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  • Venerdì 20 settembre 2013

Che aria tira in Tunisia

Quella che sembrava la versione più riuscita delle primavere arabe sta passando una grave crisi politica, e qualcuno la paragona all'Egitto

Tunisian Prime Minister Mohammed Ghannouchi delivers a speech during a press conference to announce his resignation on February 27, 2011 in Tunis. Ghannouchi announced on February 27 his resignation, as security forces clashed with protesters demanding the removal of some ministers of the interim government. "I have decided to quit as prime minister," Ghannouchi told a news conference, saying that he thought carefully before taking the decision which was supported by his family. AFP PHOTO / FETHI BELAID (Photo credit should read FETHI BELAID/AFP/Getty Images)
Tunisian Prime Minister Mohammed Ghannouchi delivers a speech during a press conference to announce his resignation on February 27, 2011 in Tunis. Ghannouchi announced on February 27 his resignation, as security forces clashed with protesters demanding the removal of some ministers of the interim government. "I have decided to quit as prime minister," Ghannouchi told a news conference, saying that he thought carefully before taking the decision which was supported by his family. AFP PHOTO / FETHI BELAID (Photo credit should read FETHI BELAID/AFP/Getty Images)

Per diversi mesi dopo la fine della presidenza di Zine El Abidine Ben Ali, la Tunisia fu considerata la versione più riuscita delle cosiddette “primavere arabe”: il suo governo post-rivoluzionario, guidato dal partito islamista moderato Ennahda vincitore delle elezioni, era stabile, moderato e schierato con l’Occidente. Uno dei personaggi più importanti della transizione, Mohamed Ghannouchi, era un politico stimato sia in Tunisia che all’estero e considerato «rispettato, diligente e pragmatico» dagli Stati Uniti.

A due anni e mezzo dalla rivoluzione, tuttavia, la situazione politica in Tunisia è molto diversa da quella che si prospettava dopo l’allontanamento di Ben Ali: ci sono stati omicidi politici, violenze di estremisti e diversi tentativi di includere la sharia nell’ordinamento statale. Alcuni hanno paragonato la situazione tunisina a quella dell’Egitto prima del colpo di stato ai danni di Mohamed Morsi, mentre altri credono che nemmeno un modello moderato islamista come quello tunisino possa essere compatibile con la democrazia. Ecco cosa è successo in Tunisia, in ordine.

Chi sono e cosa dicono gli islamisti moderati di Ennahda
Ennahda ha vinto le elezioni dell’ottobre 2011 ottenendo 89 seggi sui 217 disponibili nel parlamento appena istituito. Il governo appena formato avrebbe dovuto scrivere una nuova Costituzione e una nuova legge elettorale entro un anno, ma non ci è riuscito; allo stesso tempo però ha tentato più volte di inserire leggi ispirate alla sharia nell’ordinamento statale, fermate o sospese per via dell’opinione contraria dell’opposizione e di buona parte della classe media (contrarie anche alle molte dichiarazioni che i leader del partito islamista fecero sul ruolo delle donne, definite “complementari” ma non uguali agli uomini).

Nel corso dell’ultimo anno il governo tunisino è stato accusato di voler far tornare il paese indietro di mezzo secolo. Il principale leader delle opposizioni tunisine, Beji Caid Essebsi, ha detto: «Per cinquant’anni abbiamo avuto una società a favore del progresso e della tolleranza. Loro [Ennahda] vogliono cambiare il nostro modo di vivere».

Gli omicidi e la crisi politica
Le manifestazioni anti-governative più grandi si sono tenute dopo l’uccisione di due importanti esponenti dell’opposizione tunisina. Chokri Belaïd, uno dei leader del Fronte Popolare (la coalizione di sinistra attualmente all’opposizione), è stato ucciso il 6 febbraio; Mohamed Brahmi, fondatore di uno dei partiti laici del paese, è stato ucciso il 25 luglio. In molti hanno accusato Ennahda di essere coinvolta in entrambi gli omicidi, qualcuno parlando di “mandante morale”, qualcun altro sostenendo che il partito al potere non aveva fatto abbastanza per bloccare le violenze degli estremisti islamici.

Riguardo i due omicidi, Essebsi ha detto: «Ora abbiamo il terrorismo in Tunisia, ed è il risultato delle politiche non abbastanza rigorose del governo. Loro [i membri del governo] hanno lasciato che andasse così. Hanno incoraggiato la violenza senza dire che lo avrebbero fatto». La stessa critica era già stata rivolta a Ennahda in altre occasioni: il partito al governo era stato accusato di non avere reagito adeguatamente di fronte ad alcuni assalti computi da estremisti a mostre d’arte e a magazzini di bevande alcoliche.

Come ha risposto il governo alle critiche
Nel corso dell’ultimo mese, soprattutto dopo le grandi proteste anti-governative che hanno seguito l’omicidio di Brahmi, Ennahda ha fatto qualche passo indietro ritirando in parte le proposte di introduzione della sharia. Il 27 agosto il governo ha inserito ufficialmente Ansar al-Sharia, gruppo di estremisti islamisti, nella lista delle organizzazioni terroristiche, e ha iniziato ad arrestare i suoi membri. Secondo le opposizioni, comunque, quello che ha fatto il governo non è stato sufficiente: Ansar al-Sharia è considerata anche dagli Stati Uniti un gruppo terroristico che opera in diversi stati dal Marocco allo Yemen: tuttavia in Tunisia è conosciuto più per i servizi sociali che offre ad alcuni dei quartieri più poveri di molte città, che per la violenza. Secondo Fabio Merone, analista politico che vive in Tunisia da più di 10 anni, vietare le attività del gruppo «politicamente non ha alcun senso» e potrebbe radicalizzare ancora di più il clima politico nel paese.

Con l’omicidio di Brahmi il parlamento tunisino ha sospeso i suoi lavori. Governo e opposizioni hanno cercato di trovare un accordo per superare la crisi politica: l’ultimo tentativo risale a giovedì, quando gli islamisti di Ennahda hanno accettato, ma solo in linea di principio, una proposta del più grande sindacato del paese, UGTT, per dimettersi e far posto a un nuovo governo di transizione, e poi a nuove elezioni. Le posizioni però sono ancora distanti e sono attesi nuovi colloqui.

Cosa c’entra l’Egitto con la Tunisia
Molti critici del governo hanno paragonato le difficoltà della Tunisia con quelle che ha affrontato l’Egitto dell’ex presidente Mohamed Morsi, e si sono ispirati alle proteste che ne sono seguite: in entrambi i paesi la “primavera araba” ha portato alla destituzione di due presidenti che erano in carica da decenni e che avevano basato il loro governo autoritario sulla stabilità e sulla laicità – Ben Ali in Tunisia e Hosni Mubarak in Egitto. In entrambi i paesi il potere è poi passato in mano a un movimento islamista, Ennahda in Tunisia (apparentemente più moderato) e la Fratellanza Musulmana in Egitto (con una storia di violenze alle spalle, e con maggiori difficoltà nel partecipare alla transizione democratica). Le critiche che ora molti tunisini stanno rivolgendo a Ennahda sono molto simili a quelle che milioni di egiziani hanno rivolto al governo dei Fratelli Musulmani tra la fine di giugno e l’inizio di luglio: incompetenza nella gestione del potere, invadenza dell’Islam nella società e favoreggiamento di movimenti estremisti.

Per il momento rimane una grande differenza che sembra distanziare la situazione della Tunisia da quella dell’Egitto, cioè il ruolo dell’esercito nella transizione. In Egitto i militari hanno occupato importanti posizioni di potere per decenni, sono stati decisivi sia nella caduta di Mubarak che poi nel colpo di stato contro Mohamed Morsi. In Tunisia il ruolo dell’esercito è molto più marginale e finora i militari sono rimasti esclusi dai colloqui tra governo e opposizioni.