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  • Mercoledì 11 settembre 2013

Notizie dall’Egitto

Se ne parla meno, ma con meno clamore continuano le repressioni contro gli islamisti e nel Sinai c'è quasi una guerriglia

An Egyptian child walks in front of the wreckage of a burnt down car, the day after an attack by Egyptian Army in a village on the outskirt of the Northern Sinai town of Sheik Zuweid on September 10, 2013 in Egypt. A series of attacks in Egypt's restive Sinai peninsula over the past 24 hours, mostly against soldiers, killed at least four people, security officials said. The violence comes as the Egyptian military presses its campaign in Sinai to quell an insurgency that surged after the army overthrew Islamist president Mohamed Morsi on July 3. AFP PHOTO/MOHAMED EL-SHAHED (Photo credit should read MOHAMED EL-SHAHED/AFP/Getty Images)
An Egyptian child walks in front of the wreckage of a burnt down car, the day after an attack by Egyptian Army in a village on the outskirt of the Northern Sinai town of Sheik Zuweid on September 10, 2013 in Egypt. A series of attacks in Egypt's restive Sinai peninsula over the past 24 hours, mostly against soldiers, killed at least four people, security officials said. The violence comes as the Egyptian military presses its campaign in Sinai to quell an insurgency that surged after the army overthrew Islamist president Mohamed Morsi on July 3. AFP PHOTO/MOHAMED EL-SHAHED (Photo credit should read MOHAMED EL-SHAHED/AFP/Getty Images)

In Egitto sono successe molte cose, negli ultimi due mesi: il colpo di stato che ha deposto il presidente Mohamed Morsi, eletto nel giugno 2012, il ritorno al potere dei militari che erano stati progressivamente estromessi dopo il successo elettorale dei Fratelli Musulmani, e una serie di massacri soprattutto al Cairo in cui sono morte almeno 900 persone. Da settimane, però, e soprattutto con l’aggravarsi della situazione in Siria, le notizie dall’Egitto sono diminuite nonostante l’esercito sia di fatto in guerra, soprattutto nella regione del Sinai.

Il Sinai
Nell’area tra le città di Al-Arish, Rafah e Sheikh Zoueid al confine con Israele, dalla deposizione dell’ex presidente Morsi avvenuta lo scorso 3 luglio, gli attacchi contro le forze di sicurezza da parte dei gruppi armati sono ormai quotidiane. La penisola è abitata principalmente da beduini e qui si sono rifugiati diversi gruppi di islamisti radicali, alcuni legati ad al Qaida. Mercoledì 11 settembre, in due diverse esplosioni vicino al confine con la Striscia di Gaza, sono morti 6 soldati e ne sono rimasti feriti altri 17. La prima autobomba è esplosa davanti alla sede dell’intelligence militare a Rafah, la seconda vicino a un check point militare poco lontano. Gli attacchi sono stati rivendicati dal gruppo armato Ansar al-Beit Maqdis in un messaggio pubblicato sulla loro pagina Facebook, la stessa organizzazione che lo scorso 5 settembre al Cairo ha detto di aver compiuto un attentato, fallito, contro il convoglio del nuovo ministro degli Interni Mohammed Ibrahim. Negli ultimi due mesi, secondo quanto riferito dai militari, negli scontri nella penisola del Sinai sono rimasti uccisi oltre un centinaio di estremisti islamici, 58 agenti di polizia egiziani, 23 soldati e 17 civili.

In tutto l’Egitto il ritorno alla normalità sembra ancora lontano. Giovedì il presidente Mansur ha esteso per altri due mesi lo stato di emergenza, che era stato dichiarato il 14 agosto dopo i massacri del Cairo, e che sarebbe dovuto durare un mese. Lo stato di emergenza prevede, tra le altre cose, la sospensione della maggior parte dei diritti per i sospetti terroristi e l’attribuzione di pieni poteri ai militari che possono sostituirsi alla polizia per garantire l’ordine pubblico e ai magistrati civili per imporre la giustizia. Il Cairo, dove vivono circa 18 milioni di persone, e le principali città del paese rimangono presidiate dall’esercito, molti treni sono fermi per evitare che gli islamisti convergano verso la capitale e nella maggior parte del paese è ancora in vigore il coprifuoco.

Situazione politica
Subito dopo la deposizione di Morsi, lo scorso 3 luglio, Abdul Fatah Khalil Al-Sisi, capo delle forze armate egiziane, è apparso in tv insieme a un gruppo di religiosi e esponenti dell’opposizione per annunciare che, su iniziativa dell’esercito, la Costituzione del paese era stata sospesa e che il capo della Corte Costituzionale, Adli Mahmud Mansur, eletto appena due giorni prima, si sarebbe insediato alla guida di un governo provvisorio, in attesa di fissare una data per tenere le elezioni presidenziali anticipate.

Il giorno dopo Mansur ha giurato come nuovo presidente dell’Egitto e l’8 settembre la nuova assemblea costituente – composta da 50 membri la maggior parte dei quali sono laici e sono stati tutti nominati dal presidente – si è riunita per la prima volta al Cairo e ha eletto il laico e liberale Amr Moussa, ex candidato alle elezioni presidenziali ed ex ministro degli Esteri per dieci anni durante il regime di Mubarak. L’assemblea ha iniziato a lavorare alla bozza di una nuova Costituzione che dovrà essere presentata entro l’8 novembre e che sarà poi sottoposta all’approvazione degli egiziani con un referendum.

La repressione
Dopo il colpo di stato, i vertici dei Fratelli Musulmani sono stati oggetto di arresti e repressioni. Nella notte tra lunedì 19 e martedì 20 agosto Mohamed Badie, “leader spirituale” del movimento, era stato arrestato al Cairo; il 29 agosto erano stati arrestati altri due leader: Mohammed el-Beltagy, ricercato per accuse di incitamento alle violenze, omicidio e terrorismo, e l’ex ministro del Lavoro Khaled Al-Azhari. Nei tribunali militari, si sono svolti inoltre molti processi contro i membri della Fratellanza.

L’esclusione e la repressione non riguarderebbero solamente i membri della Fratellanza: con l’accusa generica di appartenere all’organizzazione sarebbero infatti perseguiti e arrestati anche molti attivisti che con la Fratellanza non avrebbero nulla a che fare: coloro che criticano il nuovo governo e gli attivisti che hanno partecipato alle proteste del 2011 che hanno portato alla caduta di Mubarak. Al Cairo, ad esempio, i membri del “Movimento 6 Aprile”, uno dei più attivi durante le proteste del 2011 che hanno portato alla caduta di Mubarak, hanno fatto sapere che i militari hanno fatto irruzione in una delle loro sedi locali senza un mandato e arrestato diversi attivisti.

La scorsa settimana è stata ordinata la chiusura di alcune reti televisive (la sede egiziana di Al Jazeera e altre tre televisioni locali islamiche, critiche contro la violenta repressione dei sostenitori di Mohammed Morsi), sono stati espulsi dal paese alcuni giornalisti stranieri e ieri, mercoledì 11 settembre, è stata presentata una denuncia contro un giornalista egiziano molto noto nel paese, Ahmed Abu Deraa, per aver dato delle informazioni che avrebbero contraddetto le dichiarazioni dell’esercito sulle operazioni in corso nel Sinai.  

Ogni venerdì, inoltre, si svolgono in diverse città dell’Egitto manifestazioni a favore di Morsi che costantemente vengono interrotte violentemente dall’esercito e dalla polizia. Secondo alcuni analisti intervistati dal Wall Street Journal, il fatto che quella parte del paese che si riconosce nei movimenti di ispirazione islamica non si senta rappresentata dalla nuova assemblea costituente e sia bersaglio di continue repressioni, potrebbe portare a una nuova grave instabilità politica e alla trasformazione della lotta politica in lotta armata.

(articolo aggiornato giovedì 12 settembre)