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  • Venerdì 20 luglio 2012

La Spagna sottovento

Concita De Gregorio sulle persone che protestano contro governo e politici, e sulla deputata che ha detto "che si fottano"

Demonstrators lift their hands and shout slogans as they protest against austerity measures announced by the Spanish government in Madrid, Spain, on Thursday July 19, 2012. Concerns over Spain's attempts to restore market confidence in its economy resurfaced Thursday after a bond auction went poorly and its borrowing costs edged higher ó even as the country's Parliament passed the latest round of harsh austerity measures designed to cut its bloated deficit. (AP Photo/Emilio Morenatti)
Demonstrators lift their hands and shout slogans as they protest against austerity measures announced by the Spanish government in Madrid, Spain, on Thursday July 19, 2012. Concerns over Spain's attempts to restore market confidence in its economy resurfaced Thursday after a bond auction went poorly and its borrowing costs edged higher ó even as the country's Parliament passed the latest round of harsh austerity measures designed to cut its bloated deficit. (AP Photo/Emilio Morenatti)

Concita De Gregorio racconta con toni molto pessimisti su Repubblica la crisi spagnola, vista dalle persone che la subiscono lì, in Spagna.

Maria Antonia Ribas ha 48 anni, un figlio matricola all’università e uno al liceo, un ex marito, un lavoro da bibliotecaria alla periferia di Madrid, 1.125 euro al mese, una permanente fatta in casa che le ha bruciato i capelli, una maglietta con il logo del supermercato, una laurea in filologia classica con encomio, un padre militare che la disapprova, una casa di 45 mq in affitto, 650 euro e meno di così in tre non si riesce a spendere.
Ora che passa a 980 di stipendio dovrebbe ritirare i figli da scuola, pensa, e trovare un posto in un alloggio sociale ma non è mica facile, sono tutti pieni e c’è la lista d’attesa, passano prima le donne sole con figli minori e i suoi hanno 16 e 18, non c’è speranza. Si è offerta nel quartiere per fare le pulizie a ore ma nessuno può permettersi più una domestica, quelli che le avevano le hanno già mandate a casa. Sta in piazza con un cartello che dice “se ci volete morti sparateci”, l’ha scritto a pennarello rosso su un cartone della spesa in un momento, chiarisce, “di vero malcontento”.
L’astio e il malcontento di chi sta sottovento. “Per sovrapprezzo – dice – a noi impiegati pubblici ci trattano da profittatori e sfaccendati, gente che ruba lo stipendio dandosi malata, assenteisti perché lo so, certo, ciascuno ha i mente un impiegato delle poste che lascia il cartello “torno subito” per andare a bere il caffè, un’addetta all’anagrafe che manca dal lavoro da due anni, gli aneddoti sono mille. D’altra parte i posti pubblici sono stati usati per decenni dai politici locali come merce di scambio, hanno piazzato figli amici amanti e devoti per generazioni e sicuro che fra questi ce ne saranno parecchi che ne hanno approfittato. Ma siamo quasi tre milioni, e di questi tre milioni la maggioranza, glielo assicuro, è fatta da gente come me: che non è mai mancata un giorno e se necessario ha lavorato fuori orario, che ha aiutato i suoi scolari nei compiti il pomeriggio, ha assistito i malati con pazienza, ha accompagnato a casa l’anziana che non ricordava la strada. Anche di questi episodi potrei raccontarne a centinaia. Noi siamo lo Stato, piaccia o non piaccia. Storto in qualche sua parte, difettoso forse, comunque quello che questo Paese è stato in grado di produrre nei secoli, e gli somiglia. Noi siamo la Spagna, e se ci vogliono morti bisogna chiamare le cose con il loro nome: è una guerra civile”.

(continua a leggere su Repubblica.it)

(AP Photo/Emilio Morenatti)