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  • Venerdì 4 gennaio 2013

Limonov

È il titolo di un libro di cui si parla molto e il cognome di un dissidente russo arrestato pochi giorni fa, incrocio tra «un marinaio in libera uscita e una rockstar», sostenitore di pessime cause

Il 31 dicembre la polizia russa ha arrestato alcuni manifestanti che stavano tenendo una protesta non autorizzata a Mosca per difendere il diritto di assemblea. Tra questi c’era Eduard Limonov, il leader del movimento di opposizione “L’Altra Russia”, che stava parlando ai giornalisti insieme a qualche decina di persone nella Piazza del Trionfo di Mosca. Stava nevicando. I manifestanti cantavano “La Russia senza Putin!”, mentre la gente faceva compere a poca distanza.

Perché ne parliamo ora? Perché Limonov è anche il protagonista di un romanzo, dal titolo Limonov appunto, che è stato scritto dallo scrittore e sceneggiatore parigino Emmanuel Carrère. Il libro, pubblicato da Adelphi nell’ottobre 2012, ebbe parecchie recensioni molto positive al momento della sua uscita italiana, ed è stato ultimamente scelto anche da un centinaio di redattori e collaboratori della Lettura del Corriere della Sera come libro dell’anno.

Proprio in questi giorni il suo protagonista è stato arrestato in Russia (per l’ennesima volta) e quindi, complici le due cose, sono uscite molte altre recensioni in vario grado entusiaste, inclusa una particolarmente originale in forma di conversazione Skype. Il personaggio, in effetti, è straordinario.

Partiamo da quello che Limonov fa oggi, nella Russia di Putin, e del suo ruolo di oppositore. Il suo messaggio politico è stato riassunto così nel 2010 in un ritratto che ne fece Foreign Policy: «un mix infiammabile di socialismo della vecchia scuola, nazionalismo russo e teatro di strada anarchico». Le sue proteste, come quella del 31 dicembre, ruotano spesso intorno a una rumorosa difesa dell’articolo 31 della costituzione russa (qui una traduzione in inglese) che stabilisce il diritto di assemblea pacifica dei cittadini.

Come metodo di protesta, Limonov si è inventato nel luglio 2009 la “Strategia 31”: ovvero organizzare una manifestazione di protesta in piazza Triumfalnaya (“del Trionfo”), nel centro di Mosca, ogni 31 del mese. La “Strategia 31”, in termini di partecipazione, si dimostrò un discreto successo, con qualche centinaia di persone ogni volta. Da parte loro, le autorità inizialmente negarono il permesso per quelle manifestazioni, spesso con evidenti pretesti, e fecero presidiare la piazza con decine di poliziotti dei corpi speciali dell’OMON, principalmente, gente nota per non andarci giù leggero.

Il risultato della reazione repressiva fu un grande vantaggio per Limonov: quello di convincere l’opposizione “storica” a Putin, quella liberale e più rispettabile, ad appoggiare la sua “strategia”. Le autorità, capendo che il divieto di manifestazione era di fatto un grande invito a manifestare, passarono a concedere le autorizzazioni in una parte definita e transennata della piazza. Gran parte dell’opposizione accettò il compromesso.

Non Limonov, che rifiutò di manifestare nell’area autorizzata e tenne una piccola contromanifestazione il 31 ottobre 2010, dall’altra parte della piazza, mentre il resto dell’opposizione aveva radunato qualche migliaia di persone. Limonov era passato alla protesta contro la protesta ed era di nuovo da solo. E l’opposizione a Putin e al suo sistema di potere, in Russia, non è mai una cosa facile e tende ad essere pericolosa: Limonov oggi vive in diversi appartamenti di Mosca, che cambia spesso, circondato da attivisti del suo partito – cranio rasato, anfibi – che gli fanno da guardie del corpo.

È facile pensare, da questa presentazione, che il 69enne Eduard Limonov sia una sorta di solitario e intransigente oppositore al regime di Putin, non disposto a nessun patto con il potere che combatte. La cosa è probabilmente vera, ma è un punto di vista che va completato con il resto del programma del movimento politico che ha fondato nel 1992, al suo ritorno in Russia dalla Francia: il Partito Nazional-Bolscevico o NazBol (questo è il sito ufficiale).

Programma che più o meno diceva così: Russia e Europa devono essere uniti in un grande impero a guida russa, che si dovrà eventualmente estendere all’Asia centrale e settentrionale. Negli ultimi anni l’impero euroasiatico si è perso un po’ per strada e nella pratica il movimento di Limonov si è dedicato soprattutto ad azioni dimostrative di protesta (Limonov e i suoi hanno anche preso le distanze dall’antisemitismo e dal razzismo di cui erano stati accusati in passato). Alle sue manifestazioni, i partecipanti facevano un saluto a metà tra quello nazista (braccio teso) e quello comunista (pugno chiuso) e pronunciavano slogan per il ritorno di Stalin, di Berija (il terribile capo della polizia segreta di Stalin, l’NKVD) e, per non farsi mancare niente, anche dei gulag (i campi di concentramento sovietici per dissidenti politici).

Il simbolo del Nazbol è una falce e un martello nero in un tondo bianco su sfondo rosso, un’aberrante mescolanza del simbolo sovietico e della bandiera della Germania nazista. Il suo organo ufficiale di stampa è Limonka, un giornaletto che richiama nel nome e nella testata una bomba a mano.

Il movimento non è mai stato riconosciuto ufficialmente come partito politico, esattamente come Altra Russia, l’altro movimento di opposizione fondato da Limonov nel 2010, che in un’ulteriore confusione di simboli e stemmi ha invece come simbolo la bandiera degli zar. Il nome “Altra Russia” è lo stesso di una coalizione di movimenti dell’ultrasinistra, dell’estrema destra e della società civile che è esistita in Russia dal 2006 al 2010, di cui faceva parte anche Limonov, oltre al più celebre ex campione di scacchi russo Garry Kasparov.

In questi anni di improbabili movimenti politici, intanto, Limonov e i suoi – di solito ragazzi giovani e disposti ad andare in galera per le loro azioni dimostrative – sono stati coinvolti in diversi arresti e processi da parte delle autorità russe. Nell’aprile 2001, per esempio, Limonov venne incarcerato con l’accusa di possesso illegale di armi e con quella, ben più notevole, di aver cercato di costituire un esercito per invadere il Kazakistan (l’accusa era basata principalmente su un articolo pubblicato su Limonka e Limonov la rifiutò come “ridicola”). Anche se quest’ultima imputazione cadde nel corso del processo, Limonov si fece due anni di carcere per il possesso di armi.

Nel suo romanzo, Carrère dice di aver conosciuto Limonov nella Parigi dei primi anni Ottanta, quando lo scrittore russo era arrivato nella città «aureolato dal successo di un romanzo scandaloso», che raccontava la sua vita a New York dopo essere scappato dall’Unione Sovietica. Il romanzo raccontava una vita tra lavoretti ed episodi di violenza, con diverse descrizioni piuttosto esplicite dei suoi rapporti etero ed omosessuali. Si intitola Il poeta russo preferisce i grandi negri. Carrère dice che, ben diverso dagli altri dissidenti sovietici – a cui da parte sua Limonov non risparmiava insulti – il nuovo arrivato dall’URSS sembrava un misto tra «un marinaio in libera uscita e una rockstar».

Limonov era un provocatore che girava per Parigi con una giacca da ufficiale dell’Armata Rossa, un intrattenitore, un ubriacone e uno che difendeva Stalin davanti ai gruppi di intellettuali francesi, che, di conseguenza, lo adoravano.

Prima di arrivare a Parigi la sua vita era già stata un affare abbastanza romanzesco: nato in una cittadina industriale della Russia centrale nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, nel febbraio 1943, si era trasferito a Charkov, la seconda città ucraina, dove era cresciuto e si era dato ai piccoli furti. Poi, poco più che ventenne, si era trasferito a Mosca e aveva ruotato intorno ad alcuni movimenti poetici di avanguardia (scriveva poesie da quando aveva 13 anni). A metà degli anni Settanta, in circostanze poco chiare, lasciò Mosca e andò ad abitare nella New York descritta nel romanzo citato poco fa.

Nei primi anni Novanta, dopo il crollo del comunismo, Limonov spinse ancora più in là l’asticella delle azioni che i suoi estimatori francesi dovevano accettare come provocazione. Nella guerra civile jugoslava era fermamente dalla parte dei serbi, e non solo a parole. Andò diverse volte in Bosnia e Erzegovina e venne filmato, nel 1992, mentre si alternava a leggere poesie e sparare verso Sarajevo con un’arma insieme a Radovan Karadžić, il noto criminale di guerra serbo. Il filmato è qui: Limonov compare a partire dal secondo 30” e spara intorno al quinto minuto. In proposito, lo scrittore russo ha cercato di giustificarsi in vari modi, ma mai del tutto convincenti.

Nelle fotografie allegate a un altro dei libri di Limonov – che per la maggior parte raccontano la sua vita e le sue avventure – tradotto solo in Serbia, si può vedere lo scrittore a fianco del leader dell’estrema destra francese Jean-Marie Le Pen e al paramilitare serbo Arkan, assassinato nel 2000.

Se qualcuno non ne avesse abbastanza delle opinioni del nostro personaggio, si potrebbe dire ad esempio che alla fine del 2005 dichiarò di trovare la pubblicazione di Versi satanici di Salman Rushdie, il libro per cui lo scrittore si attirò la famosa fatwa, “disgustosa” e “offensiva per i sentimenti di un credente”. Dopo la sua esperienza in carcere, infatti, disse di aver ammirato la forza d’animo e la rassicurazione che i detenuti islamici traevano nella loro religione.

Carrère ha scritto il suo libro per cercare di capirci qualcosa, in questa confusione: la storia di un giovane scrittore carismatico e attraente che diventa un sostenitore di gran parte delle cause più tragicamente sbagliate degli ultimi cento anni; e in tutto questo, la celebre giornalista russa uccisa nel 2006, Anna Politkovskaja, ne parlò diverse volte in termini molto elogiativi. Il libro di Carrère è lungo 350 pagine.