Che cosa succede a Pomigliano
Si continua a discutere dell'annuncio di Marchionne di licenziare 19 operai per riassumerne altrettanti della FIOM: cosa ha deciso il giudice e perché si parla di "vendetta"
di Davide Maria De Luca
Questa settimana FIAT e il suo amministratore delegato Sergio Marchionne sono stati duramente attaccati per la decisione di mettere in mobilità 19 operai dello stabilimento di Pomigliano, in provincia di Napoli. La decisione di FIAT è stata definita una «vendetta» contro una sentenza che obbligava l’azienda ad assumere proprio 19 operai iscritti al sindacato FIOM. Il dibattito sul comportamento di FIAT continua da giorni e anche oggi i quotidiani dedicano alla vicenda diversi editoriali e prese di posizione.
Le principali critiche alla decisione di FIAT sono arrivate dalla FIOM, il sindacato metalmeccanici della CGIL, dalla stessa CGIL e dal PD. Il ministro Corrado Passera ha dichiarato che la decisione «non gli piace», mentre il ministro Elsa Fornero ha detto che la decisione andrebbe sospesa in attesa di ulteriori trattative con i sindacati. FIAT ha fatto sapere ieri che non c’è alcuna urgenza e la procedura di messa in mobilità durerà, come minimo, 45 giorni a partire dal 31 ottobre.
Nella maggior parte delle critiche alla decisione di FIAT politici e sindacalisti hannno espresso rabbia e sorpresa, ma già a giugno, quando venne pubblicata la sentenza che obbligava FIAT ad assumere in azienda un certo numero di operai FIOM, in molti avevano scritto che FIAT avrebbe licenziato un numero corrispondente di lavoratori di altri sindacati oppure privi di tessera.
Il caso è cominciato circa un paio di anni fa, quando la FIAT terminò una serie di investimenti – circa 800 milioni di euro in tutto – sullo stabilimento di Pomigliano per cominciare a produrre la nuova Panda. Per una serie di ragioni, legate alla necessità di adottare il nuovo contratto collettivo nazionale con alcune deroghe, FIAT decise di creare una nuova società per gestire lo stabilimento di Pomigliano. La nuova società assunse una parte dei lavoratori dello stabilimento, mentre la vecchia società restava in piedi per pagare la cassa integrazione ai restanti operai.
Circa 2.200 operai vennero assunti nella nuova società, mentre 1.700 restarono in cassa integrazione con la promessa che sarebbero stati assunti nella nuova società se l’andamento del mercato lo avesse permesso. Il problema fu che tra tutti i nuovi operai assunti nessuno aveva la tessera della FIOM, cioè il sindacato dei metalmeccanici della CGIL, quello che più si era opposto ai cambiamenti voluti da Marchionne e che aveva votato no al famoso referendum di Pomigliano, pochi mesi prima.
Pietro Ichino, senatore del PD e docente di diritto del lavoro all’università di Milano, visitò lo stabilimento nel gennaio 2012 e descrisse un fabbrica moderna e funzionale dove gli operai lavoravano soddisfatti – con i nuovi contratti le paghe degli operai arrivavano anche a 1.700 euro lordi, 1.550 per gli operai di terzo livello, cioè la maggioranza, e a queste cifre mancano comunque varie integrazioni e scatti di anzianità. Ichino spiegò anche le risposte che gli furono fornite quando domandò dell’ipotetica discriminazione subita dagli operai FIOM.
Secondo i responsabili dello stabilimento, le tessere sindacali non era state prese in considerazione per decidere chi assumere. Se non c’erano iscritti alla FIOM nello stabilimento era un caso, dovuto anche al fatto che molti che in precedenza avevano aderito alla FIOM avevano abbandonato il sindacato poco prima o poco dopo essere stati assunti. Ichino scrisse che la spiegazione era plausibile, ma invitò comunque il sindacato a far valere le proprie ragioni, visto che la giurisprudenza europea era orientata ad accettare la discriminazione anche sulla base di sole prove statistiche.
Il motivo più probabile per l’esclusione dei tesserati FIOM dalle nuove assunzioni è quello che FIAT ha lasciato intendere in un comunicato stampa diffuso ieri e poi subito ritirato. Nel comunicato FIAT ricorda le «dure prese di posizione» contro il progetto di Pomigliano espresse dai 19 operai che è obbligata a riassumere. Come hanno scritto alcuni commentatori, il timore di FIAT probabilmente era che i tesserati FIOM facessero una resistenza interna allo stabilimento, opponendosi al modello contrattuale e organizzativo e creando problemi alla produzione e alla redditività dello stabilimento.
Accusando FIAT di discriminazione, la FIOM si rivolse al giudice, chiedendo, tra le altre cose – fu una causa complessa, che aveva a che fare anche con il contratto collettivo nazionale – che FIAT venisse obbligata ad assumere un numero di operai iscritti alla FIOM proporzionale alla percentuale degli iscritti alla FIOM presente nella vecchia Pomigliano. Secondo FIAT, invece, l’azienda poteva decidere liberamente chi assumere – e a quali condizioni – poiché il passaggio dalla vecchia alla nuova Pomigliano non era un “trasferimento di azienda” – una tipologia di fusione o acquisizione che comporta certi obblighi di rispetto dei vecchi contratti.
Il giudice, per quanto riguarda le assunzioni, ha deliberato il 22 giugno 2012 in favore della FIOM e quindi FIAT è stata obbligata ad assumere tanti iscritti alla FIOM quanti erano in percentuale nella vecchia azienda: cioè il 9% del totale, 145 operai. I primi a tornare in fabbrica sono i 19 operai di cui si è parlato in questi giorni, mentre altri 126 dovranno essere riassunti nei prossimi mesi.
La reazione di FIAT, accusata da molti di essere “una vendetta”, è però anche la conseguenza naturale della decisione di fissare un numero di dipendenti “utili” per lo stabilimento di Pomigliano. Questo numero è circa 2.200: per mantenerlo, dopo essere stata obbligata ad assumere altre 145 persone, FIAT ha deciso di metterne in mobilità altrettante.
Già a giugno infatti alcuni giornalisti e commentatori scrissero che se il tribunale obbligava FIAT ad assumere 145 dipendenti per ripristinare le proporzioni tra i vari tesserati, la stava implicitamente spingendo a licenziarne altrettanti con tessere diverse oppure senza tessere. Proprio per questo motivo gli altri sindacati (UILM, FILM e FISMIC) definirono la sentenza «aberrante» e «discriminatoria».
Foto: la Presse