• Italia
  • Martedì 5 novembre 2013

Cos’è la “Terra dei fuochi”

E perché se ne riparla: breve storia dei posti in cui da anni la camorra brucia rifiuti tossici, con gravi conseguenze

Foto Marco Cantile/LaPresse
28-09-2013 Casal di Principe – Caserta – Italia
cronaca
Protesta dei cittadini di Casal Di Principe, dell’Agro Aversano ed in generale della “Terra Dei Fuochi” per chiedere la bonifica della loro terra che le ecomafie hanno avvelenato

Foto Marco Cantile/LaPresse
28-09-2013 Casal di Principe – Caserta – Italia
cronaca
Protesta dei cittadini di Casal Di Principe, dell’Agro Aversano ed in generale della “Terra Dei Fuochi” per chiedere la bonifica della loro terra che le ecomafie hanno avvelenato

Lunedì 4 novembre la Camera dei deputati ha iniziato la discussione – che proseguirà oggi – di nove mozioni riguardanti la bonifica di alcuni siti inquinati di interesse nazionale, con particolare riferimento alla situazione nella cosiddetta “Terra dei fuochi”, una vasta area tra le province di Napoli e Caserta dove la criminalità organizzata gestisce e smaltisce illegalmente rifiuti speciali provenienti da tutta Italia. La definizione “Terra dei fuochi” deriva da una frase utilizzata da Roberto Saviano nel libro Gomorra, che a sua volta riprende i Rapporti Ecomafia pubblicati da Legambiente. Da molto tempo la questione viene denunciata dai cittadini dei comuni colpiti e da molte associazioni, anche con numerosi appelli, esposti e manifestazioni.

Che cosa succede e dove
La cosiddetta “Terra dei fuochi” comprende un’area molto vasta tra la provincia di Napoli e quella di Caserta. In particolare riguarda i comuni di Scampia, Ponticelli, Giugliano, Qualiano, Villaricca, Mugnano, Melito, Arzano, Casandrino, Casoria, Caivano, Grumo Nevano, Acerra, Nola, Marigliano, Pomigliano; dal lato di Caserta ci sono i comuni di Parete, Casapesenna, Villa Literno, Santa Maria Capua Vetere, Casal di Principe, Aversa, Lusciano, Marcianise, Teverola, Trentola, Frignano, Casaluce. Nel tempo il fenomeno si è esteso a tutta la Campania, giungendo anche nella provincia di Salerno.

In questi posti esistono molte discariche abusive, in piena campagna o lungo le strade: quando queste si saturano, per liberare spazio per i rifiuti successivi, vengono appiccati degli incendi. La maggior parte dei rifiuti che vengono “smaltiti” in queste zone sono rifiuti speciali. I rifiuti speciali sono definiti nell’articolo 7 del Decreto Legislativo numero 22 del febbraio 1997: sono una categoria speciale di rifiuti che si differenzia nettamente dai rifiuti urbani, quelli domestici o assimilabili a quelli domestici, quelli per esempio che derivano dalla pulizia delle strade o quelli provenienti da aree verdi. Rientrano tra i rifiuti speciali quelli da attività agricole e agro-industriali, quelli derivanti da attività di demolizione, costruzione, da lavorazioni industriali e artigianali, da attività commerciali o di servizio, o ancora quelli derivanti da macchinari, combustibili, veicoli a motore.

Sono i rifiuti più pericolosi e inquinanti, per capirsi, specie se il loro “smaltimento” avviene con modalità così rudimentali. Lo smaltimento dei rifiuti speciali dovrebbe seguire una modalità di trattamento e stoccaggio particolare, proprio per contenere i pericoli ambientali derivanti dalla loro gestione. Lo smaltimento è poi differente a seconda della tipologia di rifiuto: il percorso di un solvente di laboratorio è diverso da quello di un pannello di amianto. I rifiuti speciali sono la parte più consistente dei rifiuti – circa l’80 per cento dei rifiuti prodotti ogni anno in Italia – e anche i più costosi da smaltire: fino a 600 euro per tonnellata, per i più pericolosi.

Oltre al danno ambientale derivante dallo smaltimento illegale, c’è anche quello all’agricoltura – celebre il caso delle mozzarelle di bufala provenienti dalle zone a rischio – e quello sanitario. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) i continui smaltimenti illegali di rifiuti, con dispersione di sostanze inquinanti nel suolo e nell’aria, e l’inquinamento di falde idriche utilizzate per l’irrigazione di terreni coltivati, sono in stretta correlazione con l’incremento di diverse patologie tumorali. I casi maggiori si registrano, infatti, proprio negli otto comuni con il maggior numero di discariche di rifiuti: Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castelvolturno, Giugliano, Marcianise e Villaricca.

I dati
Dal 2001 ad oggi sono state 33 le inchieste per attività organizzata di traffico illecito di rifiuti condotte dalle procure attive nelle due province di Napoli e Caserta. I magistrati hanno emesso 311 ordinanze di custodia cautelare, con 448 persone denunciate e 116 aziende coinvolte. L’Arpac, l’Agenzia per l’ambiente della Regione Campania, ha individuato 2 mila siti inquinati.

Dal primo gennaio 2012 al 31 agosto 2013, secondo i dati raccolti dai Vigili del fuoco su incarico del viceprefetto Donato Cafagna (che dal novembre del 2012 segue per conto del ministero dell’Interno l’attività di monitoraggio e contrasto dei traffici e degli smaltimenti illegali di rifiuti nella “Terra dei fuochi”), i roghi di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame, stracci sono stati ben 6.034, di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta.

Il ruolo dei clan
La camorra ha iniziato a occuparsi di rifiuti fin dagli anni Ottanta, prima di quelli urbani, poi di quelli speciali e pericolosi, più redditizi. Il fenomeno è diventato più conosciuto grazie alle prime dichiarazioni del boss Nunzio Perrella ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli: Perrella sottolineò l’enorme interesse finanziario della criminalità organizzata per questo settore (è sua la celebre frase “la munnezza è oro”). Dalla sua testimonianza nascerà l’inchiesta Adelphi, conclusa la quale gli inquirenti scrissero che in cambio di tangenti e grazie al controllo esercitato sul territorio i clan riuscirono a scaricare illegalmente in Campania «rilevantissime quantità di rifiuti», nell’ordine di centinaia di migliaia di tonnellate.

Nel tempo le figure delle persone coinvolte nei traffici si è trasformata passando da quella dei “camorristi imprenditori” a quella degli “imprenditori camorristi”. La definizione è del magistrato Maria Cristina Ribera, che nel 2011 ha fatto mettere a verbale in Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti questa dichiarazione:

«Mentre prima soggetti notoriamente come camorristi avevano imprese che gestivano i rifiuti, ora alcuni imprenditori hanno un controllo quasi monopolistico di alcuni ambiti di questo settore che però sono il braccio economico del clan».

Fino a oggi sono una ventina gli ex boss che hanno operato nella gestione dei rifiuti e che hanno raccontato agli inquirenti come funziona il sistema. Tra loro c’è il pentito Carmine Schiavone, che già nel 1995 ai magistrati aveva evidenziato come la Campania fosse destinata a diventare una discarica a cielo aperto, soprattutto di materiali tossici tra cui piombo, scorie nucleari e materiale acido. Le sue dichiarazioni sono tornate di attualità dopo un’intervista che ha rilasciato a Sky in cui spiega nel dettaglio i luoghi dei seppellimenti dei rifiuti provenienti da tutta Italia e anche dall’estero e il sistema di “smaltimento”: 

«Il vero business era quello dei carichi che dal Nord Europa arrivavano al Sud. Rifiuti chimici, ospedalieri, farmaceutici e fanghi termonucleari. Scaricati e interrati dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli. (…) I rifiuti erano scaricati da camion e gettati nei campi e nelle cave di sabbia. Negli anni le cassette di piombo si saranno aperte, ecco perché la gente sta morendo di cancro. Stanno morendo 5 milioni di persone».