La condanna di Pierangelo Daccò

Accusato di associazione a delinquere e bancarotta nell'inchiesta sul dissesto del San Raffaele, dovrà risarcire 5 milioni di euro

Pierangelo Daccò, il cosiddetto “faccendiere” accusato di associazione per delinquere, bancarotta e altri reati nell’inchiesta sul dissesto dell’ospedale San Raffaele, è stato condannato in primo grado con rito abbreviato a 10 anni di carcere. L’imprenditore Andrea Bezziccheri è stato assolto. L’ex direttore amministrativo del San Raffaele, Mario Valsecchi, aveva già patteggiato due anni e dieci mesi di carcere. Il pm aveva chiesto per Daccò una condanna a cinque anni e sei mesi.

La definizione di Daccò non è semplice. Gli inquirenti nelle carte lo chiamavano “faccendiere della sanità”, i giornalisti in questi mesi si sono rivolti a lui descrivendolo come “lobbista”, “consulente” e “faccendiere”. Lo stesso Daccò si è descritto come un lobbista. Stando alle ricostruzioni circolate nei mesi scorsi, Daccò faceva l’intermediario sia per il San Raffaele che per la Fondazione Maugeri, un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico con sede a Pavia ma con istituti in tutta Italia. Daccò era in carcere dallo scorso novembre per decisione dei pm che indagavano sul colossale buco di bilancio da un miliardo e mezzo di euro del San Raffaele, che intanto aveva chiesto al Tribunale fallimentare – e ottenuto, con molte condizioni – di avere accesso al concordato preventivo, una procedura concorsuale attraverso la quale cercare un accordo con i creditori.

Gli inquirenti hanno accusato Daccò di avere distratto diversi milioni di euro dalla fondazione San Raffaele e dalla fondazione Maugeri, attraverso pagamenti gonfiati e appalti fittizi. L’imprenditore dovrà risarcire, ha deciso il giudice per l’udienza preliminare, cinque milioni di euro alla parte civile, che è rappresentata dalla Fondazione stessa e dai commissari dell’ospedale. I milioni distratti alla fondazione San Raffaele e alla fondazione Maugeri, in base alla ricostruzione degli inquirenti, avevano lo scopo di creare fondi neri: questo sistema si sarebbe retto sul fatto che gli imprenditori che lavoravano in appalto per il gruppo ospedaliero, alzavano i costi nelle fatture che il San Raffaele avrebbe dovuto pagare. La parte in più sarebbe stata restituita dalle imprese in contanti e attraverso bonifici bancari, che sarebbero stati utilizzati da Daccò per creare i fondi neri. Questo meccanismo di “maggiorazioni tariffarie” avrebbe garantito nel 2010 oltre 20 milioni di euro. Gli elementi su cui si sarebbe basata la decisione del giudice nel condannare Daccò, «sono gli stessi con cui la Cassazione aveva annullato la prima ordinanza di custodia cautelare», ha detto Gianpiero Bianconella, il suo avvocato.

Pierangelo Daccò è indagato anche in un’altra inchiesta sulla fondazione Maugeri. E in questa seconda inchiesta è coinvolto anche Roberto Formigoni, il presidente della regione Lombardia, secondo una notizia pubblicata dal Corriere della Sera e poi confermata da un comunicato della Procura di Milano. A Formigoni sarebbe contestato il reato di corruzione in concorso con Pierangelo Daccò e all’ex assessore regionale alla Sanità Antonio Simone. Secondi i magistrati, Daccò avrebbe pagato a Formigoni viaggi aerei e altri tipi di favori per una cifra intorno ai 9 milioni di euro. Si sarebbe trattato di vacanze, soggiorni, utilizzo di yacht e cene. Questi favori da parte di Daccò sarebbero serviti per ottenere delle delibere regionali in cui venivano stanziati dei rimborsi per la Fondazione Maugeri. La Procura di Milano ha contestato a Formigoni fatti commessi a Milano e all’estero tra il 2001 e il 2011, per questo è stata posta l’aggravante, oltre al reato di corruzione, della transnazionalità.

Inoltre, secondo l’accusa, Daccò avrebbe versato a Formigoni 500mila euro per le spese elettorali sostenute nelle elezioni amministrative del 2010. Si tratterebbe, se fosse accertato, di finanziamento illecito che viene “assorbito” nel reato di corruzione aggravata. Formigoni ha sempre smentito questa tesi, promettendo di dimettersi da presidente «se qualcuno dimostrasse che Daccò ha avuto un vantaggio dai rapporti con me». Formigoni ha sempre detto di avere diviso le spese delle vacanze con alcuni amici e conoscenti, tra cui Daccò, e di non avere più con sé scontrini e ricevute di quelle spese. «Le spese delle carte di credito di Daccò sono elevate perché si riferiscono a conti collettivi».

Foto: l’ospedale San Raffaele (LaPresse)