Che cos’è l’ILVA di Taranto

Breve storia della più grande acciaieria d'Europa, contestata, parzialmente sotto sequestro e molto importante per l'economia italiana

di Davide Maria De Luca

L’ILVA di Taranto, l’impianto che si trova parzialmente sotto sequestro per ordine della magistratura, è la più grande acciaieria d’Europa. Fondato nel 1961, è un impianto siderurgico a ciclo integrale, dove cioè avvengono tutti i passaggi che dal minerale di ferro portano all’acciaio. Il fulcro della produzione sono i cinque altoforni, dove viene prodotta la ghisa. Ognuno è alto più di 40 metri e ha un diametro tra 10 e i 15 metri: al momento quattro altoforni su cinque sono attivi.

L’ILVA di Taranto appartiene al Gruppo Riva, controllato dall’omonima famiglia. Il Gruppo Riva è il decimo produttore mondiale di acciaio. Il presidente del gruppo è Emilio Riva, finito agli arresti domiciliari insieme al figlio Nicola. I Riva acquistarono dallo stato l’impianto di Taranto nel 1995. In quegli anni lo stato vendette tutta l’industria pubblica dell’acciaio, che dagli anni Ottanta si trovava in grave crisi. Da anni comitati cittadini e ambientalisti contestano l’impianto dell’ILVA, accusandolo di inquinare l’aria e provocare malattie. Nell’ordinanza con cui ha disposto il sequestro e gli arresti, il gip ha scritto che l’impianto è stato causa e continua a esserlo di «malattia e morte» e perché «chi gestiva e gestisce l’ILVA ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». Allo stesso tempo i lavoratori e i sindacati difendono l’impianto e l’azienda e hanno annunciato scioperi.

Nel 2011 l’Italia era il 11esimo paese al mondo per la produzione di acciaio, con 28 milioni di tonnellate prodotte ogni anno. L’ILVA di Taranto produce da sola circa 9 milioni di tonnellate l’anno e il Gruppo Riva nel suo complesso ne produce più di 17. L’Italia è un paese esportatore di acciaio, ma la produzione italiana è importante anche per il mercato interno. Uno dei settori più importanti per l’export italiano è la meccanica, cioè le macchine per uso industriale. Per mantenere competitivo questo settore è molto importante potersi rifornire in Italia di acciaio a buon prezzo (che altrimenti andrebbe importato dalla Germania).

Emanuele Morandi, presidente di Siderwebha sostenuto a Radio24 che l’arresto della produzione all’ILVA di Taranto potrebbe costare lo 0,15 per cento del PIL, considerando solo l’attività dell’impianto, e lo 0,165 per cento considerando anche l’impatto sul resto dell’industria. In questo caso, per la prima volta dagli anni Cinquanta, l’Italia tornerebbe ad essere un paese importatore di acciaio.

Gli altoforni e il resto dell’impianto, però, non sono ancora stati spenti. Sul sequestro prenderà una decisione finale il 3 agosto il tribunale del riesame. Ma la chiusura della produzione non è una procedura semplice. Il professor Donato Firrao, che insegna metallurgia al politecnico di Torino, ha spiegato che “un altoforno ha una vita operativa di 15 anni durante la quale deve restare acceso. Lo spegnimento può causare un guasto irreparabile dell’altoforno. In ogni caso, dopo uno spegnimento, anche nel caso l’altoforno non si guasti, sono necessari dagli 8 ai 15 mesi per riattivarlo”.

foto: Matteo Corner/Lapresse