La stramaledetta batteria scarica

È il problema di tutti i grandi produttori di aggeggi elettronici, che da anni cercano soluzioni senza ottenere risultati: il primo che la troverà avrà enormi vantaggi sugli altri

C’è un rito collettivo che coinvolge centinaia di milioni di persone in giro per il mondo: mettere in carica il proprio smartphone prima di andare a dormire. Da qualche anno i nostri cellulari hanno magnifici e luminosissimi schermi, fotocamere ad alta risoluzione, antenne per spremere fino all’ultimo dato le reti cellulari e wifi, processori sempre più veloci, sensori di movimento, antenne per ricevere il segnale GPS e batterie che non ce la fanno, a stare dietro a tutte queste cose. Il problema è comune sia ai telefoni meno cari che a quelli più costosi e famosi: dopo una mezza giornata di utilizzo medio, nemmeno intensivo, l’icona della batteria diventa rossa o inizia a lampeggiare, e il telefono segnala di essere disperatamente in riserva.

Mentre processori, schermi, sensori, ricevitori e altri chip si sono rapidamente evoluti, e continuano a farlo, la tecnologia delle batterie è cambiata pochissimo, dimostrando ogni giorno le proprie inadeguatezze. Anche se ci siamo rassegnati a ricaricare giornalmente i nostri smartphone, alcuni dei più grandi produttori di dispositivi elettronici come Apple e Samsung sanno che il primo che risolverà il problema delle batterie avrà conquistato una posizione di grande vantaggio sulla concorrenza. E per questo motivo ogni anno sono spese centinaia di milioni di dollari per trovare una soluzione, anche se come spiega il New York Times per ora non si sono registrati grandissimi progressi.

La progressiva diffusione di dispositivi elettronici da indossare – come gli orologi che si collegano agli smartphone (smartwatch) o gli occhiali come i Google Glass che proiettano notifiche e altre informazioni sulle loro lenti – rende fondamentale studiare nuove soluzioni per aumentare l’autonomia delle batterie. Nella fase di ricarica questi dispositivi non possono essere indossati ed è una cosa che non piace ai loro possessori, perché di solito si tratta di strumenti che raccolgono informazioni sui movimenti e la posizione di chi li indossa: fermi in ricarica sono inutili.

La tecnologia delle attuali batterie è sostanzialmente ferma a una decina di anni fa, si basa su un miscuglio di componenti agli ioni di litio e in pochi sono riusciti a migliorarne le prestazioni. Per aggirare il problema i produttori si sono inventati processori e schermi che consumano meno energia elettrica e che occupano meno spazio. E lo spazio all’interno di un dispositivo è fondamentale perché, semplificando, più ce n’è più è possibile inserire batterie di maggiori dimensioni. Un qualsiasi smartphone, un tablet o portatili come i MacBook Air visti da dentro sono una grande batteria con qualche componente intorno.

macbook-air-dentro

Migliorare una batteria è una sfida molto complessa per i centri di ricerca e sviluppo. Il punto critico è assicurare la sicurezza di chi poi utilizza il dispositivo: una batteria instabile può surriscaldarsi e arrivare a esplodere durante un ciclo di ricarica. Ciclicamente circolano notizie di incidenti, fortunatamente poco gravi, legati ai malfunzionamenti delle batterie. I produttori vogliono essere quindi sicuri il più possibile sulla qualità di questi componenti. Un malfunzionamento riscontrato quando il prodotto è già in vendita può portare al richiamo di milioni di unità, con spese aggiuntive consistenti e la perdita di fiducia da parte dei clienti.

Intervistato dal New York Times, Tony Fadell, uno degli artefici del successo degli iPod di Apple e ora a capo di Nest Labs acquisita di recente da Google, ha spiegato che sperare di colpo in un progresso nel campo delle batterie è un’illusione perché è un campo in cui le cose si muovono “incredibilmente a rilento”. Pensa che sia un ambito in cui per ora sono possibili solo piccole e graduali migliorie.

Apple
Diverse società stanno comunque valutando soluzioni alternative o di compromesso per migliorare la durata delle batterie. Fadell spiega che quando lavorava agli iPod, Apple aveva messo insieme diversi gruppi di ricerca per applicare sistemi di ricarica basati sull’energia solare. Non fu però mai possibile raggiungere risultati convincenti, perché dispositivi come iPhone e iPod sono tenuti in tasca per la maggior parte del tempo, soprattutto quando ci si trova all’esterno, e la luce artificiale dei luoghi chiusi ricarica più lentamente e con minore efficienza le batterie.

Come sempre Apple non rivela in anticipo quali nuove tecnologie intende inserire nei suoi prodotti, ma da mesi circolano diverse informazioni e indiscrezioni sul loro conto. Negli ultimi anni Apple ha assunto molte persone da società come Tesla, Toyota e A123 Systems, tutte impegnate nel migliorare la tecnologia delle batterie. Alcune sono finite in gruppi di ricerca che si stanno occupando del tanto chiacchierato smartwatch che Apple dovrebbe prima o poi mettere in vendita, probabilmente quest’anno. L’orologio potrebbe avere uno schermo di vetro curvo all’interno del quale potrebbe essere inserito un piccolo pannello per raccogliere l’energia solare e trasformarla in corrente elettrica. Un altro sistema che sta sperimentando Apple prevede che la ricarica avvenga grazie ai movimenti di chi indossa il dispositivo.

Nell’estate del 2013 Apple ha ottenuto il riconoscimento di un brevetto per realizzare batterie molto sottili e flessibili, che possono essere curvate. Potrebbero essere inserite all’interno di uno smartwatch per ridurne lo spessore, consentendo l’inserimento di una strato aggiuntivo in cui è contenuto il pannello per l’energia solare.

Google
I centri di ricerca e sviluppo di Google sono noti per lavorare a un sacco di progetti, talvolta molto ambiziosi e non sempre molto fortunati. La società ha da poco annunciato la vendita del produttore di cellulari Motorola, che aveva acquisito un paio di anni fa, ma ha trattenuto per se uno dei suoi più importanti laboratori di sviluppo. Per i suoi Google Glass è al lavoro per ottenere batterie che durino più a lungo, e che possibilmente occupino poco spazio. Durante una delle presentazioni dei dati finanziari nel 2013, il CEO Larry Page ha detto che trovare una soluzione alle batterie è una delle priorità di Google e che il settore è pieno di potenzialità.

Google Glass da vista

Samsung
Grazie all’ampia serie di prodotti nel suo catalogo, Samsung è il più grande produttore al mondo di smartphone, quasi tutti dotati del sistema operativo Android di Google. La società produce inoltre tablet e uno smartwatch, che per ora non ha ottenuto molto successo anche a causa della scarsa durata della sua batteria. Samsung produce comunque di tutto, dalle lavatrici ai frigoriferi passando per i televisori, e ha sviluppato e realizzato batterie sottili e compatte che possono essere inserite in dispositivi con diverse forme. Nel 2013 la società ha introdotto un nuovo tipo di batteria che riduce il rischio di surriscaldamenti ed esplosioni.

Galaxy Gear

Investimenti e ricerca
Centri di ricerca universitari e diversi fondi di investimento, soprattutto negli Stati Uniti, stanno spendendo grandi risorse per risolvere il problema dell’autonomia delle batterie. Tra gli investitori più grandi e noti ci sono Andreessen Horowitz, Founders Fund e il CEO di Yahoo, Marissa Mayer.

La startup Amprius, fondata dal docente dell’università di Stanford Yi Cui, sta lavorando per sostituire il carbonio degli anodi (l’elettrodo su cui avviene l’ossidazione nella produzione di energia elettrica) con il silicio. Semplificando, il silicio ha una capacità di immagazzinare energia dieci volte superiore rispetto al carbonio, ma ha il difetto di essere meno stabile: si espande e tende a formare crepe. Cui e i suoi ricercatori hanno ideato un polimero (gruppi molecolari uniti a catena) che ha la capacità di inserirsi all’interno delle microcrepe che si formano nella batteria, evitando che il materiale si disgreghi ulteriormente. La startup californiana uBeam sta realizzando prototipi basati sulla piezoelettricità, cioè la capacità di alcuni cristalli di creare differenze di potenziale (e quindi il passaggio di energia) quando sono sottoposti a una deformazione di tipo meccanico.

Sempre in carica
Un’altra possibilità su cui si sta lavorando, ma che richiederà ancora tempo per portare a utilizzi nella vita di tutti i giorni, è quella dei sistemi per ricaricare e alimentare i dispositivi usando sistemi senza fili. L’idea è di realizzare una sorta di wifi per la trasmissione dell’energia elettrica. Nel frattempo, alla University of Washington stanno studiando un compromesso: un sistema per sfruttare i segnali radio che già ci circondano (wifi, tv, radio, telefonia) e usarli per comunicare senza che il dispositivo consumi energia elettrica. La batteria verrebbe in parte risparmiata e avrebbe più autonomia per alimentare lo schermo e le altre funzionalità del telefono.

Pazienza
Nonostante i grandi sforzi e le numerose ricerche in corso, il problema della durata delle batterie nei dispositivi mobili è ancora molto distante da una soluzione. In attesa del telefono che non si scarica quasi mai, per risparmiare batteria quando è al minimo si possono usare pazienza e buon senso: tenere bassa la luminosità dello schermo, assicurarsi che non ci siano app che usano di continuo l’antenna GPS, impostare la modalità aeroplano (che stacca tutte le antenne) quando non si ha necessità di comunicare, escludere la rete dati 3G, staccare il Bluetooth. Le batterie sui dispositivi più recenti reggono meglio di un tempo i cicli di ricarica, quindi possono essere caricate più di frequente è anche parzialmente. Almeno una volta al mese è consigliabile far scaricare completamente il proprio dispositivo e ricaricarlo fino al 100 per cento, per tenere la batteria allenata.