Gli ultimi 56 giorni di Borsellino

Dal libro di Enrico Deaglio, la cronologia degli avvenimenti tra la strage di Capaci e quella di via D'Amelio, vent'anni fa: 30 giugno 1992

Il nuovo libro di Enrico Deaglio – Il vile agguato (Feltrinelli) – è dedicato alle indagini sulla strage di via D’Amelio a Palermo in cui fu ucciso il magistrato Paolo Borsellino assieme a cinque agenti della sua scorta, il 19 luglio 1992. Il libro si conclude con una “succinta cronologia degli ultimi cinquantasei giorni di vita di Paolo Borsellino, compresi avvenimenti che avevano a che fare con lui, ma di cui non era a conoscenza”. Il Post pubblicherà in sequenza, assieme al secondo capitolo del libro, la successione di quegli eventi, a vent’anni di distanza.

Roma, 30 giugno
Paolo Borsellino e il collega Vittorio Aliquò partono da Palermo per Roma, per interrogare un capomafia che ha appena disertato. Si chiama Leonardo Messina, trentasette anni, uomo legato al clan Madonia, responsabile di Cosa nostra per la provincia di Caltanissetta. L’uomo si è pentito, per paura di essere ucciso, com’è successo a troppi suoi amici (“Riina è diventato un dittatore sanguinario”), e perché colpito dalle parole di Rosaria Schifani in cattedrale. I due magistrati vengono accompagnati dal dirigente del servizio centrale operativo Antonio Manganelli in un appartamento della capitale dove verbalizzano le prime dichiarazioni di Messina. Messina fa il nome della Calcestruzzi Spa.
Ah, quel nome Borsellino se lo ricorda bene! Calcestruzzi Spa, del gruppo Ferruzzi guidato da Raul Gardini, i più grandi produttori di cemento italiano. Borsellino se lo ricorda bene, perché alcuni anni prima, a un convegno sull’imprenditoria mafiosa, Falcone se ne era uscito con una frase abbastanza sibillina, “La mafia è entrata in Borsa”. Si riferiva proprio alla quotazione in piazza Affari del titolo Calcestruzzi, nel cui consiglio di amministrazione sedevano due boss palermitani, Buscemi e Bonura, fidati alleati di Salvatore Riina.
Ora, questo ragazzone sveglio del paese di San Cataldo, che gli sta spiegando che lui è mafioso perché la sua famiglia lo è “da sette generazioni” e che siede, insieme ai grandi boss, nella commissione interprovinciale, gli sta svelando che la mafia, con il paravento del gruppo Ferruzzi, si sta comprando praticamente tutte le cave e le betoniere dell’isola; non solo, ma è diventata anche padrona delle secolari cave di marmo delle Alpi Apuane; non solo, ma ha nominato un certo Angelo Siino di San Giuseppe Jato “ministro dei Lavori pubblici” che gestisce tutti gli appalti siciliani. Riina, gli dice Messina, i suoi soldi li tiene nella Cal- cestruzzi di Raul Gardini, praticamente è diventato il più grosso imprenditore dell’edilizia in Italia.
Borsellino e Aliquò tornano a Palermo. Forse Messina non è del calibro di Tommaso Buscetta, forse invece la sua diserzione sarà ancora più devastante… Sperando che il procuratore Giammanco li lasci lavorare…

Palermo, 30 giugno
Al ritorno da Roma, Borsellino dà la sua ultima inter- vista al giornalista Lamberto Sposini del TG5. Alla domanda, piuttosto brusca: “Lei si sente un sopravvissuto?” risponde: “Come mi diceva il commissario Cassarà [ucciso nel 1985], convinciamoci che siamo cadaveri che camminano”.

Inizio luglio, il quadro politico
Il nuovo governo di Giuliano Amato cerca di varare un decreto antimafia che inasprisce le pene e dà maggiori poteri alla polizia, con la contrarietà del Csm e dei partiti di opposizione. La decisione sulla superprocura è in alto mare. Riina consegna a Vito Ciancimino, che lo analizza con i carabinieri, l’elenco delle sue richieste. Intanto manda avanti il suo avvocato Cristoforo Fileccia, per far sapere che è in buona salute, attivo, e che contro di lui c’è solo la condanna al maxiprocesso. Una lettera anonima di otto cartelle, molto dettagliate (subito soprannominata “Corvo numero 2”, viene recapitata a trentanove persone tra politici, magistrati e direttori di giornali. Vi si dice che, dopo Andreotti, il nuovo referente di Cosa nostra è Calogero Mannino, ministro dell’Agricoltura, della sinistra democristiana. Segue un impressionante elenco di notizie economiche e finanziarie legate a Cosa nostra. A Milano, intanto, si fanno piani segreti per un nuovo partito.

L’elenco delle richieste di Riina è il famoso “papello” che riemergerà dalle carte della famiglia Ciancimino sedici anni dopo. Scritto a mano, fissa dodici punti, che comprendono la revisione del maxiprocesso, l’abolizione del carcere duro, della legge sui pentiti, della confisca dei beni. Propone di considerare invece del “pentimento”, la “dissociazione” come venne fatto per gli appartenenti alle Brigate rosse. Chiede che il prezzo della benzina in Sicilia sia defiscalizzato “come ad Aosta”. L’unico errore ortografico consiste nella dizione “in flagranza”, che invece è scritto “fragranza”.
Un altro “papello” è invece citato nella lettera del “Corvo”. Sarebbero proposte che Mannino fa a Riina in cambio dell’appoggio elettorale: condizioni migliori per i detenuti, restituzione dei beni confiscati, regolarizzazione della posizione giuridica dei latitanti, nuova gestione comune dei grandi appalti. Non molto distante dal “papello” di Riina, quindi. Il testo del “Corvo numero 2” è pieno di particolari, date, incontri (Mannino e Riina si sarebbero incontrati nella sacrestia di una chiesa di San Giuseppe Jato e poi nell’abitazione del ministro. Un ruolo importante lo avrebbe Pietro Di Miceli, cognato del capo di gabinetto dell’alto commissario antimafia Finocchiaro). Polizia e carabinieri, negli anni, si sono vicendevolmente accusati di avere scritto e diffuso il documento del “Corvo 1992”, ammettendo entrambi che erano mischiati elementi veri con elementi falsi; ma, ancora dopo vent’anni, nessuna certezza è arrivata. Né le decine di fatti che il Corvo chiedeva di verificare (aumenti di capitale, investimenti, passaggi di proprietà) sono state verificate. Un’idea di quanto pensava Salvatore Riina la si può ritrovare nella dichiarazione che il suo avvocato, Cristoforo Fileccia, fece a una troupe di giornalisti della Rai siciliana.

L’avvocato confermò che il suo assistito si trovava in Sicilia e che lui l’incontrava spesso. “Ha sempre respinto ogni accusa e tra l’altro è sempre stato assolto da tutti i reati, l’ultimo dei quali la strage di Bagheria con la recentissima sentenza di Carnevale, prima sezione di Cassazione. L’unica condanna che ha è quella all’ergastolo inflittagli con il primo maxiprocesso. Nei colloqui che ho avuto con lui ho tratto la sensazione che il diavolo non è così cattivo come lo si dipinge.” “Si costituirà?” domanda la giornalista Rai. “È una farneticazione,” risponde l’avvocato.
Certamente, nell’estate del 1992, molti stavano prospettando il futuro politico dell’Italia. Riina, per esempio, cercava contatti con la Lega Nord di Bossi; Licio Gelli, il patron della P2, patrocinava le “leghe del Sud”; l’ideologo di Bossi, il professor Miglio, preparava statuti per un’Italia divisa in tre e chiamava la mafia ad assumere il governo delle regioni meridionali; a Milano prendeva forma l’esperimento che alla fine avrebbe avuto maggiore successo.
Tra il maggio e il giugno del 1992 tale Ezio Cartotto, poco noto consulente politico milanese, già attivista politico della Democrazia cristiana, venne contattato dal presidente di Publitalia Marcello Dell’Utri, suo vecchio conoscente (frequentavano la Dc siciliana entrambi, il primo nella corrente di Base, l’altro in quella di Vito Ciancimino). Dell’Utri gli prospetta un futuro politico fosco per la Fininvest che, a causa di Mani pulite, sta perdendo i suoi referenti politici (in primo luogo il Psi). Gli chiede di studiare un progetto politico nuovo, in pratica un nuovo partito, per evitare la vittoria elettorale delle sinistre. Gli dice che “bisogna operare come sotto il servizio militare, e cioè preparare i piani, chiuderli in un cassetto e tirarli fuori in caso di necessità”. Cartotto viene stipendiato per questo progetto, che prenderà il nome di “Botticelli” e sfocerà, all’inizio del 1994, nella presentazione pubblica del partito Forza Italia e nella candidatura di Silvio Berlusconi a premier. Forza Italia in Sicilia avrà un successo travolgente, tutto a scapito delle personalità antimafia candidate dai “progressisti”.