreta, fino ad apparire quasi inevitabile: la cosiddetta “staffetta”, cioè la possibilità che a Enrico Letta succeda un altro presidente del Consiglio dello stesso schieramento politico – Matteo Renzi – senza che si ricorra nuovamente alle elezioni.

(Questa ipotesi è possibile perché l’Italia è una repubblica parlamentare: non esiste legame fiduciario diretto tra l’elettorato e il presidente del Consiglio, ma esiste invece tra l’elettorato e il Parlamento, e tra il Parlamento e il presidente del Consiglio. Come accaduto più volte in passato, insomma, se il Parlamento dovesse sfiduciare il governo o se il capo del governo dovesse dimettersi, il presidente della Repubblica avrebbe il dovere costituzionale di consultare i partiti e verificare la possibilità che un’altra persona riesca a ottenere il consenso di una maggioranza parlamentare.)

La possibilità di subentrare a Letta è stata a lungo negata dallo stesso Renzi, fin da quando si è candidato alla segreteria del PD e moltissime altre volte: soltanto il 18 gennaio, meno di un mese fa, aveva ribadito di non voler prendere il posto di Letta spingendosi a coniare l’hashtag per Twitter #enricostaisereno. È vero che Renzi ha anche ripetuto più volte che il governo Letta ha senso di esistere solo finché fa le cose utili al paese, e si possono naturalmente avere opinioni scettiche e deluse sul suo conto, ma non è immediatamente chiaro cosa sia cambiato dal 18 gennaio a oggi al punto da rendere concreta un’ipotesi che era stata esclusa da Renzi così categoricamente (e che invece era sponsorizzata soprattutto dai suoi avversari interni al PD).

Enrico Letta e Matteo Renzi si sono incontrati mercoledì mattina. Enrico Letta parlerà mercoledì pomeriggio nel corso di una conferenza stampa, mentre Matteo Renzi parlerà giovedì davanti alla direzione nazionale del PD. Questi due interventi renderanno chiaro cosa accadrà nel breve periodo, ma con ogni probabilità basterà già ascoltare Letta: se esprimerà una qualche disponibilità a farsi da parte, anche nascondendola dietro la formula retorica dell’essere “a disposizione per il bene del paese”, o se invece – come dicono i retroscena di questi minuti – annuncerà di voler rilanciare le sorti del suo governo presentando una “proposta di patto di coalizione” e gli impegni concreti che erano stati richiesti a lungo dallo stesso Renzi.

Il presidente della Repubblica, protagonista in altre recenti fasi incerte della politica italiana, ha visto sia Renzi che Letta ma per il momento ha detto pubblicamente solo che la decisione spetta al PD, che è il partito di maggioranza relativa sia alla Camera che al Senato. E se l’ipotesi di una “staffetta” sembra godere del consenso di un pezzo significativo del Partito Democratico (ma anche di Scelta Civica e di Nuovo Centro Destra, nonché di un pezzetto di SEL), dall’altra parte l’incarico di presidente del Consiglio offre a Enrico Letta una leva non da poco: a meno che non decida spontaneamente di dimettersi, e per il momento sembra non averne intenzione, perché avvenga la “staffetta” serve che il Partito Democratico lo sfiduci in Parlamento – serve insomma che il Partito Democratico sfiduci un suo governo guidato da un suo illustre esponente, per quanto nato in condizioni politiche eccezionali e straordinarie.

Matteo Renzi per il momento si è limitato a dire: «Leggo tante ricostruzioni sul Governo. Quello che devo dire, lo dirò domani alle 15 in direzione. In streaming, a viso aperto». Se Letta manifesterà una qualche disponibilità a farsi da parte, Renzi potrà chiedere alla direzione nazionale del Partito Democratico di votare il sostegno alla cosiddetta “staffetta”; altrimenti Renzi potrà farlo comunque, ma il voto che chiederà sarà di fatto un voto di sfiducia su Letta e non è certo che voglia arrivare a uno scontro frontale di questa importanza, che poi dovrebbe essere anche replicato in Parlamento.

In ogni caso, anche se la cosiddetta “staffetta” non dovesse concretizzarsi, anche se Letta dovesse manifestare l’intenzione di restare al suo posto e Renzi quella di non andare allo scontro frontale in Parlamento, esiste anche il rischio che si sia andati troppo oltre per tornare indietro: che i rapporti tra il capo del governo e il segretario del principale partito che sostiene il suo governo si siano ormai gravemente deteriorati; che la rinuncia alla “staffetta” da parte di Renzi non suoni più rassicurante e distaccata come quella di un mese fa bensì diventi una vera e propria sconfitta politica («È brutto se pensano che sei uno che tenta colpi di Palazzo. Ma è anche peggio se pensano che li fallisci», ha sintetizzato Stefano Menichini su Twitter).
Che si vada avanti un altro po’, insomma, peggio di prima; e poi a un certo punto si ritorni dove siamo adesso.